Mostrar mensagens com a etiqueta Vida. Mostrar todas as mensagens
Mostrar mensagens com a etiqueta Vida. Mostrar todas as mensagens

quarta-feira, 13 de novembro de 2013

Vescovo Gesuita: «Vogliono distruggere matrimonio e famiglia» - di Josip Horvatiček

In NBQ

Anche a Zagabria c’è un gesuita che fa parlare molto di sé: è monsignor Valentin Pozaić, vescovo ausiliare della capitale croata, personalità combattiva che ama parlare senza mezzi termini. Un suo recente durissimo intervento a una conferenza sull’ideologia di genere aveva provocato una dura reazione da parte delle autorità dello Stato, che sono arrivate quasi sul punto di farlo arrestare.

Il coraggio apostolico di mons. Pozaić si è nuovamente manifestato lo scorso primo novembre, in occasione della messa di Ognissanti, presso il più grande cimitero di Zagabria, il Mirogoj, trasmessa in diretta dal primo canale della televisione pubblica. Questa messa, e la successiva preghiera e benedizione per i defunti, viene celebrata ogni anno dall’arcivescovo cardinale Josip Bozanić; è interessante notare come, in assenza del cardinale, in viaggio pastorale negli Stati Uniti, sia stato scelto a rappresentarlo proprio monsignor. Pozaić, e non, ad esempio, uno degli altri due vescovi ausiliari, l’intellettuale Mons. Ivan Šaško o il più compassato monsignor Mijo Gorski. Alla luce di ciò che è poi avvenuto, questa è stata quindi una vera e propria investitura del vescovo gesuita da parte del vertice della Chiesa zagabrese affinché, in diretta televisiva, pronunciasse un messaggio ben preciso.

Commentando il Vangelo delle Beatitudini, mons. Pozaić afferma che Gesù «parla delle beatitudini per gli innocenti, per le “pecore in mezzo ai lupi”, per il mondo del bene in lotta contro il male, per la luce in lotta contro le tenebre, per la pace nel mondo nel quale regna il disordine». Lucifero, il primo motore della rivoluzione del male nei cuori degli uomini e nel mondo, «rifiuta le beatitudini e la loro benedizione, offre Babilonia, Sodoma e Gomorra, guerre e persecuzioni, famiglie e case distrutte».

Se Dio è respinto, prosegue il vescovo ausiliare di Zagabria, cessano di valere la legge naturale e quella di Dio; l’uomo, la famiglia e la nazione si perdono, e di conseguenza «la menzogna prende il posto della verità, il male diventa qualcosa di bello, il peccato è attraente e il sacro viene deriso». L’uomo delle Beatitudini è invitato a ricordare che «la verità diventa oggetto di commercio quando l’”alzata di mano” in nome della democrazia diventa un rito in favore dell’ideologia criminale del regime del momento. Al contrario, dalle Beatitudini nasce la trasformazione della mente e del cuore, e non il rivolgimento». Da questo rivolgimento e dalla rivoluzione culturale in atto si hanno, come conseguenza, «rotture familiari e sociali, disprezzo della vita umana al suo inizio e alla sua fine, il rifiuto di quella prima benedizione biblica: “Andate e moltiplicatevi”, e invece della cultura della vita, domina la piaga della morte».

Mons. Pozaić denuncia la sistematica distruzione legalizzata del matrimonio e della famiglia, colonne portanti di una società sana: «Al posto di un’educazione sana, viene imposta l’ideologia del lavaggio del cervello, l’ottundimento della coscienza, il disprezzo dei genitori e dei loro diritti. Chi vive le Beatitudini va incontro alla persecuzione; la cristianofobia assume dimensioni dolorose in tutto il mondo e anche nella nostra bella Patria, e si manifesta attraverso una rivoluzione culturale»; essa provoca «il sovvertimento della scala dei valori, lo scombussolamento dei mezzi e degli scopi, dei valori morali e materiali, di ciò che si può comperare e vendere, e di ciò per cui non esiste prezzo: la persona, la coscienza e la libertà, l’onore e la dignità».

Celebrando la festa di Tutti i Santi, afferma Pozaić, i cristiani confermano «la bellezza e la sublimità di quella visione primordiale e integrale dell’uomo creato maschio e femmina a immagine di Dio, e questi due saranno una sola carne, e saranno portatori di nuova vita, formando, attraverso il matrimonio, una famiglia secondo il piano di Dio per il loro bene personale, per il bene della nazione e dell’umanità, della città dell’uomo sulla terra e della città di Dio in Cielo».

Il vescovo ausiliare di Zagabria ha poi concluso la sua omelia ricordando che, percorrendo il cammino che porta al traguardo delle Beatitudini, noi non siamo soli, bensì camminiamo come comunità dei figli di Dio, come Chiesa raccolta attorno alla nostra Madre Maria, Regina di tutti i santi, dei beati, dei martiri, dei testimoni della fede: «La barca di Pietro, la comunità dei santi e dei redenti, è vincitrice nelle tentazioni terrene, e anche se è segnata dalla debolezza dei passeggeri all’interno ed è colpita da persecuzioni e tribolazioni dall’esterno, essa naviga in sicurezza verso il porto sicuro della salvezza, poiché al suo timone è Cristo il vincitore».

Ovviamente l’omelia ha provocato reazioni indignate da parte dei nemici di Dio, della Chiesa e dell’uomo. Ma la novità è che monsignor Pozaić viene attaccato prendendo a pretesto le parole di papa Francesco. Ad esempio, il ministro dell’Istruzione Jovanović, il cui programma di perversione dei bambini e dei giovani nelle scuole croate può essere trovato qui, scrive sul proprio profilo Facebook: «Mons. Pozaić ha letto almeno un libro di papa Francesco!? Dopo avere ascoltato un’altra delle sue “omelie” sono sicuro che non l’abbia fatto», e giù una lunga citazione per dimostrare che papa Francesco è contrario “agli eticisti senza bontà”.

In un commento per lo Jutarnji List, anche la giornalista Jelena Lovrić contrappone il vescovo Pozaić, apostrofato come “politicamente estremista” e “demonio”, a Papa Francesco, il quale, in occasione del recente incontro con il presidente croato Josipović avrebbe «trasmesso messaggi completamente diversi, messaggi di pacificazione, comprensione e collaborazione».

sábado, 19 de outubro de 2013

domingo, 21 de julho de 2013

Entrevista Mons Reig Pla: “No es suficiente aceptar el mal menor que nos ha traído en los últimos años tantas leyes inicuas”

In Análisis Digital 

Ante la falta de interés del gobierno en aprobar una nueva ley del aborto, Monseñor Reig Pla, obispo de Alcalá de Henares presidente de la Subcomisión episcopal de Familia y Vida de la CEE, ha asegurado en una entrevista a Aleteia que «si el retraso significara vacilación o vuelta atrás, habría que entenderlo como un verdadero fraude». Para el obispo «el único y verdadero progreso es la derogación de la ley que permite el aborto» y rechaza la idea de que una ley de supuestos sea un mal menor. Además constata que en el parlamento español no hay ningún partido político que defienda en su integridad la doctrina de la Iglesia Católica.
 
- El ministro de Justicia ha prometido en muchas ocasiones una reforma de la ley del aborto, sin embargo esta no llega. ¿Cómo valora el retraso del Gobierno en presentar la reforma de la ley? ¿Por qué?

Las presiones que está recibiendo el PP podemos imaginar que son muchas, fuera y dentro del partido. Sin embargo no podemos olvidar su promesa electoral, ni la presencia de cargos significativos del partido en todas las manifestaciones y movilizaciones que en España ha habido en los últimos años para promover la derogación de la ley del aborto. Teniendo en cuenta estos hechos, si el retraso significara vacilación o vuelta atrás, habría que entenderlo como un verdadero fraude. Lo que se debate con la derogación de la ley del aborto es apostar por la civilización del amor o quedar atrapados por la cultura de la muerte.

- Una ley de supuestos, como defienden desde el PP puede ser un mal menor. ¿Es suficiente?

No. Entre la vida y la muerte no hay una situación intermedia. No se puede abolir la esclavitud permitiendo un poquito de libertad. La vida y la libertad son bienes indivisibles. El único y verdadero progreso es la derogación de la ley que permite el aborto. Nunca la muerte de inocentes puede ser considerada un mal menor. Afirmar el derecho al aborto como está en la ley actualmente en vigor es entronizar el despotismo de la libertad individual y el totalitarismo del Estado.

