Chi ha vissuto ai tempi della Guerra Fredda può averlo
dimenticato. Le nuove generazioni certo non lo sanno. C’è stato un tempo in cui
l’umanità viveva sotto l’incubo costante dell’annientamento planetario.
Immediato, istantaneo. Un attacco da parte di una delle due superpotenze avrebbe
avuto come conseguenza diretta la reazione della triade nucleare (missili
intercontinentali, bombardieri volanti, razzi lanciati da sottomarino)
avversaria, incendiando l’intero mondo con il fuoco atomico. L’umanità emersa
dalle rovine radioattive di Nagasaki era conscia di trovarsi sul bordo di
questo baratro: lo aveva essa stessa creato, ma di esso non vedeva il fondo. Lo
scienziato John Von Neumann la chiamò M.A.D., mutual assured distruction:
distruzione mutuale assicurata. Eppure, nonostante il marchio della catastrofe
definitiva fosse ben visibile sulla guerra ventura, la dottrina militare
atomica aveva una sua strategia. Gli americani affidarono larga parte della sua
elaborazione ad un think tank finanziato dal Pentagono e da privati, la
RAND Corporation. Capofila degli strateghi atomici era Herman Kahn. Esperto di
teoria dei giochi, Kahn relativizzò la portata dell’opzione atomica, e cominciò
ad affermare – scandalizzando i più – che una guerra nucleare non solo è
possibile, ma che essa può anche essere vinta. Kahn osava pensare l’impensabile,
come suggerisce il titolo di un suo libro del 1962, Thinking the
Unthinkable: «Nel nostro tempo, la guerra termonucleare può sembrare
impensabile, immorale, insana, orrenda, molto improbabile, ma essa non è
impossibile (…). Nonostante i nostri sforzi un giorno potremmo trovarci faccia a
faccia con la scelta netta di arrenderci o andare in guerra»[1].
Realista, smaliziato, nel 1960 Kahn raccolse i suoi pensieri in un libro che
sortì uno shock su entrambi i lati della cortina di ferro: On Thermonuclear
War, cioè «Sulla guerra termonucleare», con richiamo evidente al Von
Clausevitz di «Sulla guerra». Il testo produsse un impatto notevole anche su
Stanley Kubrick, che pensò al suo capolavoro Il Dottor Stranamore
leggendo Kahn, e ispirando a lui vari personaggi della pellicola. Lo stratega
americano dipinse un quadro completo: prevedeva che, nel dopobomba, gli anziani
avrebbero dovuto mangiare il cibo contaminato, riservando alle nuove generazioni
la precedenza sugli alimenti non radioattivi; il fallout nucleare sarebbe
divenuto solo uno dei tanti contrattempi della vita; le deformazioni fetali
prodotte dalle radiazioni vi sarebbero state, sì, ma un certo numero di bambini
sarebbe comunque nato sano. Tutti questi sono «tragic but distinguishable
postwar states»[2],
stati postbellici tragici ma percepibili, descrivibili. Life goes on, la
vita continua, sembra dire lo Stranamore della RAND. Ma vi è, in particolare,
uno specifico termine per il quale bisogna essere grati a Kahn. Ancora nei primi
anni Cinquanta, quando cominciò a definirsi il paesaggio dell’apocalisse
dell’atomo (l’URSS rese pubblico il suo primo esperimento nel 1949), lo stratega
notò che «era difficile per le persone di distinguere tra 2 milioni di morti e
100 milioni di morti. Oggi, dopo una decade di valutazione di questi problemi,
possiamo fare queste distinzioni forse anche troppo chiaramente»[3].
Per dare un metro che orientasse questo scenario di morte, Kahn si inventò una
nuova unità di misura, il megadeath, o megacorpse: la «megamorte»,
il «megacadavere». Un megadeath corrisponde a un milione di morti. Little Boy,
la bomba atomica da 16 kilotoni sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945,
produsse sul momento 66 mila morti, pari a 0,06 megadeath. Fat Man, l’ordigno da
21 kilotoni che tre giorni dopo distrusse la città cattolica di Nagasaki, può
essere misurato in 0,135 megadeath. Nella prospettiva di un conflitto con la
tecnologia atomica successiva, queste cifre (gli zero virgola) vanno del tutto
dimenticate.
