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sábado, 18 de janeiro de 2014

«La Chiesa é l' ostacolo da abbattere» - di Massimo Introvigne

In NBQ

Il 16 gennaio 2014 la Pontificia Commissione Teologica Internazionale ha pubblicato un corposo documento «Dio Trinità, unità fra gli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza» (aqui em HTML; aqui em PDF), presentato come frutto di cinque anni di lavoro e come testo specificamente approvato e rivisto dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il prossimo cardinale Gerhard Müller. Temo di essere facile profeta se prevedo che questo documento, lungo e complesso, sarà letto da pochi, avrà scarsa eco sui media e finirà rapidamente nel dimenticatoio. Male: perché questo grande lavoro, voluto e richiesto da Benedetto XVI e ora completato sotto Papa Francesco, è di qualità veramente notevole e denuncia un'aggressione senza precedenti alla Chiesa che è in atto da parte della cultura laicista dominante, rispondendo colpo su colpo.

«La Chiesa è l'ostacolo da abbattere». Così il documento descrive l'attuale temperie culturale, dove agguerriti poteri forti danno il tono non solo alla cultura dominante nelle università, ma anche alla maggior parte dei media. Come si cerca di abbattere la Chiesa? Ascrivendole la responsabilità di tutte le violenze più gravi della storia. Queste, si afferma, derivano dalla fede nell'esistenza di verità assolute garantite da Dio creatore di una natura che la ragione può conoscere e decifrare come verità. Derivano, cioè, dal rifiuto cattolico del relativismo: e dal monoteismo, che rende fanatici e intolleranti.

C'è, anzitutto, un «disegno totalitario del pensiero unico», fondato su un «sentire relativistico totale»: è la dittatura del relativismo, che aggredisce chiunque pensi che esista la verità. Anzi, la verità «viene esplicitamente indicata come una minaccia radicale per l’autonomia del soggetto e per l’apertura della libertà. Soprattutto perché la pretesa di una verità obiettiva e universale, di riferimento per tutti, supposto che sia accessibile allo spirito umano, viene immediatamente associata ad una pretesa di possesso esclusivo da parte di un soggetto o gruppo umano. Essa porterebbe così alla giustificazione del dominio dell’uomo che ne rivendica il possesso sull’uomo che, secondo questa pretesa, ne è privo. In conseguenza di questa rappresentazione della verità, che la ritiene inseparabile dalla volontà di potenza, anche l’impegno per la sua ricerca, e la passione della sua testimonianza, sono viste a priori come matrici di conflitto e di violenza fra gli uomini».

Per la dittatura del relativismo, di questa violenza sarebbe responsabile la Chiesa perché insegna il monoteismo. Se c'è un solo Dio c'è anche una sola verità. Se invece ci sono più dei, allora sono possibili più verità. Solo il politeismo garantisce il relativismo. C'è una vera inversione rispetto alla tradizionale storia delle religioni, anche laica, che considerava il monoteismo un progresso rispetto al politeismo. Questo «rovesciamento del quadro moderno è inaspettato: ora il monoteismo è arcaico e dispotico, il politeismo è creativo e tollerante».

Per mettere in conto ai cristiani - che certo talora nella storia hanno ceduto alla tentazione della violenza, ma assai meno di altri, e certo meno delle ideologie anticristiane - anche massacri commessi da altre religioni, continua il documento, si ricorre a una categoria che la storia delle religioni ha invece da tempo messa in discussione, quella delle «tre grandi religioni monoteistiche», che esprime certo qualcosa di vero ma tratta l'ebraismo, l'islam e il cristianesimo. - che sono invece molto diversi fra loro - come se il loro «monoteismo» fosse identico. È un notevole merito del documento denunciare «la sommaria classificazione dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, come le tre grandi “religioni monoteistiche”», perché si tratta di tesi diffuse anche nel mondo cattolico. Lo scopo per cui il moderno laicismo ripropone queste vecchie teorie non è il dialogo interreligioso ma l'attacco alla religione, il cui scopo principale è attaccare il cristianesimo, anzi attaccare in particolare la Chiesa Cattolica. «Non possiamo passare sotto silenzio il fatto che, in qualche parte intellettualmente rilevante della nostra cultura occidentale, l’aggressività con la quale viene riproposto questo “teorema”, si concentra essenzialmente nella denuncia radicale del cristianesimo». «La puntigliosa identificazione del cristianesimo cattolico come l’ostacolo da abbattere, nella lotta contro il monoteismo che diffonde la violenza religiosa nel mondo, nonostante tutto, non cessa di stupire».