- Muchas veces las leyes o la política están basadas en encuestas y en la opinión pública. ¿Puede estar el Derecho a la Vida a merced de lo que opinen las mayorías?

No. En la democracia no es suficiente afirmar el positivismo jurídico o la voluntad de las mayorías. Una democracia que no esté impregnada de los valores que defienden la dignidad de la vida humana o el bien social del matrimonio y de la familia, queda vaciada de contenido. Hay bienes que son anteriores al Estado, y que cualquier legislación tiene que respetar. Lo contrario es afirmar la arbitrariedad y la dictadura de las mayorías.

- ¿En España hay un auténtico movimiento civil contra el aborto, o más bien fuera de los católicos la sociedad lo ha aceptado pasivamente?

En España el movimiento pro vida y las asociaciones en defensa de la familia, fundada en el matrimonio entre un hombre y una mujer, han crecido en los últimos años y forman una red tupida, que ha podido emerger en varias manifestaciones en nuestro país. En estas asociaciones, la mayor parte civiles, se pone de manifiesto todo un programa donde hay católicos y otras personas con otros credos. Es verdad que la luz de la fe y del Evangelio de Cristo son decisivas para discernir lo que está en juego en el derecho a la vida y su dignidad. La fe nos enseña que la vida humana no sólo es digna porque pertenece a alguien, sino que es sagrada porque procede de Dios. La mejor defensa de la vida humana es el mandamiento divino: “No matarás”.

- En España no existe un partido político que defienda la vida. ¿Cómo pueden defenderse políticamente los católicos? ¿Mediante la abstención?

Ahora mismo en el Parlamento español no hay ningún partido político que defienda en su integridad la doctrina de la Iglesia Católica sobre bienes tan esenciales como la vida humana, el valor del matrimonio, el gran bien social de la familia, la auténtica libertad de enseñanza, la justicia social y la solidaridad para con los más empobrecidos. Estos bienes que son innegociables tienen que orientar el voto católico. No es suficiente aceptar el mal menor que nos ha traído en los últimos años tantas leyes inicuas. Los católicos deben de ser conscientes de su responsabilidad en la política y de lo que se juega en las votaciones y en la participación en las instituciones de la vida social.

- Diversos colectivos defienden el aborto como un derecho a decidir ¿Es el ser padre un derecho o una elección?

Reducir el derecho a la vida a la libertad o al derecho a elegir por parte de quien es responsable de la vida humana es un sofisma. En el caso del aborto el derecho a elegir coincide con el derecho a destruir la vida del inocente. Si esto fuera así tendríamos que aceptar que la vida en sociedad es un ámbito que se construye para la destrucción de la vida humana, lo cual es un absurdo. Vivimos en sociedad para ayudarnos unos a otros, para alcanzar juntos el bien común o el desarrollo en plenitud de cada vida humana. La responsabilidad del padre y de la madre es custodiar desde el amor la vida del concebido. Toda la sociedad debe colaborar subsidiariamente para que esta responsabilidad pueda ser llevada a cabo. Las políticas que crean progreso son aquellas que favorecen la presencia de nuevos ciudadanos, la educación de los mismos en la familia y la ayuda mutua entre todos. En este sentido podemos avanzar y construir una ciudad habitable para todas las personas.




segunda-feira, 8 de julho de 2013

Homilia do Patriarca D. Manuel Clemente - no dia da entrada solene como Arcebispo da Diocese de Lisboa

1.Ação de graças

Caríssimos irmãos e estimados amigos:

Ao começar o ministério de que o Santo Padre Francisco me incumbiu no Patriarcado, o meu primeiro sentimento só pode ser de ação de graças a Deus, que assinala a sua presença nas nossas vidas decalcando-as no trilho pascal que Jesus Cristo unicamente abriu. É altura de retomar na Igreja de Lisboa o que nela comecei a viver há seis décadas e meia, do âmbito familiar ao paroquial e do paroquial ao diocesano, com tantos exemplos e estímulos de leigos, consagrados e clérigos que a minha memória evoca agradecida. Destaco de entre eles os meus três sucessivos Patriarcas, os Cardeais Cerejeira, Ribeiro e Policarpo, nos quais pude divisar o rosto paternal de Deus e o cuidado pastoral de Cristo. Ao Senhor D. José Policarpo, reafirmo a muita gratidão pela amizade com que sempre me acompanhou, bem como pela lucidez e generosidade do seu serviço eclesial, dentro e além do Patriarcado. Sei que posso contar com a sua oração e conselho, para o trabalho que agora inicio.

Nesta evocação, não poderia faltar a Igreja Portucalense, de cujo serviço episcopal me ocupei nos últimos anos. Foram muitos e muitíssimos os testemunhos que lá colhi de dedicação a Deus e ao próximo, tanto na quadrícula diocesano-paroquial como nos institutos de vida consagrada, movimentos e associações de fiéis, ou em centenas de instituições sociocaritativas e outras, com generosidade reforçada pelas atuais dificuldades da sociedade portuguesa e especialmente nortenha. Norte que, aliás, bem nos pode inspirar a todos, pela capacidade de resistir, recomeçar e inovar, que a sua população reiteradamente demonstra, em muitos dos seus intervenientes sociais, económicos e culturais. Nunca poderei agradecer devidamente o apoio e o carinho com que sempre fui acompanhado pela Diocese do Porto e o seu magnífico povo, bem como pelas respetivas instituições públicas e privadas. Quero, ainda assim, destacar a grande comunhão eclesial que sempre encontrei nos órgãos coletivos da pastoral diocesana e, acima de tudo, nos caríssimos Bispos Auxiliares e demais membros do Conselho Episcopal. Como tudo na Igreja de Cristo, só em comunhão se serve a comunhão: assim foi no Porto, como assim é e será em Lisboa.

2. Comunidades de acolhimento e missão

Importa insistir neste ponto e à luz do Evangelho que ouvimos: «Naquele tempo designou o Senhor setenta e dois discípulos e enviou-os dois a dois à sua frente, a todas as cidades e lugares aonde Ele havia de ir. E dizia-lhes: “[…] Quando entrardes nalguma cidade dizei primeiro: ‘Paz a esta casa!’”»

Jesus envia os seus discípulos a todas as cidades e lugares aonde ele mesmo havia de ir. Este envio define permanentemente a Igreja e legitima-a como “cristã”, participando da missão de Cristo, que “por nós homens e para nossa salvação desceu dos Céus”. Ou, como lhe ouvimos dizer no quarto Evangelho, dirigindo-se ao Pai: «Assim como Tu me enviaste ao mundo, também eu os enviei ao mundo» (Jo 17, 18). Enviada a todas as cidades e lugares onde Cristo quer chegar, é função da Igreja abrir caminho a tudo o que assinala a sua vinda, superando egoísmos com partilhas e transformado solidões em convivências.

 Mas, falando de Igreja, falamos de comunidade e não de subjetivismos dispersos. Jesus envia-os “dois a dois”, como já aos Doze Apóstolos os reunira em grupo. Também e apenas deste modo se pode falar de Igreja “cristã”, pois Cristo nada faz essencialmente sem o Pai, ou eclesialmente o quer fazer sem os discípulos. Ensina-nos mesmo que, em Deus, a unidade é comunhão, quando prossegue: «Não rogo só por eles, mas também por aqueles que hão de crer em mim, por meio da sua palavra, para que todos sejam um só, como Tu, Pai, estás em mim e eu em Ti; para que assim eles estejam em Nós e o mundo creia que Tu me enviaste» (Jo 17, 20-21). 
  
A Igreja não existe para si mesma. No Espírito de Cristo, existe para Deus Pai em permanente ação de graças e para o mundo em constante serviço. O que não se inclui neste duplo e coincidente movimento está a mais e exige conversão. O mundo, este nosso mundo de hoje em dia, precisa urgentemente de comunidades de acolhimento e missão.

Não sendo este um momento de detalhes programáticos, adianto, ainda assim, o que me parece mais óbvio: a Igreja de Lisboa seguirá as indicações do Sínodo dos Bispos, na sua Mensagem de outubro último, e da Conferência Episcopal Portuguesa, na sua Nota Pastoral de 11 de abril, que visa “promover a renovação da pastoral da Igreja em Portugal”. Tiraremos certamente daqui plano e programa que baste para os próximos tempos e na maior correspondência ao que o nosso povo espera da Igreja, dentro ou mesmo fora das fronteiras da crença.