La potenza delle bombe successive si misura difatti in
megatoni: sono, cioè, centinaia di volte più distruttive di quelle giapponesi.
Un megatone equivale a mille kilotoni, e un kilotone equivale a mille
tonnellate di TNT. Tanto per dare un’idea di quello di cui stiamo parlando, la
«Bomba Zar» – l’arma atomica sovietica rivelatasi la più devastante mai testata
dall’uomo – sortì nel 1961 una esplosione da 58 megatoni. Sarebbe a dire, dalle
20 alle 30 mila volte quella di Hiroshima e Nagasaki. Possiamo immaginare che,
lanciata su zone altamente popolate – come le regioni italiane[4]
– la quantità di megadeath procurati possa avvicinarsi alla doppia cifra.
Ebbene, è ora di realizzare che una strage misurabile in
diversi megadeath è avvenuta pure senza che venisse sganciata una sola bomba.
Sappiamo che dall’attuazione della legge 194, ben 6 milioni di italiani sono
stati annientati. Nei termini della dottrina militare termonucleare, questo è un
danno da 6 megadeath. In modo molto pratico, si può pensare che è come se
avessero sganciato sul nostro Paese almeno una cinquantina di vecchie bombe
atomiche da venti kilotoni. Non è difficile immaginarlo: 6 milioni di persone
uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto
il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con
l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della
Lombardia.
Per quanto possa sembrare allucinante,dobbiamo guardare in
faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa. Chi è
credente sa che siamo davanti ad uno delle più riuscite opere del demonio nei
nostri secoli: il massacro degli umani senza distruzione ambientale. Come una
bomba al neutrone – l’arma di nuova generazione che uccide la vita biologica ma
mantiene intatti i palazzi – piantata nel ventre della Nazione. Strage senza
conflitto, morte infertile, delitto che rende la madre – sommo capolavoro
infernale – una volenterosa carnefice dei suoi stessi figli. Questo è, in
termini politici, autogenocidio a spese del contribuente: lo Stato incoraggia e
finanzia la costruzione di bombe nucleari che poi fa detonare nel suo stesso
grembo. La Repubblica Italiana ha pagato perché venissero inferte al suo popolo
almeno 50 Nagasaki.
Davanti alla follia di questa realtà, comprendiamo quanto abbia
ragione Kahn: la guerra atomica è sopravvivibile. E perfino, osiamo dire,
preferibile: la guerra atomica è un evento nel quale l’uomo può percepire
nettamente il bene e il male. La società dell’aborto, invece, no: nella notte
relativista, a Moloch possono essere sacrificate milioni di vite, senza che in
capo al consorzio umano sia chiaro che ciò che si ha innanzi è il Male vero.
Ne consegue, che, considerati gli obbiettivi di riduzione della
popolazione terrestre che informano le centrali di potere planetarie, l’aborto
diviene un surrogato della bomba all’idrogeno: gli effetti, misurabili in
megamorti, sono gli stessi. L’aborto è la continuazione della guerra atomica con
altri mezzi. Ciò è vero da un punto di vista numerico e statistico, militare ed
umano. «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto,
perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano
della madre stessa»[5]:
le parole di Madre Teresa, pronunziate in occasione del Premio Nobel per la Pace
1979, sono vere alla lettera. L’aborto mina alla pace perché l’aborto è guerra:
è quindi, nell’era tecnica odierna la guerra dell’aborto diviene proporzionale
alla guerra atomica.
D’un tratto, comprendiamo meglio anche la dottrina militare e
socio-riproduttiva cinese. Diceva Mao che «la bomba atomica è una tigre di carta
di cui i reazionari americani si servono per far paura alla gente. Ha un aspetto
terribile, ma di fatto non è terribile. Certamente, la bomba atomica è un’arma
che può provocare massacri immensi, ma soltanto il popolo decide l’esito di una
guerra, e non una o due armi nuove»[6].
