Il feticcio (omossessuale) dell' omofobia
di Roberto Marchesini
In Difendere la Vita
La nozione di omofobia è diventata un termine feticcio, che inibisce ogni riflessione e cerca di stigmatizzare coloro che ritengono che, socialmente, l'omosessualità pone un problema…
Il 29 giugno 2004, in Svezia, il pastore protestante Ake Green è stato condannato a un mese di carcere per un sermone tenuto l'anno precedente, nel corso del quale aveva criticato la recente legge sulle unioni omosessuali rifacendosi a brani biblici. La motivazione dell'arresto è «incitamento all'odio» nei confronti degli omosessuali (1). Nemmeno un mese dopo il collettivo degli omosessuali e transessuali madrileni (Cogam) ha accusato i vescovi di «apologia di omofobia» per essersi espressi a difesa del matrimonio cristiano e ha chiesto alla Magistratura di «procedere d'ufficio contro tutti coloro che compiono un tale crimine che non deve restare impunito» (2).
Il 27 luglio ultimo scorso il governatore del Friuli Venezia Giulia, durante un'intervista in diretta radiofonica (Radio 24), è stato accusato di «omofobia» da un ascoltatore per avere - mesi prima - riconosciuto il valore della famiglia eterosessuale (3).
L'omofobia non sarebbe un crimine da punire, ma una malattia da curare per il parlamentare italiano onorevole Franco Grillini, presidente dell'associazione Arcigay, il quale scrive: «Ecco perché è decisivo che [...] si riesca a sconfiggere il pregiudizio e l'ignoranza e, soprattutto, l’omofobia, vera patologia moderna come ugualmente patologici sono il rifiuto della diversità, l'intolleranza e il razzismo» (4). Gli fa eco G. Rossi Barilli, che scrive: «Prima o poi si dovrà riconoscere che la vera malattia non è l'omosessualità ma l’omofobia» (5).
Non manca chi, all'interno del mondo scientifico, preme perché venga al più presto inserita l'«omofobia» all'interno dei manuali diagnostici, come per esempio la dottoressa Katherine A. O'Hanlan, ginecologa e presidente emerita della Gay and Lesbian Medical Association, che in un articolo sostiene che «Homophobia as Psychiatric Pathology» (6). Essa sarebbe già diagnosticabile tramite il Dsm IV utilizzando la categoria diagnostica riservata all'omosessualità «egodistonica», ossia il «persistente e intenso disagio riguardo all'orientamento sessuale» (7).
Ma che cos'è l'omofobia? Un crimine, una malattia o che cos'altro? Che cosa si intende con questo termine, e perché viene usato come un'accusa?
Il termine «omofobia» è in genere attribuito al dottor George Weinberg, che lo coniò nel 1965 per poi utilizzarlo nei sui scritti negli anni '70 (8). La definizione che Weinberg dá nel 1972 di «omofobia» è la seguente: «La paura espressa dagli eterosessuali di stare in presenza di omosessuali, e l'avversione che le persone omosessuali hanno nei loro stessi confronti».
In questa definizione il termine omofobia viene utilizzato per esprimere due concetti che attualmente sono distinti, ossia l'«omofobia» e la cosiddetta «omofobia internalizzata». La distinzione tra «omofobia» e «omofobia interiorizzata» è in uso dal 1988, quando Gonsiorek creò questa seconda espressione dandone la seguente definizione: «L’incorporazione da parte di gay e lesbiche dei bias antiomosessuali prevalenti nel mondo sociale» (9); da allora il termine «omofobia» ha in genere una definizione piuttosto vaga, riassumibile tuttavia in questo modo: «Atteggiamenti, comportamenti e convinzioni che sono discriminatori e pregiudizievoli nei confronti dell'omosessualità» (10).