Diz-nos o texto sinodal: «É necessário criar comunidades acolhedoras, onde todos os marginalizados encontrem a sua casa, realizar experiências concretas de comunhão que, com a força ardente do amor […], atraiam o olhar desencantado da humanidade contemporânea» (Mensagem, nº 3). Comunidades que coletivamente o sejam, quer para acolher, quer procurando quem ainda não chegou, adianta mais à frente: «A obra da evangelização não é tarefa de alguns na Igreja, mas de comunidades eclesiais enquanto tais, onde se tem acesso à plenitude dos instrumentos do encontro com Jesus: a Palavra, os sacramentos, a comunhão fraterna, o serviço da caridade, a missão» (Mensagem, nº 8).

O Papa Francisco tem insistido repetidamente neste ponto, nos seus preenchidos meses de luminoso pontificado. E que importante é e será, que nas nossas comunidades todos possam encontrar sempre um “sim” à pessoa que são, mesmo quando não devamos conceder o que imediatamente nos peçam. Ainda aí imitaremos Cristo, que tanto evidenciava a misericórdia divina como não escondia a exigência evangélica, quer acolhendo quem vinha, quer propondo sempre mais e melhor, mesmo que difícil.

3. A consequência sociocultural do Evangelho

Nesta linha geral, a Mensagem do Sínodo dos Bispos dá-nos várias indicações, absolutamente a reter. Lembro apenas mais uma, aliás muito realçada nas recentes Jornadas Pastorais do Episcopado: «O gesto da caridade, por sua vez, exige ser acompanhado pelo empenho em favor da justiça, com um apelo que a todos envolve, pobres e ricos. Daí também a inserção da doutrina social da Igreja nos percursos da nova evangelização e o cuidado pela formação dos cristãos que se empenham em servir a convivência humana na vida social e política» (Mensagem, nº 12).

São muitas e globais, de facto, as consequências socioculturais do Evangelho, quer na concretização comunitária quer na aplicação social. Com a difusão do cristianismo e a sua feliz coincidência com as aspirações de tantas sabedorias e credos, foram pouco a pouco germinando sementes de vida, civilização e cultura de que não podemos abdicar sem pôr em risco a própria humanidade de nós todos: a dignidade da pessoa humana, na variedade enriquecida de raças e povos e sempre protegida e promovida da conceção à morte natural de cada um; a verdade familiar, na complementaridade homem-mulher, na geração e educação dos filhos e na entreajuda entre mais novos e mais velhos; uma visão desmitificada e responsável do conjunto da criação, que assim mesmo abriu espaço à ciência e ao autêntico desenvolvimento; a valorização do trabalho, como meio de realização pessoal e social de cada ser humano, sempre a garantir neste sentido; a distinção entre “Deus e César”, que abriu caminho à laicidade positiva das instituições políticas e à liberdade religiosa dos cidadãos; e o reconhecimento teórico e prático de quatro princípios indispensáveis a qualquer sociedade que se queira justa e realmente livre: a dignidade da pessoa humana, o bem comum, a subsidiariedade e a solidariedade (cf. Compêndio da Doutrina Social da Igreja, nº 160).

Nos tempos que vivemos, quase para nos refazermos como sociedade reencontrada, os cristãos têm de oferecer a todos, crentes ou não crentes, o que recebem de Deus, como luz penetrante, verdade verificada e caridade plena. Com simplicidade, como São Pedro ensinava aos que viviam numa sociedade ainda por evangelizar: «No íntimo do vosso coração, confessai Cristo como Senhor, sempre dispostos a dar a razão da vossa esperança a todo aquele que vo-la peça; com mansidão e respeito, mantende limpa a consciência...» (1 Pe 3, 15-16). Tanto mais que, diante da complexidade dos problemas, as respostas nem sempre são fáceis, exigindo abertura, esclarecimento e estudo; e os que não concordam hoje connosco, poderão fazê-lo mais à frente, em caminhos necessariamente comuns. Como o próprio nome indica, a concórdia começa nos corações, quando ninguém desiste de ninguém, seja em que campo for.

4. Rumos a seguir

Concluo, caríssimos irmãos e estimados amigos, aludindo à referida Nota pastoral da Conferência Episcopal Portuguesa, visando promover a renovação da pastoral da Igreja em Portugal. Indica-nos ela sete oportunos “rumos”, dos quais destaco os três primeiros: O primado da graça, «sabendo todos bem, pastores e fiéis leigos, que o essencial da vivência cristã e dos frutos pastorais na vida da comunidade não depende tanto do nosso esforço de programação e da multiplicação dos nossos passos e afazeres, mas sobretudo da transformação da nossa mente e da conversão do nosso coração, operadas pela ação da graça de Jesus Cristo»; a comunhão para a missão, requerendo «comunidades que sejam autênticas escolas de vivência da fé e da comunhão, gerando entre todos os seus membros laços de fidelidade, de proximidade e de confiança, que se traduzam no serviço humilde da caridade fraterna»; e a missão generalizada, «como empenho da comunidade toda e de todos seus membros».

Falando de graça, comunhão e missão, imediatamente pensaremos n’Aquela em que tudo se realizou primeiro, no acolhimento e oferta de Jesus Cristo ao mundo. Retomemos o exemplo de Santa Maria, que em Nazaré acolheu em si mesma e em Belém ofereceu a todos o Verbo de Deus incarnado. - Lembrai-nos sempre, ó Mãe de Cristo e da Igreja, que isso mesmo havemos de ser: pleno acolhimento de Cristo e missão permanente no mundo, para reedificar na paz a cidade de todos! 

+ Manuel Clemente, Patriarca de Lisboa

segunda-feira, 24 de junho de 2013

Nozze gay, la resa dei vescovi francesi - di Massimo Introvigne

In NBQ 

Quello che succede nella Chiesa cattolica in Francia, dopo le grandi manifestazioni contro la legge Taubira che ha introdotto il matrimonio e le adozioni omosessuali, è di qualche interesse per l'Italia, dove rischiamo di vedere presto lo stesso film.

Riassumo, per comodità del lettore, solo le ultime puntate della saga. 4 giugno:  il Consiglio «Famiglia e società» della Conferenza episcopale francese (CEF), presieduto dal vescovo di Le Havre mons. Jean-Luc Brunin e che comprende vescovi ed esperti, pubblica il documento «Proseguiamo il dialogo!»,  dove invita alla riconciliazione fra quanti - anche all'interno del mondo cattolico - hanno militato su sponde opposte nella questione del matrimonio omosessuale. 10 giugno: diverse voci del mondo cattolico conservatore - non necessariamente legato agli ambienti cosiddetti «lefebvriani» - chiedono che la CEF revochi l'incarico ai componenti del Consiglio «Famiglia e società», accusati d'insegnare una dottrina in materia di unioni omosessuali non conforme al Magistero della Chiesa. 13 giugno: interviene il Consiglio permanente della CEF che, senza sconfessare il Consiglio «Famiglia e società» - e ovviamente senza revocarne i membri - precisa però che tra chi manifestava contro e chi a favore della legge Taubira la Chiesa non è neutrale; che chi si opponeva a una legge che apre «ferite» nel corpo sociale aveva ragione; che il suo impegno «non è stato vano» e che dovrà continuare occupandosi di «altri campi dove la vigilanza è richiesta per il rispetto della persona umana», allusione evidente alla legge sull'eutanasia il cui iter legislativo è già cominciato in Francia.

Ma che cosa si legge nel documento «Proseguiamo il dialogo!»? A leggerlo di dritto e di rovescio - meglio due volte, perché cede talora a quel linguaggio «ecclesialese», comprensibile solo ai professionisti dei piani pastorali, tante volte sconsigliato da Papa Francesco - si scopre anzitutto che non include nessuna apologia dell'omosessualità, così che alcune critiche su questo punto appaiono sopra le righe e ingiustificate. Il documento afferma che la persona omosessuale dev'essere accolta «incondizionatamente» nella comunità cristiana, espressione che può certo prestarsi a equivoci. Ma precisa che «l'accoglienza incondizionata della persona assolutamente non implica in nessun modo l'approvazione di tutti i suoi atti», che la «differenza sessuale fra un uomo e una donna è l'elemento fondamentale» perché si possa parlare di matrimonio, il quale - per essere conforme a quanto la Chiesa insegna - dev'essere caratterizzato da «unità, indissolubilità, fedeltà e apertura alla vita».