Il documento ribatte colpo su colpo a queste accuse. Interpreta alcune affermazioni bellicose dell'Antico Testamento, mostrando che s'inquadrano in uno specifico contesto storico, vanno lette anche come metafore della lotta contro il Diavolo e il male morale, e soprattutto sono state superate dal messaggio del Vangelo. In una parte di non agevole lettura del documento, ispirata al Magistero di Benedetto XVI, si fa anche notare che il cristianesimo ha permesso per la prima volta nella storia la distinzione - non la separazione - fra religione e politica, e ha fondato l’autonomia della politica, superando ogni tentazione teocratica.

Non è vero, si aggiunge, che il politeismo è tollerante: nel clima culturale creato dalle religioni politeistiche si sono consumate autentiche stragi contro i seguaci di religioni diverse. Associare politeismo e tolleranza appare persino «stravagante». La stessa «religione politeistica dell’impero romano, a sua volta, con tutta la straordinaria modernità del suo concetto di cittadinanza, e della sua struttura multi-etnica e multi-religiosa, perseguitò con specifico accanimento il cristianesimo, colpevole di rifiutare l’incensazione dell’imperatore come figura divina. La risposta si espresse nella testimonianza non violenta e nell’accettazione del martirio cristiano». Non parliamo, poi, delle ideologie moderne, portatrici di «un crescente e sconcertante dispiegamento di stili di vita e di comportamento ispirati alla violenza: spontanea, immediata, distruttiva. Sempre più inconsapevole di se stessa, e persino eticamente giustificata», o consacrata dalle leggi. Le ideologie, specie quelle distruttive del XX secolo, sono in realtà i nuovi politeismi, dove «l’uomo ostile al Dio buono e creatore, nell’ossessione di “diventare come Lui”, diventa un “Dio perverso” e prevaricatore nei confronti dei suoi simili. Dal politeismo di queste controfigure narcisistiche del “Dio perverso”, che viene dal peccato fin dall’origine, non può venire nulla di buono per la pacifica convivenza fra gli uomini».

Oggi l'aggressione contro la Chiesa Cattolica e i cristiani continua, fondata sul
«pregiudizio – tipico del modello razionalistico – secondo il quale, anche sul piano esistenziale e sociale, c’è un solo modo per affermare la verità: negare la libertà o eliminare l’antagonista». L'orizzonte è quello dell'eliminazione di Dio e dell'imposizione - ora suadente, ora violenta - dell’ateismo, con la conseguente negazione della libertà. «L’eliminazione di Dio, stabilita sulla base di una ragione "naturalistica", si associa oggi frequentemente alla risoluzione "biologica" della libertà umana. In questa prospettiva il nostro cervello si è costruito il pensiero di Dio per ragioni legate ad un determinato stadio evolutivo: in funzione del governo della complessità, per compensare l’inevitabilità della frustrazione, come dispositivo di neutralizzazione della morte».

La religione è dunque una patologia, che va eliminata. Il futuro che le ideologie preparano all'umanità è però un futuro di violenza e di morte. Già oggi viviamo - conclude il documento - nel «tempo della persecuzione», che «deve essere sostenuto, nell’attesa della conversione sperata per tutti. Di questa pazienza, di questa sopportazione, di questa tenacia dei “santi” nel portare la tribolazione dell’attesa, noi siamo in debito di riconoscenza verso molti fratelli e sorelle perseguitati per la loro appartenenza cristiana. Noi onoriamo la loro testimonianza come la risposta decisiva alla domanda sul senso della missione cristiana in favore di tutti. L’epoca di una nuova evidenza a riguardo del rapporto fra religione e violenza fra gli uomini è aperta dal loro coraggio. Dovremo sapercelo meritare. Dell’avvento di questa nuova epoca, e dei frutti dello Spirito che ne devono seguire, la Madre del Signore deve essere considerata l’insostituibile custode. La coscienza e l’invocazione della sua speciale intercessione, dovrà essere un tema speciale della nostra conversione e della nostra preghiera».

domingo, 15 de dezembro de 2013

Liberdade de expressão e juízo sobre a prática homossexual - por Pedro Vaz Patto



In Brotéria
           
 São várias as notícias, umas mais antigas e outras mais recentes, que fazem temer que a pretexto do respeito pela dignidade e não discriminação das pessoas de orientação homossexual, se pretenda limitar, de uma forma generalizada, a liberdade de expressão quanto ao juízo moral sobre a prática homossexual (não sobre a pessoa em si mesma, com a orientação sexual que não escolheu, mas sobre uma conduta e uma prática voluntárias).