Non sentimento, ma disturbo
È evidente dunque che la definizione corrente di «omofobia» si riferisce a un atteggiamento, definito come «un sentimento positivo o negativo, generale e durevole nei confronti di una certa persona, oggetto o argomento» (11). Si possono classificare come atteggiamenti l'ammirazione nei confronti di una squadra di calcio, l'antipatia verso un politico, la preferenza per una marca di cioccolato piuttosto che un'altra. Le fobie sono invece disturbi psichici definibili come «paure intense, esagerate, immotivate per situazioni, oggetti o azioni che il soggetto prova nonostante spesso non ne capisca la ragione. [...] Il fobico posto a contatto con lo stimolo specifico temuto presenta in genere vere e proprie crisi d'ansia piú o meno intense e paralizzanti» (12). Alcune fobie tipiche sono per esempio la claustrofobia (paura per gli spazi chiusi o senza finestre), l'agorafobia (paura eterogenea che racchiude la paura degli spazi aperti come il timore di restare intrappolati qualora possa sopraggiungere un malessere o la morte), Pacrofobia (paura dei luoghi elevati e dell'altezza), la nictofobia (paura dei buio), l'aracnofobia (paura dei ragni)...
Perché venga diagnosticata una crisi d'ansia in seguito a una fobia il Dsm IV (13) stabilisce che debbano essere presenti almeno quattro dei seguenti sintomi: palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia; sudorazione; tremori fini o a grandi scosse; dispnea o sensazione di soffocamento; dolore o fastidio al petto; nausea o disturbi addominali; sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento; derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi); paura di perdere il controllo o di impazzire; paura di morire; parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio); brividi o vampate di calore.
Considerato tutto ciò, il termine «omofobia» sembra decisamente inappropriato per designare un atteggiamento; infatti lo stesso Dsm IV non riporta, tra le fobie, l'omofobia».
Recentemente (14), un gruppo di psicologi della University of Arkansas ha sottoposto 138 persone a una serie di test e a tre questionari per la misurazione del livello di ansia e paura. Tra i test somministrati l'Index of Attitudes towards Homosexuals (Iah), la Sexual Attitudes Scale, il Disgust Emotion Scale e il Padua Inventory; il primo è considerato lo strumento che misura l'«omofobia»; il secondo indaga il pensiero delle persone nei confronti della sessualità umana; il terzo strumento aveva il compito di misurare le risposte delle persone in termini di disgusto, mentre il Padua Inventory misura la paura di contaminazioni.
Le analisi statistiche compiute sui risultati hanno mostrato una correlazione negativa tra gli atteggiamenti nei confronti degli omosessuali e la misura di paura e ansia; invece i risultati del Iah erano correlata positivamente con i risultati della Sexual Attitudes Scale, del Disgust Emotion Scale e del Padua Inventory.
In altre parole, i soggetti che mostrano punteggi elevati all'Index of Attitudes towards Homosexuals mostrano attitudini sessuali « tradizionali», elevati livelli di disgusto e timore di diventare omosessuali: non paura e ansia. L'«omofobia» sarebbe quindi un atteggiamento, non una fobia. Lo stesso professor Lohr, che ha guidato la ricerca e che da anni studia le fobie, ha commentato i risultati con queste parole: « Se il disprezzo e il disgusto guidano l'omofobia, essa sembra piú un problema morale o sociale che un problema psicopatologico. Se cominciamo a considerare patologici gli atteggiamenti negativi - con l'implicazione che c'è qualcosa di sbagliato dal punto di vista medico nelle persone con pregiudizi, che essi sono in qualche modo malati nei loro atteggiamenti -, ciò mi sembra aberrante».
C'è una evidente e probabilmente voluta confusione tra atteggiamento e patologia, e un utilizzo ideologico e strumentale delle categorie mediche e psichiatriche.
Si profila uno scenario fantascientifico per cui gli attivisti gay, i quali sono riusciti tramite pressioni politiche (15) a far depennare la diagnosi di omosessualità a causa dello stigma sociale che questa poteva portare, ora cercano di stigmatizzare l'atteggiamento «omofobo» proprio attraverso una diagnosi psicopatologica.