Fin qui, dunque, tutto bene. Si può discutere l'accostamento pastorale che consiglia a chi si senta fortemente attratto da una persona dello stesso sesso di mantenere con questa persona un'«amicizia» la quale, senza negare la presenza di un'«attrazione sessuale», «scelga di non cedere» a tale attrazione. Il Consiglio «Famiglia e società» spiega che, in fondo, questa «amicizia casta» è la stessa che si può consigliare a chi si senta attratto da una persona dell'altro sesso che non è il suo legittimo coniuge. Si possono condividere le considerazioni sul fatto che la nostra società oggi non concepisce più un'amicizia separata dalla sessualità, e che quanto oggi sembra ambiguo in altre epoche era normale e permetteva di coltivare relazioni amicali durature che non si trasformavano in relazioni sessuali. Sul piano prudenziale, però - con tutto il rispetto per gli illustri esperti laici e professori universitari che fanno parte insieme con i vescovi del Consiglio «Famiglia e società» -, ci si può chiedere se il consiglio di mantenere una frequentazione e un'amicizia con una persona nei cui confronti si provi un'attrazione illecita, resistendo strenuamente a questa attrazione, sia oggi realistico. La maggioranza dei confessori probabilmente offre consigli diversi.

Quello però che mi turba di più nel documento «Proseguiamo il dialogo!» - e che ha indotto probabilmente il Consiglio permanente della CEF, pur senza sconfessare apertamente il Consiglio «Famiglia e società», a intervenire - è l'aspetto, per così dire, politico. Il documento è la presa d'atto di una sconfitta, e invita i cattolici a dare «prova di maturità democratica, accettando senza violenza che il proprio punto di vista non abbia prevalso». Tutto il tono del testo è quello di un mesto invito a ripiegare le bandiere, tornare a casa e accettare sportivamente la sconfitta aprendo una stagione di testimonianza silenziosa che tace e si limita a predicare con l'esempio, prova di «maturità spirituale». Operando, anzi, per la riconciliazione, la «coesione nazionale» e l'unità fra cattolici che hanno militato su fronti opposti, atteso che «all'interno della comunità cattolica, queste divergenze non mettono in pericolo l'unità ecclesiale». La riconciliazione, aggiunge il documento, potrà essere trovata impegnando i movimenti e le parrocchie su altri temi più condivisi, tra cui si citano i diritti dei Rom e quelli degli esodati (che ci sono anche in Francia). I giovani che considerano questi temi poco importanti dopo essersi entusiasmati per le manifestazioni contro la legge Taubira devono essere «accompagnati» con pazienza a uno studio più completo della dottrina sociale della Chiesa.

È vero che il documento attribuisce le «divergenze» fra cattolici sulla legge Taubira a diversi modi di derivare «conseguenze politiche» dai principi, e non da diversi principi, e contiene una riserva sulle adozioni omosessuali, su cui manifesta una più decisa opposizione. Ma bene ha fatto l'istanza superiore, cioè la presidenza della Conferenza episcopale, a precisare che in quelle «divergenze» qualcuno aveva ragione e qualcuno aveva torto.

Mi permetto però di dire che neppure il comunicato del Consiglio di presidenza della CEF va al cuore del problema, su cui è opportuna in Francia - come altrove - una riflessione ulteriore. Davvero si tratta di accettare la sconfitta, di «comportarsi da cittadini» - come afferma il documento «Proseguiamo il dialogo!» - «assumendo democraticamente la posizione di minoranza»? O la minoranza, anche sconfitta,  può legittimamente aspirare a diventare domani maggioranza? Le leggi ingiuste devono essere accettate e contrastate solo con la testimonianza silenziosa, oppure - come ha detto Papa Francesco parlando il 15 giugno proprio a parlamentari francesi - le leggi possono anche essere abrogate? E, se ci si limita alla testimonianza silenziosa o si parla d'altro, come creare un clima in cui le leggi ingiuste possano essere cambiate?

Qualcuno ha visto nel documento «Proseguiamo il dialogo!» un ennesimo esempio della deriva omosessualista in certi settori della Chiesa. Mi sembra un'esagerazione: sia pure - per riprendere l'espressione di un vescovo siciliano di cui «La Nuova Bussola Quotidiana» si è recentemente occupata - «sussurrando» la verità piuttosto che proclamandola con vigore, il documento riafferma sul piano strettamente morale i principi fondamentali del Catechismo. Sul piano politico, invece, mi sembra di scorgere nel testo una grande stanchezza. I vescovi e gli esperti del Consiglio «Famiglia e società» si chiedono se davvero «essere cattolici richieda essere sempre "contro" riforme presentate da altri come un progresso», se non si rischi di dare l'impressione di volere «imporre la fede o un punto di vista religioso».

S'insinuano qui precisamente i rischi denunciati dal cardinale Burke in occasione del convegno romano per la «Giornata dell'Evangelium vitae» il 15 giugno. Ci si lascia intimidire dalla critica secondo cui i cattolici non sposeranno persone dello stesso sesso ma non possono impedire di farlo ai non cattolici, anziché rispondere che qui sono in gioco principi di diritto naturale che la ragione può e deve riconoscere a prescindere da qualunque opzione religiosa. Peggio ancora, ci si lascia intrappolare dal mito del progresso irreversibile e ineludibile, per cui si pubblica stancamente qualche documento «sussurrato» per amor di firma, ma in fondo si rimane convinti che la sconfitta è inevitabile e certa, e che tanto vale accettarla «democraticamente» per evitare di farsi dare dai media anche dei cattivi perdenti.

Se non si superano queste due autentiche superstizioni che la propaganda laicista insinua anche nei «buoni» - talora persino nei vescovi - ogni sconfitta prepara la sconfitta seguente. Serve a poco indicare come prossima fermata l'eutanasia, se si pensa che anche lì i cattolici non potranno «imporre un punto di vista religioso» ai non credenti - quasi che la difesa della vita umana valesse solo per chi crede e non fosse anch'essa, com'è, un'esigenza della legge naturale - né, alla fine, presentarsi come quelli che sono sempre «"contro" riforme presentate da altri come un progresso».

In un bel discorso del 7 giugno agli studenti dei Gesuiti, Papa Francesco ha invitato alla virtù dimenticata della «magnanimità», che spinge alle cose grandi e a combattere battaglie apparentemente impossibili. Dirottare le proprie energie dalle battaglie difficili per la vita e per la famiglia ad altre - come quelle sui Rom o gli esodati - che riscuotono il facile applauso dei media corrisponde alla tentazione di non essere scomodi, di compiacere il mondo, di farsi applaudire anziché criticare dai poteri forti che controllano l'opinione. È la tentazione della «mondanità spirituale» di cui parla spesso il Pontefice. Chi è magnanimo, ha detto il Papa il 7 giugno, «non ha paura di andare controcorrente, anche se non è facile». Combatte anche le battaglie impossibili, perché sa che nulla è impossibile a Dio.

segunda-feira, 20 de maio de 2013

A verdadeira conspiração - por João César das Neves

In DN 

Se alguém pretender destruir a sociedade, como deve proceder? Multiplicam-se essas acusações e os réus são múltiplos, do Governo aos bancos, do euro aos corruptos. Tomemos então a sério tais denúncias. Se se quiser mesmo a aniquilação de Portugal, qual a forma mais eficiente de o conseguir?

Curiosamente as dificuldades recentes provam o oposto do que muitos alegam: o tecido social de um povo é sempre muito resistente, o que torna a sua destruição extremamente difícil. Uma crise económica, por grave que seja, nunca gera efeitos duradouros numa nação, quanto mais definitivos. Mesmo que a dose fosse muito maior, como na Grécia ou em Chipre, ao fim de uns anos tudo normaliza. Até o caso extremo da "grande depressão" dos anos 1930 não chegou para destruir os EUA, que aliás pouco depois dominavam o mundo.

Se o nosso inimigo radical passasse para métodos políticos ou militares, não teria melhor sorte. A França de 1792 ou a Alemanha de 1945 são casos extremos de pressão revolucionária ou demolição bélica. Mas nem essas gerações se perderam, quando mais a respectiva cultura e nação. A única conclusão razoável é que a sociedade é uma das realidades mais resistentes do universo. As contínuas referências a demolição nacional não passam, portanto, de exageros vácuos. Sabemos bem como as dificuldades levam muitos a carregar no acelerador retórico, disparando a grande velocidade para a asneira. Mas, apesar do que dizem, é muito difícil destruir Portugal.

Quer isto dizer que um malévolo não teria forma de conseguir os seus perversos intentos? Não. Há uma maneira, e é simples. Para matar um homem cortando-lhe os braços, é precisa uma espada; para o atingir no coração, basta uma agulha. A maneira mais eficiente de dar cabo de um povo é ferir o seu núcleo mais central. E é isso exactamente que nos está a acontecer.