            Vejamos algumas dessas notícias.

            O caso que em primeiro lugar suscitou mais clamor foi o da condenação do pastor pentecostal sueco Ake Green. Por ter declarado publicamente, evocando as referências à prática homossexual no Antigo Testamento e nas cartas de São Paulo, que essa prática representa “uma perversão” e um “tumor na sociedade”, e que a tendência homossexual não era inata e era suscetível de mudança, sem ter deixado de afirmar que não condenava as pessoas, pois Jesus nunca inferiorizou ninguém, Ake Green foi judicialmente condenado pelo crime previsto no artigo 16.6, 8 do Código Penal sueco (ameaça ou injúria para com um grupo de pessoas com referência à sua raça, cor, origem nacional ou étnica, confissão, fé ou orientação sexual). Em recurso, veio a ser absolvido, já em 2005 [1].

            Em 2006 o deputado francês Christian Vanneste foi condenado, pela Cour Corretionelle de Lille, por “injúrias públicas contra grupo de pessoas em razão da orientação sexual”, por ter afirmado que o comportamento homossexual é moralmente inferior ao comportamento heterossexual, uma vez que, segundo a máxima kantiana, não pode tornar-se regra universal sem dano para a Humanidade. Em recurso, veio a ser absolvido pela Cour de Cassation, por acórdão de 12 de Novembro de 2008[2].

            Mais recentemente, foi noticiado que o deputado britânico Edward Leight apresentou um projeto de lei (Bill for the protection of freedom of speech and conscience) que pretende a proteção da liberdade de expressão no âmbito das relações de trabalho, de modo a evitar casos como o do Adrian Smith, punido pelo seu empregador por ter manifestado no facebook a sua oposição à legalização do casamento entre pessoas do mesmo sexo[3].

            Em Março deste ano, o Ministro da Educação do Estado canadiano de Yukon, invocando a legislação que proíbe a discriminação em função da orientação sexual, proibiu o ensino do catecismo da Igreja Católica no que à homossexualidade diz respeito nas escolas católicas que recebem fundos públicos[4]

            Consta desse catecismo o seguinte:

            «Apoiada na Sagrada Escritura, que os apresenta como depravações graves (Gn 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1 Co 6,10; 1 Tim 1,10), a Tradição sempre declarou que os atos de homossexualidade são intrinsecamente desordenados (CDF decl. Persona humana 8). São contrários à lei natural, fecham o ato sexual ao dom da vida, não procedem duma verdadeira complementaridade afetiva e sexual, não podem, em caso algum, receber aprovação» (n. 2358)

            Mas faz-se a distinção entre o pecado e o pecador, entre o erro e a pessoa que erra, pois há que condenar o erro e amar a pessoa que erra:

            «Um número não desprezível de homens e mulheres apresenta tendências homossexuais profundas. Eles não escolhem a sua condição de homossexuais; essa condição constitui, para a maior parte deles, uma provação. Devem ser acolhidos com respeito, compaixão e delicadeza. Evitar-se-á, em relação a eles, qualquer discriminação injusta» (n. 2359)

            Pois bem, foi este o ensinamento proibido nas escolas católicas que recebem fundos públicos do Estado canadiano de Yukon. Proibição que se noticia ter sido acatada[5].

            A questão da distinção entre a condenação do erro e o respeito pela pessoa que erra (“hate the sin, love the sinner”) foi suscitada num outro caso judicial recente, também relativo ao Canadá.

            O Supremo Tribunal canadiano confirmou, em recurso, a condenação, por parte da Comissão de Direitos Humanos da Província de Saskatchewann, de uma pessoa que distribuiu panfletos que condenavam a prática homossexual, apelando aos ensinamentos bíblicos que a apresentam como uma “abominação”, condenando a propaganda da homossexualidade nas escolas, afirmando que esta não é inata e a sua prática representa um comportamento aditivo e envolve uma maior probabilidade de contaminação da SIDA e de abusos sexuais de crianças. Estava em causa a aplicação do artigo 14º, 1, b), do Código de Direitos Humanos dessa Província, que pune o chamado “discurso de ódio” (“hate speech”). Uma punição análoga à do artigo 240º, nº 2, b), do Código Penal português, que, sob a epígrafe “discriminação racial, religiosa ou sexual”, pune a conduta de quem «difamar ou injuriar pessoa ou grupo de pessoas por causa da sua raça, cor, origem étnica ou nacional, religião, sexo ou orientação sexual…».