In sostanza, Mao con scaltra concretezza orientale, era già arrivato al realismo
apocalittico di Kahn e dei megadeath intellectuals: la guerra atomica può
essere sopravvissuta. Potete infierire alla Cina Popolare anche 100, 200, 300
milioni di morti… Avremmo sempre altre centinaia di milioni di sopravvissuti
pronti a combattere, a lanciarsi in una nuova Lunga Marcia tra rottami
radioattivi. Come non vedere che questa stessa mentalità post-apocalittica è
quella che ha spinto il successore di Mao, Deng Xiaoping, verso la politica di
controllo delle nascite e la conseguente strage assoluta: 336 milioni di aborti
dal 1971, secondo dati diffusi lo scorso marzo dal governo di Pechino. 336
megadeath: la tigre di carta ha colpito davvero. Testate atomiche da diversi
megatoni sono state gettate su tutte le iperpopolate aree metropolitane della
Cina. Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Wenzhou, Tianjin, Chengdu,
Chongqing, Xian, Harbin, Hong Kong, Nanchino: la cifra di 336 megadeath copre
multipli della somma delle vittime di uno strike nucleare simultaneo su
tutte queste megalopoli. La Cina, come l’Italia, ha fatto deflagrare infinite
Nagasaki sui propri figli.
Non è diverso il discorso da fare per gli Stati Uniti, che dal
1973 (l’anno della Roe v. Wade, ossia l’inizio dell’aborto legale in USA)
al 2007 hanno ospitato 48.460.950 aborti chirurgici. Questo, fornito dal
Guttmacher Institute – il braccio di «ricerca e sviluppo» della multinazionale
dell’aborto Planned Parenthood – è un numero molto blando: vuoi perché tenuto
basso per questioni di PR (agli abortisti ora conviene dire che i feticidi sono
pochi), vuoi perché gli aborti chimici, i feti scartati in IVF, le pillole del
giorno dopo, i concepiti uccisi dai contraccettivi abortivi (come la pillola di
tipo 2) non sono qui conteggiati. L’attivista cattolico americano Michael Voris
suggerisce di aggiungervi il ghost number della generazione perduta: le
6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e
quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi
zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe,
sottratte alla società statunitense. Un danno di quasi 55 megadeath: come se il
temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i
sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche
demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi
potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000
atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti,
224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti,
39.447 pompieri, 17.221 barbieri. Soprattutto, e questo deve essere meditato
profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state
disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più
prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta
la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima
cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando
era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce.
Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita. L’aborto
interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un
uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che
seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno
aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri
figli – su una scala che non possiamo immaginare. Chi non crede a queste
romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati
dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori
americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal
PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un
danno di $37.600.000.000.000. Rileggiamo: 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.
Una quantità di danaro astronomica, con la quale, per darci un’idea, sarebbe
possibile comprare 169.802.662 case (ecco perché nessuno oggi in America riesce
a vendere la casa, hanno sterminato i clienti), 1.321.428.571 automobili nuove
(bello notare come le case automobilistiche – in Italia la FIAT – siano tra i
finanziatori delle Lobby della Morte). Il budget federale USA di 2 trilioni e
600 miliardi di dollari è contenuto 14 volte nella ricchezza che avrebbero
prodotto i morti per aborto. Il danno finanziario della Roe v. Wade è
peggiore di quello di una ordigno atomico innescato sotto Wall Street. Se questo
ancora non bastasse, per realizzare le dimensioni della sciagura si prenda una
mappa degli Stati Uniti, e si immagini che sottraendo 55 milioni di persone
(come se si abbattesse una pioggia di testate atomiche da 55 megadeath),
sparirebbero l’Alaska, il South Dakota, il South Carolina, il Nevada, il
Vermont, il Mississippi, l’Idaho, il West Virginia, il New Mexico, il Maine, il
Kansas, il Minnesota, il Kentucky, lo Utah, l’Arkansas, il Montana, il Nebraska,
il North Dakota, l’Oklahoma, Il Wyoming, il New Hampshire, l’Iowa, l’Indiana.
Come evidente, questo è un incubo da guerra fredda, uno scenario di distruzione
termonucleare.
Il problema è che dell’abisso di cui stiamo parlando non vi è
stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica.
Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio
della guerra), né la psicologia, né la filosofia paiono comprendere questo
Inferno per intero.
Due secoli fa, Hegel, sconvolto dalle guerre illuministe e
dall’uso delle armi da fuoco, ebbe a scrivere che «questa guerra non è di
famiglie contro famiglie, ma di popoli contro popoli (…) la morte va a finire
nell’universale, così come proviene dall’universale ed è senza collera che si
crea come pure si sopprime. L’arma da fuoco è la scoperta dell’arma universale,
indifferente, impersonale»[7].
Il filosofo idealista non si immaginava quale «arma, universale, indifferente,
impersonale» sarebbe entrata in opera con la bomba H. Di più, non poteva intuire
che la violenza e la perversione della tecnologia sarebbero sorte non tra
«famiglie contro famiglie» o tra «popoli contro popoli», ma nei popoli stessi,
all’interno della famiglia in sé: più annientante, universale ed impersonale
dell’atomica c’è solo l’aborto, che distrugge numericamente il popolo dal di
dentro, sconquassando per sempre la sua unità-base, la famiglia, invertendone
oscenamente il ruolo di matrice di vita. E il tutto in apparente tempo di pace.
Ma Hegel è un caso di incomprensione a sé, poiché il filosofo idealista mai è
sfiorato dalla sensazione che, diffondendo egli stesso un pensiero di negazione
del Primato dell’Essere, egli preparasse la mente dell’uomo a guerre ancora più
cruente di quelle napoleonidi, finanche alla guerra biologica dell’aborto,
Aufhebung suprema di un mondo che ha negato Dio.
Lo psicanalista Franco Fornari nei suoi studi sulla minaccia
atomica risalenti agli anni Sessanta notava che «la guerra è sempre stata una
strana agenzia di import-export di distruzione: il fatto nuovo che si verifica
con l’avvento dell’era atomica è la prospettiva pantoclastica, per cui l’ingorgo
delle aggressività nello Stato non può più essere drenato attraverso
l’esportazione, e rischia quindi di determinare una specie di crescenza tumorale
che assorbe in modo sempre più vistoso le energie di ciascuna nazione – specie
di quelle atomizzate»[8].
Lo studioso suggerisce che le Nazioni, private della valvola di sfogo della
guerra dal tabù dello scontro atomico, finiscano per dover somatizzare con
dolore nel loro stesso corpo sociale questa quantità di violenza inespressa. La
realtà è che la «prospettiva pantoclastica» di cui parla Fornari è stata già
rovesciata in una prospettiva «autoclastica»: l’aborto di Stato è infatti lo
scenario in cui la distruzione è inflitta dall’umanità a se stessa, in totale
consonanza numerica e morale con l’aggressività sterminatoria di un eventuale
conflitto atomico. Fornari fallisce nel riconoscere come la mortido, il
todestrieb, l’impulso di morte pensato dal suo maestro Freud, finisca per
torcersi contro l’altra enantiodromica radice dell’essere umano, la
libido. La libido, il cui fine per il riduzionismo scientifico
della psicanalisi è la continuazione della specie, è nell’aborto aggredita e
negata dalla annichilente volontà di morte del suo impulso speculare. Nella
disarmonica devastazione dei costrutti psichici primari dell’uomo – un impulso
contro l’altro, la Morte contro la Vita – possiamo vedere come degno di essere
chiamato «prospettiva pantoclastica», lo scenario di rovina totale di cui scrive
Fornari, sia in realtà – più che il conflitto atomico – proprio l’aborto. L’uomo
dell’era dell’aborto è scisso, schizofrenico. È al contempo assassino e suicida,
è nel medesimo istante genitore e carnefice.
Un altro psicanalista, l’inglese Edward Glover, intuì che sul
piatto del gioco atomico non vi era solo la salvezza fisica dell’uomo, ma la sua
stessa sostanza psichica. A pochi mesi dalle detonazioni di Hiroshima e
Nagasaki, Glover scrisse che la bomba atomica « è più un’arma di sterminio più
che un’arma bellica [e per questo] ben adatta alle più sanguinarie fantasie di
cui l’uomo è segretamente preoccupato durante la fase di frustrazione acuta (…)
La capacità così dolorosamente acquisita dagli uomini normali di distinguere tra
sonno, illusione, allucinazione è la realtà oggettiva della vita da svegli è
stata, per la prima volta nella storia umana, seriamente indebolita»[9].