Não existe nenhuma conversa sobre a família em que não se oiça que ela é a célula base da sociedade. Que poderemos então concluir da sua dramática crise contemporânea, senão que ela põe em risco a sobrevivência nacional? A única dedução possível é que está bastante adiantada uma degradação de todo o tecido cultural, de onde só recuperaremos com muita dificuldade. Um povo com dúvidas sobre o sentido de "cidadão" sofreria graves consequências. Que dizer de um que degrade o conceito de casamento?

A queda demográfica chega, só por si, para justificar enorme preocupação. Sem filhos não há futuro e a inversão da pirâmide etária cria vastas consequências. Como pretender crescimento económico numa população em regressão? Mesmo assumindo que a tacanhez actual só liga a questões económicas, fiscais e políticas, já teria aí muito com que se entreter.

A isto juntam-se as brutais consequências humanas, psicológicas, educativas, culturais e sociais que nascem de famílias em desagregação. Conflitualidade conjugal, explosão de divórcios, desequilíbrio emocional, precarização de relações, penetração do egoísmo, são sintomas evidentes e ameaçadores. O resultado é solidão, desespero ou embriaguez.

Tudo nasce de uma ideologia lasciva que impõe o postulado de que no sexo todos os prazeres são equivalentes e devem ser excitados. Esta mentira evidente e clamorosa consegue passar por razoável na propaganda libertina. O tempo que teme tabaco e obesidade promove divórcio, aborto, promiscuidade e depravação.

O que mais espanta é a apatia generalizada da população perante a podridão, enquanto se enfurece e assusta com questões económicas, secundárias e passageiras. As elites de poder, do CDS, PSD e PS, aplaudidas por PCP e BE, são parte activa do problema, não da solução. As leis recentes sobre o tema envergonhar-nos-ão durante séculos.

Portugal está doente, muito doente. Não pelo défice e dívida, nem sequer pelo desemprego e recessão. Tudo isso resolve-se em anos. A verdadeira doença que, mesmo não fatal, deixará mazelas por gerações, é a incompreensível, boçal e brutal dissolução familiar. Assim este período ficará marcado na nossa história. Se houver história.



quarta-feira, 29 de agosto de 2012

Pope suggests it’s best to be ‘honest’ and leave the Church if you don’t believe: HLI priest - by John-Henry Westen

VATICAN CITY, August 28, 2012 (LifeSiteNews.com) - In his Angelus address Sunday, Pope Benedict XVI spoke of Judas’ betrayal of Christ, saying that Judas’ problem was failing to leave Christ when he no longer believed – a “falsehood,” said the Pope, “which is a mark of the devil.”

“Judas,” said Pope Benedict, “could have left, as many of the disciples did; indeed, he would have left if he were honest. Instead he remained with Jesus. He did not remain because of faith, or because of love, but with the secret intention of taking vengeance on the Master.” 

According to Human Life International Rome Director, Monsignor Ignacio Barreiro, the comments are very relevant to the current situation in the Catholic Church.  Msgr. Barreiro, who holds a doctorate in Dogmatic theology, told LifeSiteNews that “for those Catholics who cannot bring themselves to believe the formal teachings of the Church on life and family matters it would be more honest to leave the Church rather than betraying Her.”

But, he added, “We regret very much that the person is so inclined and we wish they would have a conversion to truly believe.” 

Pope Benedict, in his remarks, drew a distinction between believing and understanding, noting that some disciples walked away from Christ because they did not believe. However, he said, even those who remained believed before they fully understood.

The HLI Rome Director commented, “Intellectual difficulty is not disobedience.”  He explained, “You might have teachings you find difficult to accept. However, (in those circumstances) it is virtuous to believe since you make a sacrifice of your own will, taking as your own the mind of the Church.”

Msgr. Barriero noted that submission of will and intellect is required when it comes to the official teachings of the Church, rather than prudential opinions.  “For example,” he said, “it is required for the teaching on abortion, but there can be legitimate differences of opinion among Catholics on how to take care of the poor.” 

Giving another example, he pointed out that “while the Church can never ordain women as priests, there can be difference on how to ensure all are provided access to medical care.”

The pope concluded with a prayer asking God to “help us to believe in Jesus, as St. Peter did, and to always be sincere with Him and with all people.”  

CLICK ‘LIKE’ IF YOU ARE PRO-LIFE!

sexta-feira, 22 de junho de 2012

Multitudinario adiós a Chiara Corbella, la joven madre coraje que se fue al Cielo

ROMA, 21 Jun. 12 / 05:32 am (ACI).- Una multitud se reunió el último sábado en la iglesia Santa Francisca Romana de esta capital en los funerales de Chiara Corbella, una joven de profunda fe católica que murió por retrasar un tratamiento contra el cáncer para proteger al bebé que esperaba.

A sus 28 años de edad Chiara tenía un feliz matrimonio con Enrico Petrillo. Juntos superaron el dolor de ver morir a dos hijos poco después del parto debido a graves malformaciones y compartieron su testimonio en diferentes eventos pro-vida. Para ellos los minutos que vivieron con sus hijos David y María fueron los más felices de su existencia.

En el 2010, Chiara resultó embarazada por tercer vez y según los médicos el niño estaba completamente sano. Sin embargo, a ella le diagnosticaron un agresivo cáncer de lengua y le propusieron someterse a un tratamiento que pondría en riesgo a su hijo.

Chiara decidió proteger al bebé y pospuso el tratamiento hasta el nacimiento de Francisco, el 30 de mayo de 2011.

El cáncer avanzó con fuerza, perdió la vista en un ojo y los médicos la desahuciaron en abril pasado. Chiara falleció el 13 de junio acompañada por sus seres más queridos y convencida de que partía al encuentro de sus hijos mayores.

"Voy al cielo para ocuparme de María y David, y tu quédate aquí con papá. Yo desde allí rezaré por vosotros", escribió Chiara en una carta dirigida a Francisco una semana antes de su muerte. 

Los funerales fueron oficiados por el Vicario General de Roma, Cardenal Agostino Vallini, quien recordó a Chiara como la "segunda Gianna Beretta", la santa que sacrificó su vida en circunstancias similares para proteger a la niña que llevaba en el vientre.

A la ceremonia asistieron además cerca de mil personas, quienes despidieron a Chiara con cantos y aplausos. 

Entre los celebrantes estaba también el padre espiritual de Chiara, el franciscano fray Vito, en cuya homilía recordó que la joven eligió arriesgar su vida para servir de ejemplo a otras embarazadas, "un testimonio que podría salvar a tantas personas".

Enrico, el esposo de Chiara, aseguró que vivió una "historia de amor en la cruz" y en declaraciones a Radio Vaticana, explicó que "a través de las vidas de nuestros hijos hemos descubierto que la vida, 30 minutos o 100 años, no tienen mucha diferencia. Ha sido siempre maravilloso descubrir este amor cada vez más grande al afrontar los problemas".

"Así, nos enamorábamos cada vez más entre nosotros y de Jesús. Este amor no nos desilusionó jamás, y por eso, nunca perdimos el tiempo, aunque todos a nuestro alrededor nos dijeran: ‘Esperad, no tened prisa por hacer otro hijo’".

"Hemos vivido este amor más fuerte que la muerte. La gracia que nos ha dado el Señor, ha sido la de no poner barreras a su gracia. Hemos dicho ‘sí’, nos hemos acogido a Él con todas nuestras fuerzas, también porque lo que nos pedía era más grande que nosotros", explicó.

"Y entonces, siendo conscientes de esto, sabíamos que solo no habríamos podido jamás conseguirlo, pero con Él sí. Hemos tenido un noviazgo normal, rompimos, reñimos un poco, como todos los novios. Pero a un cierto punto, cuando decidimos hacer las cosas seriamente, cambió todo".

"Hemos descubierto que la única cosa extraordinaria es la vida misma", subrayó. 

"Dice el Señor: ‘A todos los que le acogieron, dio el poder de convertirse en hijos de Dios’. Chiara y yo deseábamos profundamente esto: convertirnos en hijos del Señor. Somos nosotros quienes debemos elegir si esta vida es por azar, o si existe un Padre que nos ha creado y que nos ama".

En un video de Chiara difundido en Youtube, ella asegura que "el Señor pone la verdad en cada uno de nosotros; no existe la posibilidad de entenderla mal", en este sentido, Enrico explicó que su mujer se refería "al hecho de que el mundo de hoy te propone elecciones equivocadas ante el aborto, ante el niño enfermo, ante el anciano terminal", pero "el Señor responde con historias como la nuestra".