            A defesa argumentou que os textos em questão conciliavam a condenação do erro com o respeito para com a pessoa que erra (“hate the sin, love the sinner”). Mas o Tribunal não aceitou a relevância desta distinção, considerando que existe uma forte conexão entre a orientação sexual e a conduta sexual, e que quando a conduta visada pelo discurso é um aspeto crucial da identidade de um grupo vulnerável, os ataques a esta conduta são equiparáveis aos ataques ao próprio grupo. Será assim se o ataque a essa conduta provocar objetivamente o ódio e o desprezo pelo grupo[6]

            Situações semelhantes a estas são apresentadas no Relatório de 2012 do Observatório sobre a Intolerância e a Discriminação contra os Cristãos na Europa[7].

            Todos estes episódios estiveram presentes na mente de quem, em Itália, manifestou o receio de que o projeto de lei, recentemente aprovado, sobre a “homofobia” e a “transfobia” (que pune a discriminação e agrava as penas dos crimes cometidos em função da orientação sexual e da “identidade de género”), possa representar um perigo para a liberdade de expressão. Afirmou a propósito o Observatório Internacional Cardeal Van Thuan (dedicado ao estudo e difusão da doutrina social católica)[8]:

            «As notícias que nos chegam de outros países da Europa, onde leis semelhantes já estão em vigor, são alarmantes. Dizer que a família é somente aquela que é constituída por um homem e uma mulher pode ser qualificado como homofobia e perseguição. A leitura pública do livro do Génesis, sobra a criação do homem e da mulher, ou das passagens de São Paulo sobre a imoralidade do ato homossexual, pode ser considerada crime. Ensinar numa escola qua a família é apenas uma pode ser considerado ato de discriminação por ódio homofóbico».

            Também alertou para este perigo, por exemplo, o Forum das Associações Familiares, organismo que agrupa um grande número de associações católicas de apoio à família[9]

            Em atenção a estes alertas, foi proposto por um grupo de deputados católicos um aditamento ao projeto inicial, que por várias pessoas veio a ser denominado “cláusula de salvaguarda”, com o seguinte teor: «Não constituem discriminação as opiniões assumidas no interior de organizações que desempenhem atividades de natureza política, sindical, cultural e sanitária, de instrução, de religião ou de culto, relativas à atuação dos princípios e dos valores de relevo constitucional que caraterizam tais organizações». Este aditamento foi aprovado, mas se há quem considere que com ele fica garantida a liberdade de expressão, esta opinião não é, porém, unânime[10].

            O que a respeito desta questão e de cada um dos casos assinalados me parece de salientar é a importância de traçar uma fronteira que salvaguarde a liberdade de expressão consagrada no artigo 19º da Declaração Universal dos Direitos Humanos, no artigo 37º da Constituição da República Portuguesa e no artigo 10º da Convenção Europeia dos Direitos Humanos. A punição do chamado “discurso de ódio” (“hate speech) não pode servir de pretexto para impor um “pensamento único” e para punir “delitos de opinião”. Não é aceitável que o comportamento homossexual seja imune à crítica ou a um juízo ético, quando a tal crítica ou juízo não são imunes quaisquer outros comportamentos ou atitudes. Num contexto social e cultural tão cioso do valor da liberdade de expressão (por vezes, até em excesso), não é aceitável que se usem “dois pesos e duas medidas”.

             E essa fonteira há de passar, precisamente, pela distinção entre o erro e a pessoa que erra. É lícito criticar o erro (pode até ser um dever moral fazê-lo), sem que isso permita desrespeitar a dignidade da pessoa que erra (numa perspetiva cristã, não é só o respeito que a essa pessoa é devido, é também o amor). Não nos cabe agora analisar cada um dos casos referidos e verificar se em cada um deles as expressões usadas são as mais adequadas ou oportunas, e se em cada um deles foi respeitada esta distinção. Ela foi, indubitavelmente, respeitada nos excertos do catecismo da Igreja Católica acima mencionados, os quais, como vimos, já foram, mesmo assim, considerados contrários ao respeito devido às pessoas de tendência homossexual. 