Come accenna il dottor van den Aardweg, «chiunque non accetti l’omosessualità come cosa normale viene accusato di discriminazione a danno di persone diversamente dotate, persone che sono "sostanzialmente" diverse; forse - si dice - costui discrimina perché egli stesso reprime la componente omosessuale della propria vita emotiva o, peggio, perché soffre di "omofobia", timore patologico dell'omosessualità» (16). Cosi il dottor Anatrella: «L'omofobia è il termine utilizzato dalle associazioni omosessuali per designare l’atteggiamento di tutti quelli che si interrogano e criticano la volontà di imporre alla società la banalizzazione e la normalizzazione dell'omosessualità. Secondo questi militanti, ogni critica sociale dell'omosessualità manifesta, in coloro che la formulano, una paura dell'omosessualità, se non addirittura persino il timore che loro ispira la propria omosessualità incosciente» (17). «L'argomento piú utilizzato a fini propagandistici da associazioni omosessuali, quando si scontrano con argomentazioni che non sono in grado di discutere né di contraddire, è quello dell’“omofobia”. Questa nozione di omofobia (utilizzata in occasione della sfilata del Gay pride del 1999) è diventata un termine feticcio, che inibisce ogni riflessione e cerca di stigmatizzare coloro che ritengono che, socialmente, l'omosessualità pone un problema» (18).
Causa di tutti i mali?
In un crescendo paranoico, l'«omofobia» sembra essere diventata la causa di tutto ciò che avviene alle persone con tendenze omosessuali: «La fragilità e la confusione» (19), una «sessualità disincarnata e destituita di relazione, autenticità e progetto»(20), «un linguaggio camp, un abbigliamento appariscente, un atteggiamento frivolo» (21), una particolare «sensibilità» (22) eccetera; l'«omofobia», e la conseguente «persecuzione» della società «omofobica», diventa il principio esplicativo per ogni caratteristica che distingue le persone con tendenze omosessuali dagli eterosessuali.
Scrive Nicolosi: «Anche se, per definizione, una fobia è uno spropositato timore irrazionale, il termine "omofobia" è ormai impiegato per descrivere e spiegare qualsiasi reazione negativa nei confronti dell'omosessualità. Ogni problematica e sofferenza dell'omosessuale è attribuita o a un'omofobia sociale o a un'omofobia interiorizzata. In questa ottica, un rapporto scadente tra padre e figlio dipende dall'atteggiamento omofobico del padre che si sente minacciato dall'effeminatezza del figlio; oppure l'isolamento del ragazzo dai suoi coetanei è da ascrivere a una omofobia interiorizzata, cosi come l'alienazione dell'omosessuale adulto dalla famiglia e dalla società. Negli anni dell'adolescenza, l'omofobia provoca depressione, scarsa autostima, abuso di droghe e alcolici, ma le possiamo attribuire anche al narcisismo, oppure agli atteggiamenti passivi e l'incapacità di autoaffermarsi. Un ambiente ostile genera anche problemi interpersonali - come l'incapacità di avere una relazione che duri nel tempo -, nonché conflitti all'interno della psiche, che vengono alla luce nel corso della terapia (Malyon 1982). La ricerca di sesso anonimo, infine, è attribuita al desiderio dell'individuo di autopunirsi a causa dell'omofobia interiorizzata. Nessuno vuole ammettere l'esistenza di problematiche insite nella condizione omosessuale. Weinberg (1972), l'uomo che ha coniato il termine "omofobia", si serve di ben cinque criteri di definizione, ma la caratteristica citata con maggior frequenza è quella di "minaccia per i valori" (pp. 16-17). Tuttavia, il termine è stato esteso oltre l'originaria definizione di Weinberg e oggi si riferisce a qualsiasi teoria che consideri l'eterosessualità superiore alla e/o "piú naturale" dell’omosessualità (Morin 1977). Se consideriamo questa definizione, qualsiasi cultura o tradizione religiosa nella storia del mondo può essere considerata omofobica. Se chiedessimo a tutti i genitori de mondo se avrebbero voluto un figlio omosessuale, scopriremmo con certezza che siamo quasi tutti omofobici. Il termine è stato esteso ad nauseam. Eppure, coloro che amano usare il termine non vogliono ammettere che è piuttosto naturale rifiutare lo stile di vita omosessuale all'interno dei propri valori, senza per questo avere una natura "fobica". Questo non significa temere che questo stile di vita possa mettere in pericolo i vari valori, vuol dire semplicemente non accettarlo come una via alternativa naturale e percorribile» (23).