Anche qui, viene da pensare che l’arma di distruzione di massa dell’aborto
supera la bomba H, pervertendo la mente dell’uomo in modo ulteriore,
distruggendo per sempre il limite tra il bene e il male, cancellando l’amore per
i suoi figli, invertendone la natura, indebolendo la realtà oggettiva della vita
da svegli che – con la legge naturale – gli dice: non uccidere, ama la tua
prole, sii responsabile di quello che fai. Glover sostiene che il pericolo della
bomba atomica sia quello di vellicare le fantasie sanguinarie profonde
dell’uomo, con grande rischio che un frequentatore di quelle «fasi di
frustrazione acuta» possa essere anche una di quelle persone in possesso, per
esempio, dei codici di lancio dei missili termonucleari; ebbene, lo stesso può
dirsi dell’aborto, con l’aggiunta che i codici di lancio per gli ordigni di
morte sono forniti dallo Stato all’intera classe medica e paramedica mondiale.
La bomba demografica dei milioni di aborti è infatti possibile solo grazie ad
operosi, entusiasti boia in camice bianco, sulle cui fantasie di morte
attualizzate in ambulatorio ancora troppo poco si è scritto.
Ma torniamo a Herman Kahn e alla sua dottrina. Pragmatico, Kahn
si chiede, in un capitolo di On Thermonuclear War: «i sopravvissuti
invidieranno i morti?»[10].
La risposta che si dà – veniva da una famiglia di ebrei praticanti ma divenne
col tempo totalmente ateo – è che alla fine no, i vivi non invidieranno i morti.
Per l’uomo del dopo-bomba, è Business as usual
I cattolici possono però pensarla in modo diverso. Perché in
maniera opposta si è espressa la Santa Vergine apparsa il 13 ottobre 1973 ad
Akita, in Giappone, nell’ultima apparizione mariana ufficialmente approvata
dalla Chiesa di Roma (in particolare, a seguire il caso a suo tempo fu il
Cardinale Ratzinger). Alla veggente Suor Agnese Sasagawa, la Vergine,
Marya-sama, disse: «Hi ga Ten kara kudari». Verrà il fuoco dal
cielo. Suor Agnese prosegue nel racconto delle parole della Madonna: «una
grande parte dell’umanità verrà distrutta, e né i preti né i fedeli saranno
risparmiati. I sopravvissuti invidieranno i morti». La promessa di Nostra
Signora di Akita risponde dettagliatamente al pensiero post-atomico di Kahn. Il
vero castigo che Dio abbatterà sulla terra, sarà peggiore della devastazione
termonucleare del pianeta immaginata da strateghi e generali.
Non è difficile vedere come l’aborto, il più terribile dei
peccati dei quali la Madonna in Giappone ha chiesto il pentimento immediato
dell’Umanità, sia una blasfema anticipazione di questa apocalisse con l’uomo che
si erige a giudice della Vita quasi fosse Dio, e allo stesso tempo sia il
delitto che più di ogni altro chiama la punizione divina. La pioggia di fuoco
che dal Paradiso si abbatterà sui figli di Dio.
Prima che questa avvenga, però, facciamo i conti con il nostro
mondo umano. Da ulteriori dati emersi dal documento dell’Istituto Guttmacher
Abortion Worldwide: A Decade of Uneven Progress, si ottiene che il numero
degli aborti commessi negli ultimi 40 anni potrebbe andare al di là di ogni
immaginazione: se il 2003 ha visto a livello mondiale 41,6 milioni di
interruzioni di gravidanza, è facile presumere che dagli anni Settanta ad oggi
il numero totale di aborti ecceda il miliardo. Avete letto bene: un miliardo di
morti. In termini di guerra atomica, per un effetto simile ci vuole un
ordigno-fine-del-mondo, una bomba in grado di spazzare via un continente intero.
Una simile arma, ad oggi, non esiste. Un miliardo di morti non si conta più
nemmeno in megadeath; un miliardo di morti è un gigadeath. Mille milioni
di morti: un concetto che lo stesso Kahn nel suo libro non arriva ad usare.