            A distinção referida (entre a crítica de uma conduta e o respeito pela pessoa em causa) deve servir também noutros âmbitos em que se suscita a necessidade de concordância prática entre a liberdade de expressão e o respeito pela dignidade da pessoa.

            A crítica a determinada ideologia não pode, obviamente, ser vedada em nome do respeito pelas pessoas que aderem a essa ideologia. O respeito pelas pessoas que aderem ao comunismo, ao fascismo ou ao liberalismo não impede a crítica a qualquer destas ideologias.

            No âmbito da atividade política, a crítica de atos e opções concretas (mesmo que em termos duros, agressivos ou injustos) é livre e deve compatibilizar-se com o respeito pela dignidade das pessoas que aí atuam. Esta distinção (entre a livre crítica dos atos e o respeito pela dignidade das pessoas) não pode ser esquecida, para que se evitem dois extremos: um, o de considerar que na vida política “vale tudo”, a dignidade das pessoas não conta e a injúria e difamação de crimes passam a direitos; outro, o de limitar o direito de crítica (base da vida democrática) em nome da tutela da dignidade e honra das pessoas que atuam na política.

            A distinção vale noutros âmbitos. O respeito pelas pessoas que professam determinada religião (cristã, muçulmana ou outra), pela sua dignidade e pelos seus sentimentos religiosos (o que supõe o respeito por figuras e símbolos tidos por sagrados) não pode impedir a crítica à religião, à religião em geral, ou a uma religião em particular. E é possível alcançar a conciliação entre estas duas exigências se a crítica se situar no plano da discussão racional e argumentada e do debate de ideias (a que se pode responder no mesmo plano), não se confundindo com o escárnio e a ofensa gratuita (a que não pode responder-se no plano da discussão racional e do debate de ideias).

            E assim também no âmbito da crítica literária, artística ou desportiva. Pode criticar-se o valor de uma obra ou de uma prestação (até de modo fortemente depreciativo, eventualmente injusto), salvaguardando o respeito devido à pessoa autora dessa obra ou prestação.

            A punição do chamado “discurso de ódio” também há de ter em conta esta distinção. Deve salientar-se que entre os fatores que, de acordo com a generalidade das legislações que punem o “discurso de ódio”, identificam a vulnerabilidade de um grupo carente de especial proteção, estão alguns (como o sexo, a raça, a origem étnica, ou a deficiência, este habitualmente esquecido pelas legislações) em relação aos quais não se suscita a questão da distinção que vimos referindo. Mas não assim em relação a outros: o respeito devido às minorias religiosas não impede a crítica à religião por elas professada. Do mesmo modo, o respeito devido às pessoas de tendência homossexual, particularmente importante por se tratar de uma minoria tradicionalmente marginalizada, não pode impedir a crítica à prática homossexual, ou um juízo ético negativo a respeito dessa prática. 

            Nesta linha, não me parece aceitável a argumentação do Supremo Tribunal canadiano a que acima aludi, segundo a qual ao criticar uma conduta que é constitutiva da identidade de um grupo estaremos a criticar (e ofender) o próprio grupo. Em coerência com este raciocínio, aplicando-o a outros âmbitos, chegaremos a consequências inaceitáveis para quem preze o valor da liberdade de expressão: não seria possível a crítica a determinada religião ou ideologia porque elas fazem parte da identidade de um determinado grupo (como o faria a conduta homossexual) e esse grupo sentir-se-ia ofendido com a crítica a essa religião ou ideologia.

            É sempre possível, em qualquer destes casos, responder à crítica no plano da discussão racional e argumentada, sem recurso a proibições e condenações judiciais. Há quem pretenda aceitar o recurso a essas proibições e condenações no âmbito da crítica à conduta homossexual, quando ele não é aceite em qualquer outro âmbito.

            Deve, pois, manter-se a distinção entre a livre crítica de um comportamento e o respeito pela pessoa que adote esse comportamento, para que sejam simultaneamente salvaguardados, em quaisquer âmbitos (sem “dois pesos e duas medidas”), a liberdade de expressão e o respeito pela dignidade das pessoas.