"Somos nosotros quienes amamos filosofar sobre la vida, sobre quien la ha creado, y por tanto, al final, nos confundimos solos al querer convertirnos un poco en dueños de la vida y buscando de escapar de la cruz que el Señor nos dona", dijo.

"La verdad es que esta Cruz, –si la vives con Cristo-, deja de ser tan fea como aparenta. Si te fías de él, descubres que en este fuego, en esta Cruz no ardes, y que en el dolor está la paz y en la muerte está la alegría".

"Reflexionaba mucho, sobre todo este año, en la frase del Evangelio que dice que el Señor nos da una Cruz dulce y una carga ligera. Cuando miraba a Chiara, que estaba a punto de morir, me ponía, obviamente, muy agitado. Entonces tomé coraje y pocas horas antes –era sobre las ocho de la mañana, Chiara murió a medio día-, se lo pregunté. Le dije: ‘¿Pero Chiara, amor mío, esta Cruz es realmente dulce, como dice el Señor?’. Ella me ha mirado, me ha sonreído, y con un hilo de voz me ha dicho: ‘Sí, Enrico, es muy dulce’. De este modo, toda la familia no hemos visto morir a Chiara serena, sino que la hemos visto morir feliz, que es totalmente distinto".

Enrico asegura que cuando su hijo crezca le contará "lo hermoso que es dejarse amar por Dios, porque si te sientes amado puede hacerlo todo", y esto es "lo más importante de la vida: dejarse amar, para después, a la vez, amar y morir felices".

"Le explicaré que esto lo hizo su mamá, Chiara. Ella se dejó amar, y en un cierto sentido, me parece que amó así a todo el mundo. La siento más viva hoy que antes. El hecho de haberla visto morir feliz para mí fue un desafío a la muerte. Me daba mucho miedo pensar después de la experiencia con nuestros hijos, David y María, poder ver morir también a mi hijo Francisco", pero, "hoy sé que hay algo hermosísimo allá que nos espera", concluyó.

sexta-feira, 2 de março de 2012

A must read: The Strange Happenings at the Unreal Hotel - by Anthony Esolen

In Crisis Magazine

Many are the strange things going on in the Unreal Hotel.

In Room 101, a man and woman are lying together, and in more ways than one.

In Room 102, it is a man and a man.

In Room 103, a fellow named George, who has grown weary of his life, is meeting surreptitiously with his physician, Dr. Felix, to determine what will be the best medicine for him to take to bring his days to an appropriate end.

In Room 104, two teenagers, drunk with terror and glee, spin the nearly empty chamber of a revolver, while their friends look on and place bets.

In Room 105, a young girl, her boyfriend looking on from the corner, dials the nearest women’s health center to make an appointment to snuff out the life they have begotten.

In Room 106, Mr. and Mrs. Mobile sit anxiously by the telephone, waiting to hear whether their boy, whose ultrasound image they have seen, possesses a certain chromosomal anomaly which will instantly transform him from the prospective Michael, Junior, to an unfortunate object to be discarded.

In Room 107, a caseworker from an adoption agency writes “approved” below the application of two women for a baby boy, and “disapproved” below the application of a married couple, adding the explanation, “too fat.”

In Room 108, a lobbyist hunkers over his desk, writing up new regulations for his employer’s industry, regulations which will effectually drive many of his employer’s competitors out of business. When he finishes with this, he takes from his briefcase a speech on economic freedom, to correct the grammar and add incendiary flourishes.

In Room 109, an Education Czar chats with his colleagues about the need to center education upon the personal needs of the child, and also to ensure safety in schools whose students number more than a thousand.

In Room 110 – but I need not go on.

It is common for me to hear that the moral teachings of the Catholic Church, whereof I am a grateful member, are “unrealistic.” By this opprobrious term is meant, I gather, “absolutely impossible to abide by.” It is, then, considered impossible for John, or Mary, to remain chaste. It is impossible for Roy to refrain from abusing himself with another man. It is impossible for George to live out his days. It is impossible for teenagers to find enjoyment in what is true and good and beautiful. It is impossible for Dr. Felix to concentrate on healing rather than on destruction. It is impossible to bear a child. It is impossible to be honest. It is impossible to treat children as human beings. Beneath all these impossibles is the bald insistence of a spoiled soul: “What I do not want to do, that I cannot do.”

And yet realism is precisely what the Church’s teachings presuppose, and upon which they build. Consider the case of John and Mary in Room 101. They are not married, but they have removed their clothes. In doing so, they have quite literally divested themselves; their being naked to one another says, “There is nothing I withhold from you. I am entirely yours.” When they “make love,” as they call it, what is actually happening? Each body possesses within itself precious strands of human history: all the generations that have resulted in their physical beings are, as it were, ready to emerge again to the shores of light. They are doing the baby-making thing. They are doing what no human being can do on his own, nor can two members of the same sex do it. They are forming “one flesh,” organs cooperating in the complex interplay that is oriented towards the future. The seed of the man is being sown in the field of the woman’s womb, where it may well bring forth fruit. That is what is going on in Room 101.

John and Mary may object, “But we have taken a precaution. We have sown the field with salt beforehand. We have set a plastic guard under the soil.” All that does is to complicate the lie. It does not change the nature of the act itself. John and Mary, with their very bodies, are saying, “I give myself wholly,” and the organs are responding as if the gift were entire, yet the pleasure they experience is shot through with the self-contradiction. “I can rely on her,” John considers. “She’ll know better than to make too much of this.” Meanwhile a wave of sweat washes over Mary as her eye lights upon a white pill on the nightstand.

The core of all Catholic moral teaching is that good and bad are determined by the real nature of what we do. Our guiltiness – that subjective evil that dwells in the heart, which only God can see perfectly – is another matter. No Catholic can claim to know how God will judge John and Mary, or the teenagers at their roulette, or the blind educationist. But not all the lying in the world, not all the shrugs and ducks, not all the evasions, not all the precious intellectual pirouettes, can alter what is real.

Consider Room 102. If we look upon the bodies of the two men as essentially unreal – that is, though they are possessed of a certain physical composition, we say that there is no nature to the body, nothing that makes it this sort of thing rather than that – then we can pass no moral judgments whatsoever upon what they do. For there isn’t any “what they do”; it is only what they say they do, or what they will to do, or what they imagine they do. And this will satisfy most people now, because most people are comfortable inhabitants of Unreal City. Yet what is really happening to the seed? What is happening to this or that part of the body not meant for penetration? The Catholic teaching, frank and clear, begins with the command, “Respect reality. Notice what this body is, and what it is for. Notice what this masculine nature is for.”

The gun is for killing, not for a game. The teenagers are in fact committing, in law at least, reckless endangerment of human life; in morality, murder. But that is also what Dr. Felix is doing. All we need to do is to call the lethal toxin a “medicine,” and we see the lie, the adamant refusal to abandon Unreal City. For the toxin does not medicate. It does not heal a disease, or restore an organ to proper function. It does not even soothe pain. It eliminates the subject of the pain. Such “medicine” is analogous to a political program to stamp out poverty by eliminating the poor. It does not matter, either, that George wants Dr. Felix to administer the toxin, as it would not matter if a poor man were to say, “I give up, take my life.” The teenagers in Room 104, after all, are quite full of a desire to be where they are, playing their deadly game. Consent does not alter the act’s reality; it merely adds a conspirator to the killing.

As it turns out, the boyfriend in Room 105 has a ready answer for us. “It is only a blob of cells right now,” says he, having picked up the phrase in health class at Unreal High. But a blob of cells is precisely what the developing child is not. A blob may have a more or less spherical shape, but that is not what makes it a blob. A germinated seed may have a more or less spherical shape, yet it is certainly no blob. A blob is an undifferentiated mass. It is lifeless, unless it comes flowing from the ball return at the bowling alley in a bad movie. But the embryo is already a self-integrating organism. It is a living thing. It is human – not canine, not equine, not porcine. It dwells within the mother’s body – and she is, eo ipso, not a mother-to-be, but already a mother. But it is not a part of the mother’s body. That is flat biological fact. It possesses its own genetic makeup: neither that of the mother nor that of the father. It has begun to exist in time, like all living creatures. It not only has being; it is a being, and it is the sort of being that we all once were, and still are. It is not analogous to an acorn, or a sperm cell, or a grain of pollen. It is analogous to a seedling. We look upon the serrated three-lobed leaf on its tiny stem, poking up from the earth, and we say, correctly, “There’s a maple tree,” though as yet it possesses neither bark nor xylem nor sap. And the girl on the telephone knows this, because she had dearly wanted the boyfriend to say, “You’re carrying my child!”

