Paolo Sorbi, l’autore della seguente nota, è assieme a Mario Tronti, Giuseppe Vacca e Pietro Barcellona uno dei quattro “marxisti ratzingeriani” che nel solco di Benedetto XVI riconoscono nella “questione antropologica” la sfida centrale di questo tempo.
Ecco le riflessioni che gli ha ispirato la rinuncia di Joseph Ratzinger al papato.
TRAUMA E SOGNO
di Paolo Sorbi
Calderon de La Barca: ”La vida es sueño”. Mai dramma barocco viene
più a proposito circa la grande rinuncia di Benedetto XVI. Ne “La torre”
di Hugo von Hofmannsthal vengono descritte lotte di tutti contro tutti
in una metaforica “Romania”, luogo che adombra la babele dei linguaggi,
le bande ideologiche e corrotte vaticane. Come per l’autore austriaco,
c’è un lato spagnolo nella crisi di civiltà europea che si scorge ben
delineato in Calderon e che riflette la caduta di comportamenti
culturali di una civiltà, un sistema organizzato impazzito, luogo di
continui conflitti senza valori.
Il mio timore è che si voglia far passare l’opzione di Benedetto XVI
come l’inizio di una modernizzazione traumatica che porterebbe a un vero
e proprio collasso la posizione elaborata dallo stesso Benedetto.
Delle due l’una: o Ratzinger non ha percepito il cuore della questione –
e lo escludo – o il suo messaggio è di responsabilizzarci ancora di
più, anche senza lui. Anche senza quella formidabile sua visione che
sola, però, con il ruolo sociologico e misteriosamente di fede del
primato di Pietro, aveva potenza di lotta culturale per capovolgere
l’infausta egemonia radicale e nichilista che avvolge e spinge verso il
tramonto dell’Europa, cui ho accennato citando Calderon e Hofmannsthal, e
della stessa vita, dei nostri anni come momenti dell’emergenza
antropologica.
Dunque: è accaduto un “bradisismo ecclesiale” assolutamente
imprevedibile, se lo viviamo come terremoto di una posizione teorica.
Posizione elaborata in buona parte, negli ultimi trent’anni, dallo
stesso Benedetto XVI. È un passaggio di una simbolicità enorme. Denunzia
un’impasse nella nostra stessa corrente socioculturale, di credenti e
non credenti, che sostiene le grandi questioni della critica razionale
al relativismo etico e all’uso delle biotecnologie senza cultura dei
limiti, della necessità, in campo dottrinale, di una cristologia
fortemente centrale nelle pur legittime teologie presenti nella
“Catholica”. Così come della irrinunciabilità dei mezzi poveri nelle
differenziate pastorali, del provare sempre più ad essere minoranza
creativa spiritualmente in grado di testimoniare eppur presente
nell’arena pubblica senza complessi di assurde nuove cristianità che non
sono né debbono essere l’orizzonte della nuova evangelizzazione. Per
non parlare dei formidabili temi della “Caritas in veritate” sulla
necessità dell’oltrepassamento del capitalismo selvaggio connotato da
“maturità e stagnazione” e che non indica se non “pensiero debole”.
In un contesto internazionale, poi, di crisi generale dei modi di
produzione, non solo e non tanto della semplice crisi della finanza. In
un contesto geopolitico di crisi drammatica mediorientale e di dinamiche
tumultuose. In un contesto di collasso demografico in tutto
l’Occidente, di non circolarità delle giovani élites sempre più fragili e
senza futuro. Insomma, in un passaggio grave di civiltà sarebbe stato
importante che Benedetto XVI resistesse, nonostante tutto e nonostante
le sue correttissime motivazioni.
”Perché ci hai lasciato così?”, si esprime il Grande Inquisitore al
Cristo ritornato di nuovo per visitarci “ad limina” nuovamente. Siamo a
questa altezza del dramma in questi giorni, bisogna intenderla bene la
scelta della rinuncia del papa. È questione di categorie epistemologiche
che dovevano sorreggerlo. Questo non è avvenuto.
Eppure non colgo forti autocontraddizioni nell’elaborazione della
centralità della persona umana come elemento decisivo, nell’educazione e
nel “politico”, dopo la fine della lotta delle classi e di fronte alla
miseria educativa della proposta nichilista. Cos’è che non funziona
nella teoria dell’emergenza antropologica?
Vorrei aggiungere che ritengo secondarie le questioni tipicamente
“moderne” della “produttività” delle dimissioni di un pontefice che è
lucido come Ratzinger. È banale dire che un tale gesto innova nella vita
della Chiesa. È giusto, ovviamente, ma insufficiente e non si coglie il
più profondo elemento di crisi di un pensiero che emerge da questi
avvenimenti. Invece in quest’epoca di potenza delle tecniche ciò è
avvenuto. Quasi ad indicarci come sia urgente una riflessione sulla
pervasività in tutti gli ambienti delle mutazioni antropologiche a
motivo delle reti tecnologiche che aprono inediti squarci di benessere e
comunione tra gli umani, ma anche fortemente produttrici di
individualismo e solitudini infinite dei soggetti sociali che, invece,
vanno orientati ai beni comuni e di relazionalità che, per me, restano
indubbiamente molto corporei ma che le tecniche smaterializzano. Che
fare verso questo poderoso “cervello sociale” che irriducibilmente
avanza nel globo e che ci inquieta, senza risposte adeguate con “fides
et ratio”? E men che meno con i vari pensieri gnostici e
spiritualizzanti, come se Dio non ci fosse, anzi ci fosse un ritorno,
grottesco, degli dei arcaici.
In questo contesto dire che, per la Chiesa, è necessario un nuovo
concilio, un Vaticano III, è aggiungere irresponsabilità a
irresponsabilità. Non tanto per le condizioni sociologiche che, al
contrario, renderebbero attuale dopo appena cinquant’anni una nuova
ecumene (tanto il tempo si è accelerato e colossali avvenimenti storici
sono accaduti). In effetti la necessità di nuovi “aggiornamenti”
ecclesiali è all’ordine del giorno, ma per la radicale inadeguatezza dei
critici della linea personalista di Joseph Ratzinger tutto si
avviterebbe nelle miserrime questioni “modernizzanti” sugli stili di
vita e le opzioni eugenetiche. Pensieri teorici cristiani
sostanzialmente sgangherati , balbuzienti nelle loro opposizioni
teologiche progressiste. Ora, però, si aggiunge un altro segnale della
sentinella: anche la cultura della vita e i suoi difensori ostinati e
corretti soccombono?