[1] Pode ver-se informação sobre o caso em www.akegreen.org.
[3] Ver www.mercatornet.com /conjugality/ 29/1/2013).
[4] Ver www.lifesitenews.com,21/3/2013, e www.lastampa.it, 28/3/2013
[5] Ver www.lifesitenews.com, 18/10/2013
[8] Ver www.zenit.org, 18/7/2013.

[9] Ver Avvenire, 25/7/2013

[10] Ver Avvenire, 24/7/2013, e Adriana Cosseddu, Riscrivere l´ Umanità dell´Uomo?, in Città Nuova, nº 20, 25/10/2013, pgs. 20 e 21.

quarta-feira, 17 de outubro de 2012

Adoração, Reparação, Consagração e Súplica - Nuno Serras Pereira

A Imaculada Conceição, Senhora Nossa, Sempre Virgem Mãe de Deus humanado, é a Padroeira dos USA. Em razão da conjuntura difícil por que passa essa nação, resolveu a Igreja Católica fazer uma novena à Imaculada, pela vida e pela liberdade religiosa, com celebração Eucarística, adoração do Senhor, verdadeira, real e substancialmente presente no Santíssimo Sacramento e recitação do Rosário.


Todos saberemos que a Imaculada é não só a Padroeira de Portugal mas também sua Rainha. D. João IV coroou-a em Vila Viçosa e desde então nenhum rei português foi coroado em sinal de Amor, Comunhão e Obediência à Mãe do Céu.

Um excelente amigo que vive nos USA ficou muito entusiasmado, tendo aliás participado na celebração Eucarística presidida pelo Arcebispo William Lori, com esta mobilização da Igreja e aventou o projecto de realizarmos algo semelhante aqui em Portugal. Adiantou ainda que eu poderia escrever um texto sobre o assunto com o intento de acender os corações nesta obra de Amor e Misericórdia. Logo lhe respondi, que embora achasse esplêndida a iniciativa, eu não redigiria nada uma vez que sempre que lanço propostas nos meus artigos elas são ignoradas e desprezadas; dando, a alguns, a impressão de que elas, ou algumas delas, não são acolhidas precisamente por virem de mim. Fazê-lo seria pois condená-la à morte prematura, “abortá-la”. Entretanto, considerei que dado que a concepção não era minha mas de outrem, limitando-me eu a ser o mensageiro talvez tivesse uma sorte diversa do que tem saído desta cachimónia. Começou então a consciência a ladrar, como um pregador vigilante, e eu arreceado de que ela se tornasse mais feroz e me viesse a morder sentei-me ao computador, e eis-me a escrevinhar estes desabafos.

Alguns cuidarão, com alguma razão, que existe uma diferença entre o que Obama quer, a saber, obrigar os seguros de saúde de católicos e instituições religiosas a pagarem a contracepção, a esterilização e o aborto químico, e aquilo que sucede em Portugal, a saber, um pagamento de impostos difuso, indirecto, mais distante que financia a contracepção, a esterilização, o aborto químico e cirúrgico, e os subsídios, negados a qualquer mãe grávida que tenha dificuldades económicas e queira levar a gravidez a seu termo, pagos às mães que condenaram à morte os seus filhos. Mas é evidente que aquilo a que estamos forçados, no nosso país, por um estado totalitário, embora de um modo mais subtil, constitui uma tremenda violência à consciência de todas as pessoas de boa vontade e, em particular, aos católicos que o são de facto, e não só de nome ou de conveniência ou de astúcia, e um grave atropelo à liberdade cristã e religiosa.

A Imaculada, como sabemos, celebra-se a 8 de Dezembro. Se alguns grupos de oração, movimentos eclesiais, paróquias, etc., quiserem rezar a novena são libérrimos de o fazer. Poderão ou não entender-se entre si para algo em conjunto a nível nacional e o que mais o Espírito Santo sugerir. Ninguém precisa de autorização para rezar nem para salvar vidas ou combater pelos direitos humanos. Tem não só o direito mas o dever de o fazer.

Em primeiro lugar está Deus e por isso Lhe deve ser dada primazia absoluta, como nos ensina o Pai-nosso. Daqui que a oração deva começar pela adoração, o louvor e a acção de graças – a celebração da Eucaristia e a adoração do Santíssimo Sacramento são pois o primeiro passo a dar. Considerando Aquele que nos criou e deu a vida por nós na Cruz e confundidos com tanto Amor tão mal correspondido da nossa parte e dos portugueses em geral somos levados a, como dizia, o pastorinho Francisco, consolar Jesus, e Sua Mãe, cujos corações estão muito ofendidos. Essa dor do Filho, e n’ Ele do Pai e do Espírito Santo, e da Sua e nossa Mãe empuxa-nos num ímpeto de amor a Consagrarmos-nos inteiramente ao Sagrado Coração (Amor) de Jesus através da entrega total ao Coração (Amor) Imaculado de Maria para que vivendo n’ Eles e d’ Eles, como Eles, nos dediquemos pela oração de súplica, de intercessão, à conversão e salvação dos pecadores.

