UNA SCOMMESSA SOPRANNATURALE
di Pietro De Marco
Nella “complexio oppositorum” cattolica, ovvero nella coerente
articolazione di opposti che caratterizza la Chiesa nella sua esistenza
piena (umana e divina, individuale e sociale, istituzionale e
carismatica, in terra e già in cielo), è contenuta anche la potestà del
vescovo di Roma, figura rappresentativa del mistero della chiesa Corpo
di Cristo e persona fisica titolare di un ministero di governo
universale. Ministero “razionale”, perché ordinato come ogni autentico
esercizio potestativo a degli effetti, valutabili nell’ordine dei fini
di quel Corpo.
Certamente, il “bene della Chiesa” non è agevole da definire; è
necessario capire cosa divengano istituzione e governo quando operano,
sul crinale del naturale e del sovrannaturale, per i fini ultimi, la
salvezza delle anime, come ricorda ancora, nella sua capacità di dire
l’essenziale, il diritto canonico.
Ora la impressionante decisione di Benedetto XVI va intesa, a mio
avviso, su questo crinale. Da un lato la memoria recente di un corpo
carismatico, quello di Karol Wojtyla, portatore fino all’ultimo attimo
(e oltre, fino alle esequie), di una autorità e di una grazia che
sovrastano in guadagno soprannaturale ogni criterio di efficienza di
governo. Dall’altro la previsione razionale – come intimamente razionale
è la Chiesa cattolica – di dissesti nel governo centrale, in nome e in
vece del papa malato.
Wojtyla optò, in coerenza con la sua geniale azione pubblica, per la forza evangelizzante del “corpo del papa”.
Joseph Ratzinger opta, in coerenza col suo affidamento all’agire
discreto e riflesso, per l’esigenza di una integrità “naturale”, per
l’integrità del papa, dunque per un successore. Il rischio di far
mancare alla Chiesa i doni di grazia di un governo condotto sotto il
segno della estinzione di “vigore sia del corpo sia dell’animo”, non
gli appare superiore a quello, razionalmente probabile, di mettere a
repentaglio la barca di Pietro.
Così, rispetto a Wojtyla, Ratzinger adotta un altro percorso nella
“complexio” cattolica, un opposto giudizio su ciò che il momento
mondiale ed ecclesiale richiede.
L’interpretazione “moderna” di questo atto, di certo meditato e
preparato, è legittima, ma non considera da quanti secoli il diritto
della Chiesa abbia riflettuto sulla figura del pontefice. Qui appare
quanto la modernità occidentale debba alla Chiesa cattolica, non
viceversa.
Ma l’interpretazione “moderna” contiene anche un pericolo, più
interno alla Chiesa che esterno: concepire d’ora in poi la rinuncia
all’ufficio come una nuova prassi che imponga di fatto le dimissioni al
pontefice malato o di “provecta aetas”, di età troppo avanzata.
Alla libera decisione, la sola validante l’atto e che esclude
pentimento, una prassi del genere sostituirebbe un vincolo, spezzando la
verità cattolica del duplice opposto percorso, il carismatico e il
“razionale”, e privilegiando una concezione del pontefice moderna in
senso deteriore, perché subalterna ad un canone di semplice efficienza
amministrativa.
Questo, si badi, è fatto per piacere a chi desidera, entro e fuori la
Chiesa, declassare il primato carismatico del vescovo di Roma a
circoscritta funzione, e porlo sotto il giudizio di terzi, dai medici ai
curiali ai vescovi. In sé, invece, cioè nei termini obbliganti del
diritto divino, il giudizio di idoneità del suo vicario è solo di
Cristo.
Benedetto XVI ha voluto provvedere all’effettività del pieno
esercizio del primato, non a un suo indebolimento. E anche lui ha
affidato a una superiore protezione il bene della Chiesa, con un rischio
simmetrico a quello che Wojtyla volle correre.
Dopo l’annuncio delle dimissioni ho ricevuto telefonate disorientate,
direi angosciate; il papa ci lascia, in una situazione del mondo e
della Chiesa drammatiche, situazione in cui egli era, nella peculiarità
di Ratzinger, il punto di resistenza, insostituibile. L’azione
potentemente correttiva, medicinale, di mezzo secolo di erramenti, era
affidata alle decisioni del papa; ora passa nelle imponderabili mani del
prossimo conclave e del futuro pontefice!
La posta in gioco, per quanto attiene al giudizio umano, è enorme.
Penso questo: come il sovrano rischio di Giovanni Paolo II di governare
la chiesa col suo essere sofferente ha ottenuto il miracolo di papa
Benedetto, così quello, altrettanto radicale, di Benedetto di
riconsegnare la Chiesa e la propria missione a Cristo perché ne dia il
peso ad un vicario integro, otterrà un altro pontefice alla misura della
storia.