In particolare sarebbe colpa della società «omofoba» - e non dell'egodistonia provocata dall'omosessualità - la maggior incidenza negli omosessuali di abuso di droghe e di bevande alcooliche, di tentativi di suicidio e di prostituzione.
I rischi psichiatrici degli omosessuali
Un importante studio (24) ha confermato il malessere psichico della popolazione omosessuale: « I disturbi psichiatrici sono risultati prevalenti tra la popolazione omosessualmente attiva piuttosto che in quella eterosessualmente attiva. Gli uomini omosessuali hanno avuto, nell'ultimo anno, una prevalenza maggiore di disturbi dell'umore e di disturbi ansiosi rispetto agli uomini eterosessuali. Le donne omosessuali hanno avuto, nell’ultimo anno, una maggior prevalenza di disturbi da utilizzo di sostanze rispetto alle donne eterosessuali. Nel corso della vita gli indici di prevalenza riflettono identiche differenze, con l'eccezione dei disturbi dell'umore, che sono stati osservati piú frequentemente nelle donne omosessuali piuttosto che in quelle eterosessuali. [...] I risultati supportano l'ipotesi che le persone con comportamenti sessuali omosessuali corrono rischi maggiori per disturbi psichiatrici». Questo studio è particolarmente significativo perché è stato condotto su un enorme numero di soggetti: oltre settemila (7.076), tra i 18 e i 64 anni. Presenta inoltre una particolarità che lo rende decisamente interessante: è stato condotto in Olanda, Paese nel quale - per ammissione degli stessi autori - « il clima sociale nei confronti dell'omosessualità è da tempo e rimane considerevolmente piú tollerante» rispetto a quello di altri Stati. Se davvero le sofferenze degli omosessuali sono causate dal pregiudizio, dall'intolleranza e dallo stigma sociale - in una parola, dall'omofobia (25) -, le differenze registrate in Olanda tra il benessere psichico degli omosessuali e quello degli eterosessuali devono avere un'altra causa. E se questa causa fosse costituita dalle « problematiche insite nella condizione omosessuale»?
Gli omosessuali fanno registrare anche una maggior incidenza di tentativi di suicidio rispetto agli eterosessuali. La spiegazione di questo fenomeno sarebbe la seguente: «Sottoposti a prove tanto difficili, non sentendosi accettati o capiti dalle persone alle quali tengono di piú, alcuni omosessuali possono finire nella disperazione, almeno per brevi periodi di tempo. Non è dunque sorprendente che qualcuno di loro pensi o addirittura tenti di togliersi la vita» (26). Tuttavia la causa sembra da attribuirsi perlopiú a frustrazioni nella vita di coppia (gelosie, infedeltà) che non alla « persecuzione omofobica» (27). Commenta il dottor Nicolosi: «Un gruppo di ricerca guidato da Gary Remafedi ha messo a confronto un gruppo di adolescenti omosessuali e bisessuali che hanno tentato il suicidio con un gruppo di adolescenti omosessuali e bisessuali che non vi hanno mai pensato. Nel 44 per cento dei casi, i soggetti attribuivano il tentativo di suicidio a "problemi familiari, fra cui i rapporti conflittuali con i membri della famiglia, la crisi matrimoniale dei genitori, il divorzio o l'alcolismo". A dire il vero, non è una novità il fatto che l'omosessualità sia associabile alle disfunzioni strutturali della famiglia di origine dei soggetto. Affermare che i tentativi di suicidio siano dovuti solo (o principalmente) ai pregiudizi della società sembra essere una spiegazione semplicistica a un problema ben più complesso» (28).