17. 10. 2012

domingo, 23 de setembro de 2012

A opção por um matrimónio civil indissolúvel (Liberdade cristã num Estado laico) - P. Gonçalo P. de Almada

In VV

Alguns Estados e instituições europeias, à conta de um laicismo que pretende relegar a fé cristã para a intimidade das consciências, ou os esconsos das sacristias, não aceitam que alguém possa, livre e responsavelmente, assumir compromissos definitivos, uma vez que uma tal opção parecem contrariar o sacrossanto princípio da liberdade.

É o caso dos esposos cristãos, que contraem canonicamente um matrimónio indissolúvel que, no entanto, o ordenamento jurídico positivo não admite como tal, na medida em que qualquer casamento é legalmente passível de rescisão, até mesmo contra a vontade do cônjuge inocente.

Promova-se, com empenho, o direito à liberdade de todos os cidadãos. Contudo, o reconhecimento formal e efectivo desta exigência decorrente da comum e universal dignidade humana, não deve ficar circunscrito ao volúvel capricho do legislador, ou da moda do politicamente correcto, mas contemplar todas as legítimas modalidades do seu responsável exercício. Ora um compromisso conjugal definitivo não só não é uma excepção a essa irrenunciável prerrogativa da condição humana, como uma sua excelente e muito meritória realização.

Compete ao Estado garantir que a todos sejam dadas todas as condições necessárias para que as suas opções sejam verdadeiramente livres, mas não lhe cabe impedir aquelas escolhas que, mesmo não devendo ser exigidas a todos, podem legitimamente ser queridas por alguns. Um ordenamento jurídico que proíbe qualquer compromisso sério, como é o que pressupõe uma entrega definitiva, com o pretexto de assim salvaguardar a autonomia dos cidadãos, não é apenas uma lei paternalista, mas uma norma que não respeita a liberdade dos indivíduos e que, neste sentido, é potencialmente totalitária.

Poder-se-ia eventualmente objectar que nada impede que uma pessoa celebre um casamento religioso indissolúvel, mas uma tal observação não colhe porque, para poder fazê-lo, teria que professar alguma religião, o que nem sempre acontece. Com efeito, o sacramento do matrimónio é apenas acessível aos cristãos, pelo que o indivíduo que o não é seria, por este motivo, descriminado pela sua não crença, o que parece ser manifestamente injusto e talvez até anticonstitucional. Por outro lado, não basta que a lei admita essa possibilidade teórica, mas importa que reconheça, de facto, a sua efectividade jurídica, ou seja, que garanta que o regime conjugal livremente escolhido será depois responsavelmente observado.

É justo que o Estado a ninguém obrigue a casar e é tolerável que admita, no contexto de uma sociedade secularizada, que alguns o possam fazer em regime precário, porque até a Bíblia admitia o repúdio, que Cristo revogou. Mas não é razoável que o ordenamento jurídico não contemple a possibilidade de um matrimónio civil indissolúvel. Portanto, a existência legal de uma união conjugal para sempre deveria ser garantida a todos os cidadãos, quer tenham ou não qualquer filiação religiosa, até porque mesmo os cristãos casados canonicamente carecem do reconhecimento civil da indissolubilidade do seu vínculo conjugal, a que têm direito em nome do princípio da liberdade. É certo que o próprio não se divorciará se não quiser, mas também é verdade que, só se a lei reconhecer eficácia jurídica à indissolubilidade assumida no pacto nupcial, poder-se-á opor eficazmente ao divórcio pretendido pelo cônjuge.

Quando o Estado e as instituições internacionais, que aceitam e até impõem o reconhecimento legal das mais abstrusas e instáveis uniões, não permitem a possibilidade jurídica de um matrimónio civil indissolúvel, não só potenciam a falência da família e da sociedade, como também incorrem na mais insanável contradição porque, em nome da liberdade, combatem uma das suas mais nobres e altruístas expressões.