The case of Mr. and Mrs. Mobile is fascinating. They are dwelling in a place we might call Unreal Square: an unreality upon an unreality, an unreality in an additional dimension. For until they hear the word from the laboratory, they can neither say “He is Michael, Junior, our son,” or “We should do away with it.” It is bad enough to suppose that a he can be transformed into an it by an act of imaginative will. It is bad in an altogether novel way to suppose that, until the decision is made, the developing child exists in limbo, neither child nor not-child. It is unreal to affirm that two and two make five. It is far more complexly unreal to affirm that one cannot know yet whether two and two will make four or five or any other sum.

The duelist says, “I was defending my honor.” The Church says – not needing to thumb through sacred Scripture, but only to respect reality, “No, you were an aggressor, putting a bullet through your neighbor’s heart.” The slaveowner says, “I am taking care of these people.” Bartolomeo de las Casas says, “No, you are treating them as chattel for your own profit.” The eugenicist says, “I am helping the poor.” Chesterton says, “No, you are passing around devices so that there will be fewer of the poor for you to ignore.” The polyamorist says, “I wish to love several women at once.” Pope John Paul says, “Alas, poor ignorant man, you do not even know what married love is, or you would not have so foolishly contradicted yourself.” The Pharisee says, “I am praying.” Jesus says, “No, you are praising yourself. The publican over there, who respects the reality of his sin, he is the one who is praying.”

If we would but adopt the Catholic position, that of acknowledging the being and the goodness and the integrity of what is, then we might find ourselves doing more than elementary moral reasoning. For it is pretty elementary, to determine that a healer is supposed to heal, and the baby-making act makes babies, and a male cannot mate with another male. We might, with toddling steps, come round to treating more subtle questions involving prudential judgments. We would not hold forth about education, until we had asked about realities. What is a child? What does it mean to know the truth? Why should we love the truth? We would not hold forth about economics, until we had asked about realities. Where are true riches to be found? For whom, and for what, do we work? What is a household? What makes for happiness in that household? We would not hold forth about politics, until we had asked about realities. What are people for? What is a community, anyway? What does the common good look like?

The faith I treasure in my heart has meditated upon these things for two thousand years, and its teachings are tender and subtle, rich and glorious. But one cannot begin to breathe that good air, unless one has taken those first stumbling steps out of the lies and the fog of Unreal City.

domingo, 26 de fevereiro de 2012

El Papa: Matrimonio es único “lugar” digno para procreación

VATICANO, 25 Feb. 12 / 11:30 am (ACI).- En el marco de la 18° asamblea general de la Pontificia Academia para la Vida en el Vaticano, el Papa Benedicto XVI afirmó que “la unión del hombre y la mujer en esa comunidad de amor y vida que es el matrimonio, es el único ‘lugar’ digno de la vocación a la existencia de un nuevo ser humano, que es siempre un don”.

“La dignidad humana y cristiana de la procreación, de hecho, no consiste en un 'producto', sino en su relación con el acto conyugal, expresión del amor de los cónyuges, de su unión no sólo biológica sino también espiritual”.

En su discurso dirigido a los más de 200 participantes en la asamblea, que abordará este año el asunto del “Diagnóstico y tratamiento de la infertilidad”, el Santo Padre remarcó que este tema, además de su importancia humana y social, “tiene un valor científico peculiar, y expresa la posibilidad real de un diálogo fecundo entre la investigación ética y biomédica”.

Benedicto XVI felicitó a los profesionales presentes por optar, antes que por el problema de la infertilidad de la pareja, por volver a “considerar, cuidadosamente, la dimensión moral, buscando caminos para una correcta evaluación de diagnóstico y terapia para corregir las causas de la infertilidad”.

“Este enfoque se mueve por el deseo no sólo de dar un hijo a la pareja, sino para restaurar su fertilidad a los recién casados y toda la dignidad de ser responsables de sus propias decisiones reproductivas, para ser colaboradores de Dios en la generación de un nuevo ser humano”.

El Papa les manifestó a los científicos su deseo de fomentar la honestidad intelectual de su trabajo, que es “expresión de una ciencia que mantiene despierto el espíritu de buscar la verdad en el servicio del auténtico bien humano, y que evita el riesgo de ser una práctica puramente funcional”.

El Santo Padre lamentó que “el cientificismo y la lógica de la ganancia parecieran hoy dominar el campo de la infertilidad y de la procreación humana, alcanzando a limitar también muchas otras áreas de la investigación”.

“La Iglesia presta mucha atención al sufrimiento de las parejas con infertilidad, cuida de ellas, y justamente por ello, anima la investigación médica”.

Benedicto XVI remarcó que “las legítimas aspiraciones de procrear de una pareja que se encuentra en una condición de infertilidad deben encontrar, con la ayuda de la ciencia, una respuesta que respete plenamente su dignidad de personas y esposos”.

Sin embargo, el Santo Padre señaló que la ciencia no siempre es capaz de responder a los deseos de muchos matrimonios, por lo que les recordó a aquellos que tienen una condición de infertilidad que esta no es una frustración a su vocación matrimonial.

“Donde la ciencia no ha encontrado una respuesta, la respuesta que da la luz viene de Cristo”.

Finalmente el Papa exhortó a los profesionales presentes a no ceder nunca “a la tentación de tratar el bien de las personas reduciéndolo a un mero problema técnico. La indiferencia de la conciencia frente a lo verdadero y el bien representa una peligrosa amenaza para un auténtico progreso científico”

“La gente tiene confianza en ustedes que sirven a la vida, tiene confianza en su compromiso y apoyo a quienes necesitan consuelo y esperanza”.

sábado, 25 de fevereiro de 2012

Santo Padre: Cada ser humano, en cualquier fase o condición de vida, es imagen de Dios

VATICANO, 27 Feb. 06 / 10:32 am (ACI).- Al recibir hoy a los participantes en la asamblea general de la Pontificia Academia para la Vida sobre el tema "El embrión humano antes de la implantación", el Papa Benedicto XVI afirmó que “la vida humana es siempre un bien” y subrayó que "en el ser humano, en cada ser humano, en cualquier fase o condición de su vida, resplandece un reflejo de la misma realidad de Dios”.

En su intervención, el Santo Padre resaltó que el tema que la asamblea estudiará estos días "es fascinante, pero difícil y arduo, dada la delicada naturaleza del sujeto que se examina y la complejidad de los problemas epistemológicos que conciernen a la relación" entre los datos científico-experimentales y la reflexión sobre los valores antropológicos.

Tras recordar que la Sagrada Escritura "muestra el amor de Dios por cada ser humano, antes incluso de que se forme en el seno de la madre", el Pontífice afirmó que “el amor de Dios no hace distinciones entre el ser humano recién concebido y que se encuentra en el seno materno, y el niño o el joven o el hombre maduro o el anciano, porque en cada uno de ellos ve la huella de la propia imagen y semejanza".

"Este amor sin límites y casi incomprensible de Dios por el ser humano –continuó el Papa–, revela hasta qué punto la persona humana es digna de ser amada en sí misma, independientemente de cualquier otra consideración –inteligencia, belleza, salud, juventud, integridad– etc. En definitiva, la vida humana es siempre un bien".

Benedicto XVI subrayó que "en el ser humano, en cada ser humano, en cualquier fase o condición de su vida, resplandece un reflejo de la misma realidad de Dios. Por eso, el magisterio de la Iglesia ha proclamado constantemente el carácter sagrado e inviolable de cada vida humana, desde su concepción hasta su fin natural. Este juicio moral vale ya en el inicio de la vida de un embrión, antes de que se implante en el seno materno".

Al referirse a la investigación sobre el origen de la vida, "un misterio cuyo significado podrá iluminar cada vez más la ciencia, aunque difícilmente logrará descifrarlo de todo", el Papa señaló que "quien ama la verdad debería percibir que la investigación sobre temas tan profundos nos posibilita ver e incluso tocar casi la mano de Dios”.

“Más allá de los límites del método experimental, en el confín del reino que algunos llaman meta-análisis, donde no basta o no es posible la percepción sensorial, ni la verificación científica, inicia la aventura de la trascendencia, el compromiso de ‘proceder más allá’", concluyó el Papa.

quinta-feira, 5 de janeiro de 2012

L'imitazione di Cristo - di Mario Palmaro

In Bussola Quotidiana

Jenni è una ragazza americana morta di tumore a 17 anni. Jennifer Michelle Lake poteva curarsi ma non l’ha fatto perché aveva paura di provocare, anche se involontariamente, la morte del figlio che portava in sé. Niente radioterapia, niente chemio, per proteggere il piccolo Chad. Che infatti è nato sano come un pesce, ed è rimasto con la sua giovane mamma per 12 giorni. Poi Jenny è morta.