Eppure, questa strage è avvenuta, è qui: questa bomba è scoppiata.
La Storia dell’Arte ci mostra come dalla peste nera del 1348
scaturì un nuovo tema iconografico, chiamato il «trionfo della morte»: dipinti
che mostravano la morte stessa – rappresentata come uno scheletro dotato di
falce – mentre decima indiscriminatamente la popolazione, qui raffigurata nei
suoi diversi ceti sottolineando in dettaglio come Re, papi e gente comune siano
uguali innanzi ad essa, mentre diavoli e demoni aiutano il mietitore in questo
compito tremendo. Ebbene, quello che abbiamo davanti a noi, con la distruzione
massiva dell’aborto, non ha ancora trovato modo di essere dipinto, perché di
fatto eccede la fantasia più oscura.
È il trionfo della mega-morte. Perché, appunto, qui non
parliamo più di morte, ma di megadeath, di megamorte, di milioni – miliardi! –
di vittime.
E quanto ai diavoli che assistono la mega-morte trionfante,
pensiamola così: sappiamo che una bomba atomica da un megatone sganciata su di
una città demolisce ogni muro producendo un cratere di 400 metri di diametro e
70 metri di profondità. La bomba abortista, invece, distrugge non metropoli, ma
intere nazioni e crea nella terra abissi talmente profondi da arrivare
all’Inferno. I demoni, così liberati dal loro arcano rifugio, hanno quindi con
l’aborto un canale aperto per giungere diretti in superficie.
È bene che si comincino a prendere le misure di questa storia,
che è senza dubbio alcuno la più grande tragedia mai occorsa nella Storia, la
più terrificante minaccia mai comparsa sul cammino dell’uomo.
È bene che tutti noi comprendiamo, una volte per tutte, che ci
hanno scagliato contro un diluvio di testate nucleari – qualcosa come
otto-diecimila Nagasaki - e al momento non pare che nessuno voglia davvero
prendere provvedimenti.
Chi disconosce questa fatale realtà, è una ingenua vittima di
questa guerra infinita: è una scoria radioattiva ambulante, è uno zombie
apocalittico, un barbaro post-atomico incapace di pensare al di fuori dei propri
micro-interessi alimentari.
Chi crede che l’aborto non sia una priorità assoluta non solo
per la Chiesa, ma per l’Umanità tutta, chi ritiene che anzi esso sia una stupida
«ossessione» di cui i cattolici devono cominciare fare a meno, è complice della
bomba del Male, è collaboratore di questo sterminio demoniaco, è un Quisling
della giga-morte che cancella generazioni e generazioni dei nostri fratelli, dei
nostri figli. Chi non capisce che la guerra atomica dell’aborto va fermata ora,
è complice di Akuma, come chiamano in Giappone il Principe di questo
mondo. Disse Nostra Signora ad Akita: «Akuma ha, Kyōkai no naka made
hairikomi». Il demonio entrerà sin dentro la Chiesa. «Cardeinaru ha
Cardeinaru ni, Shikyō wa Shikyō ni tairetsu suru
deshō». Cardinali serreranno le proprie fila contro altri Cardinali, Vescovi
contro Vescovi. Akuma guiderà molti preti e religiosi lontano da Dio.
Quei preti che mi riveriscono saranno disprezzati ed attaccati. Chiese ed altari
saranno dissacrati. «Kyōkai ha, dakyō suru mono de ippai ni
nari». La Chiesa sarà riempita di compromessi. Akuma si concentrerà
specialmente sui consacrati.
Dunque, è giunta l’ora di chiedere a noi stessi: fino a quando?
Fino a quando dovremo tollerare questa guerra nucleare in cui – inermi, inerti,
impotenti - vediamo i nostri fratelli morire a migliaia di milioni? Fino a
quando dovremo sopportare la mano dei carnefici che preparano l’apocalisse? Fino
a quando incasseremo passivi questa ondata senza fine di morte, senza pensare
mai che si va à la guerre comme à la guerre?
Sta scritto: «Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse:
“Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?
Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a
settanta volte sette”»[11].
Abbiamo perdonato, sì. Ma qui siamo andati ben oltre le
settanta volte sette. I nostri fratelli assassini, hanno peccato contro gli
innocenti – uccidendoli - almeno un miliardo di volte.
La misericordia di Dio è infinita. Quella dell’uomo,
logicamente, non può esserlo.
[1]
Herman Kahn, Thinking About the Unthinkable, Horizon, New York 1962;
p.21.
[2]
Herman Kahn, On Thermonuclear War, Transaction Publishers, Piscataway
2011; p.20.
[3]
Herman Kahn, On Thermonuclear War, cit.; p.169.
[4]
Nikita Khrushev, in quell’aprile 1959 in cui l’Italia firmò per ospitare i
missili Jupiter americani, fu chiarissimo: promise che «in caso di guerra,
l’Italia sarebbe stata uno dei primi obbiettivi di distruzione atomica». Paolo
Cacace, L’atomica europea, Fazi, Roma 2004; p.81. In particolare, dai
pochissimi file declassificati, si è potuto apprendere del destino di
annientamento a cui sarebbero andate congiuntamente incontro l’Alta Italia e a
Baviera. In uno studio sulla strategia degli eserciti del Patto di Varsavia in
caso di scontro frontale col mondo libero, lo storico ceco-americano Vojtech
Mastny ha raccolto materiale per affermare che «sul fianco meridionale, il
compito dell’esercito ungherese era quello di far parte di un’operazione in cui
Monaco, Verona e Vicenza sarebbero state incenerite da un bombardamento atomico,
così come lo sarebbe stata Vienna, capitale della neutrale Austria». Vojtech
Mastny, A cardboard castle? An inside history of the Warsaw Pact
1955-1991, Central European University Press, Budapest 2005; p.23. I
dettagli dell’operazione, come spiegano con dovizia di particolare gli studiosi
Suppan e Mueller, sono contenuti in una grande manovra di esercitazione militare
che Mosca e Budapest lanciarono nel maggio 1965: «ad un possibile attacco
dell’Occidente con 30 ordigni atomici, il Patto di Varsavia avrebbe risposto con
un immediato contrattacco nucleare da 7405 kilotoni su Baviera Austria e Alta
Italia (…) armi nucleari occidentali avrebbero colpito Budapest, Debrecen,
Miskole, Szekesfehervar e altre città alle ore 07:00. Nello stesso preciso
istante Vienna avrebbe dovuto essere distrutta da due bombe atomiche da 500
kilotoni l’una, seguita alle 07:02 da Monaco, Oberammergau, Verona, e Vicenza».
Arnold Suppan – Wolfgang Mueller, Peaceful Coexistence or Iron Curtain?
Austria, Neutrality, and Eastern Europe in the Cold War and Détente, LIT
Verlag Muensterm, Berlino-Muenster-Vienna 2009; p.209).
[5]
Gregg Watts, Mother Theresa: Faith in the Darkness, Lion Books, Oxford
2009; p.130.
[6]
Si tratta della famosa zhǐlǎohǔ, l’espressione mandarina (composta
letteralmente dagli ideogrammi “carta” “vecchia” “tigre”) divenuta proverbiale
anche in Occidente con la traduzione di «tigre di carta». Mao spiegò il concetto
nell’agosto 1948 durante l’intervista alla giornalista americana Anna Louise
Strong. In Mao Tse-Tung, Opere scelte, 4 voll., Casa editrice in lingue
estere, Pechino 1969-1975, p.99. Mao tornò sul concetto della bomba atomica come
tigre di carta a Mosca durante l’Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti
ed Operai (18 novembre 1957), e durante un discorso al Convegno di Wuchang (1
dicembre 1958) dell’Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese.
[7]
In Claudio Cesa (a cura di), Hegel. Antologia di scritti Politici, il
Mulino, Bologna 1977.
[8]
Franco Fornari, Psicanalisi della Guerra, Feltrinelli, Milano 1970;
p.21
[9]
Edward Glover, War, Sadism and Pacifism, George Allen & Unwin, Londra
1946; p.274.
[10]
Herman Kahn, On Thermonuclear War, cit. p.40.