Una storia straziante e magnifica, che sta commuovendo un numero incalcolabile di persone, perché gli ultimi mesi di vita della ragazza sono stati registrati dalla famiglia che ha creato su YouTube un canale dedicato, Jenni's Journey, e prima una omonima pagina Facebook per cercare di sovvenire alle sue necessità.

In un mondo che legittima l’aborto legale, gratuito e sicuro come un diritto irrinunciabile della donna; in un mondo che esalta la “scelta” della donna come buona in sé, a prescindere da quale sia; in un mondo in cui abortire o far nascere è ingannevolmente presentato come una scelta, occultando che sulla vita innocente nessuna scelta è possibile; in un mondo simile, l’esempio di Jenni sta toccando molti cuori. Una contraddizione che fa perfino rabbia, perché dimostra la deriva emotivista che opprime la civiltà in cui viviamo. La stessa persona è capace di tenere insieme ciò che non si potrebbe; e quindi, con la mente si votano leggi di morte e si condividono opinioni e mass media ferocemente abortisti; e con il cuore ci si commuove davanti al sacrificio estremo di una giovane mamma. Incredibile.

«Ho fatto quello che dovevo fare», ha sempre detto Jenni. C’è un abisso che divide questa vicenda dal mondo in cui è capitata; un mondo nel quale si calcola che ogni anno vengano abortiti volontariamente 40 milioni di innocenti. Un abisso infernale, se si pensa che la quasi totalità di questi delitti vengono consumati per motivazioni decisamente meno gravi rispetto al dilemma tragico che Jenni si è trovato davanti: per lei si trattava di scegliere fra la sua vita e quella del figlio. Di norma, oggigiorno si ricorre all’aborto per molto meno: per un figlio imprevisto, perché in casa manca una stanza in più, per non intralciare le scelte di vita e di carriera, perché si è troppo giovani, perché non è il momento, perché mancano soldi.

La condotta di Jenni surclassa l’atteggiamento mediamente diffuso tra i suoi coetanei o fra le donne che potrebbero esserle, per età, madri. Jenni ha testimoniato che, se aspetti un figlio, è normale che vuoi dargli tutta te stessa, vita compresa. Non sarà inutile notare che nel caso specifico Jenni avrebbe potuto invocare, sotto il profilo morale, il principio del duplice effetto; principio in base al quale si può tollerare un male temuto, a patto di non volerlo, di non avere alternative, di non usare questo male come mezzo per raggiungere il fine buono. Poteva provare a curarsi, accettando il rischio della morte del figlio: non si sarebbe trattato di un aborto volontario diretto. Ma Jenni ha voluto che la sua condotta fosse pienamente aderente a quello che Gesù insegna: non c’è amore più grande che dare la propria vita per i propri amici.

Del resto, la vera cultura pro-life è questa: da un lato, riconosce la sacralità di ogni essere umano innocente; dall’altro, sa che la vita è sacrificabile in un unico caso. E cioè, quando per amore e liberamente qualcuno offre sé stesso per la salvezza di chi ama. È questa, a pensarci bene, la più perfetta imitazione di Cristo.




terça-feira, 1 de novembro de 2011

Dialogo sì, purché questi atei non siano troppo ratzingeriani - di Sandro Magister

In Settimo Cielo

Li hanno ribattezzati i “marxisti ratzingeriani”. Sono i quattro autorevoli intellettuali di formazione marxista (Giuseppe Vacca, Mario Tronti, Pietro Barcellona e Paolo Sorbi, i primi tre non credenti) che hanno firmato la lettera aperta al Partito democratico e alle sinistre diffusa il 16 ottobre scorso e rilanciata integralmente in questo blog.

Con indubbia audacia, i quattro hanno invitato al dialogo “credenti e non credenti” su quella che a loro giudizio è la ragione profonda della crisi delle democrazie: “l’emergenza antropologica” prodotta dalla manipolazione della vita. Un dialogo fondato sulla critica del relativismo etico e sui “principi non negoziabili”, a partire dalla difesa della vita umana “fin dal concepimento”: cioè proprio su due punti fondamentali, e tra i più contestati, del magistero di Benedetto XVI.

Di qui, appunto, la definizione di “marxisti ratzingeriani” a loro applicata dallo storico Francesco Benigno su “L’Unità” del 26 ottobre, e poi ripresa da altri. Definizione che è già una liquidazione. Analoga a quella che ostracizza i cosiddetti “atei devoti”.

Perché è questo che accade. Tra gli atei e gli agnostici che parlano e scrivono di religione e in particolare del cattolicesimo, immediatamente viene tracciato un discrimine. Vengono ammessi sul campo quelli che si attengono a un preciso modulo di gioco. Ma per chi apprezza e sottoscrive i punti critici dell’insegnamento di Benedetto XVI, si alza il cartellino rosso dell’espulsione. Talvolta anche della derisione.

A compiere questo arbitraria selezione non sono soltanto taluni soloni del pensiero laico. Anche e forse più in campo cattolico, la “cattedra” con i relativi onori è concessa soltanto a quei non credenti che si attengono alla forma di dialogo inaugurata a Milano dal cardinale Carlo Maria Martini col titolo, appunto, di “Cattedra dei non credenti”.

Mentre per i “ratzingeriani” sono guai. Non si sopporta il loro stile “affermativo”.

Le autorità della Chiesa lo sanno. E infatti, prudentemente, nel dialogo avviato nel “cortile dei gentili” voluto da Benedetto XVI si guardano bene dal coinvolgere gli “atei devoti” tipo Giuliano Ferrara o Marcello Pera, nonostante il secondo sia stato addirittura coautore di libri con Joseph Ratzinger e destinatario nel 2008 di una importante lettera del papa sul dialogo interreligioso e interculturale.

Il mancato invito a tali personalità viene giustificato dal fatto che sono politicamente “schierate”.

Ma è una giustificazione che non sta in piedi. All’incontro di Assisi del 27 ottobre scorso, tra i quattro intellettuali atei invitati per espressa volontà del papa, ce n’era uno, Walter Baier, così qualificato nella presentazione ufficiale vaticana:

“Economista, coordinatore della Rete ‘Transform!’, un foro di ricerca europeo che raggruppa riviste e ‘think tanks’ di sinistra, è membro del Partito Comunista Austriaco”.

E un’altra, la più famosa delle quattro personalità atee invitate ad Assisi (vedi foto), la filosofa, psicanalista e linguista francese Julia Kristeva, non si può proprio dire che non sia anch’essa politicamente connotata e schierata.

In un suo libro come sempre graffiante, che sta per uscire in Italia per i tipi di Lindau, “Del buon uso del pessimismo”, il filosofo inglese Roger Scruton dedica alla “maoista” Julia Kristeva e ad altri maestri del ‘68 – tra i quali Philippe Sollers che è suo marito – righe di questo tenore:

“Sulla scia di Althusser un fiume di linguaggio pomposo fluì dal ventre della storia, che all’epoca si trovava nella rivista di sinistra ‘Tel Quel’. Questa rivista pubblicava saggi di Derrida, Kristeva, Sollers, Deleuze, Guattari e un altro migliaio di autori, tutti creatori di ciarpame intellettuale, del quale si capiva chiaramente solo un aspetto, vale a dire la sua qualità di ’sovversione’ rivoluzionaria. Il loro stile vaticinante, in cui le parole vengono scagliate come incantesimi piuttosto che utilizzate come argomentazioni, ispirarono innumerevoli imitatori nelle facoltà umanistiche di tutto il mondo occidentale. [...] Scrittori come Derrida, Kristeva e i loro successori più recenti come Luce Irigaray e Hélène Cixous dovrebbe essere letti semplicemente come militanti di sinistra. E le loro sciocchezze, riportate nelle note e nelle bibliografie di migliaia di riviste accademiche – fra le quali la più importante è la ‘Modern Language Review’ – sono state depositate in quantità degne di Augia su ogni possibile spazio disponibile dei programmi di studi. Il risultato di questo sforzo concertato di rendere inespugnabile la posizione di sinistra è stato un disastro intellettuale, paragonabile all’incendio della biblioteca di Alessandria, o alla chiusura delle scuole della Grecia”.