L'omofobia è dunque solamente un tranello verbale, uno stratagemma ideologico? Potrebbe non essere così semplice.
Un altro recente studio (29) è stato condotto con l'obiettivo di dimostrare che lo stato di salute psicologica, l'integrazione sociale e la qualità della vita degli omosessuali è inferiore a quella degli eterosessuali. Anche in questo caso (1.161 uomini, tra i quali 656 si sono definiti gay, e 1.018 donne, tra le quali 430 si sono definite lesbiche) i risultati hanno confermato che «uomini gay e lesbiche presentarono un rischio psicologico maggiore degli eterosessuali [...]. La quantità dei disturbi per uso di sostanze è risultata più alta tra gli uomini gay e le lesbiche, i quali riferirono di aver fatto uso di sostanze esilaranti più frequentemente dei loro corrispettivi eterosessuali. Le lesbiche dichiararono più frequentemente delle donne eterosessuali di bere alcool in modo eccessivo». I ricercatori, tuttavia, partendo dal presupposto (come abbiamo visto, non giustificato) che le sofferenze degli omosessuali siano da attribuire esclusivamente alla discriminazione e all'intolleranza della società omofoba, hanno indagato sugli atti di bullismo subiti dai soggetti, omosessuali ed eterosessuali, e sulla causa percepita di questi. I risultati sono particolarmente stimolanti: i gay e gli eterosessuali hanno riferito di aver subito atti di bullismo a scuola o episodi di violenza negli ultimi cinque anni in percentuali molto simili, statisticamente non significative. Ciò che distingue i due gruppi di soggetti è invece l'attribuzione dei motivo dell'aggressione subita: «Uomini gay e lesbiche hanno spesso attribuito la molestia o la violenza alla loro sessualità», ossia: per gay e lesbiche il motivo delle aggressioni subite (in numero uguale a quelle subite dagli eterosessuali) è l’intolleranza nei confronti del loro orientamento sessuale, in altre parole, di nuovo, l'«omofobia».
In un'intervista, Joel Masure, del centro Ascolto lesbico e gay di Parigi, a proposito della difficoltà dell'essere omosessuali, risponde: «Se i pregiudizi persistono, essi sono, tuttavia, meno violenti che in passato. Sebbene nell'ambiente gay e lesbico vi sia la tendenza a ingrandirli, a immaginare che il mondo intero sia ostile, è comunque vero che in provincia, negli strati popolari, la situazione rimane estremamente complicata» (30).
Tutto ciò conferma quella tendenza all'autocommiserazione, al vittimismo, al senso di inferiorità e di persecuzione osservato, tra gli altri, da van den Aardweg e da Nicolosi (31). L'«omofobia» percepita come universale causa di ogni ferita emotiva e psicologica potrebbe quindi, in accordo con questi rilievi, essere una forma di proiezione sul mondo esterno delle proprie sofferenze; la personalità narcisistica, costruita dagli omosessuali come difesa dalla percezione della propria inadeguatezza utilizzerebbe questa proiezione come un'arma ideologica e verbale con la quale punire tutti coloro che vengono identificati con la causa della propria sofferenza.
Argomento di malafede
Un'argomentazione simile è esposta in queste riflessioni conclusive del dottor Anatrella: «L'omofobia è un argomento di malafede e un prodotto dell'ansietà della psicologia omosessuale. In nome dell'omofobia, dei militanti vogliono soprattutto colpevolizzare gli eterosessuali. Riescono del resto a raggiungere questo obiettivo e a seminare il dubbio nella mente delle persone, come sa farlo il discorso dei perverso narcisista che lascia intendere agli altri che ne sa di più sulla loro psicologia per meglio manipolarli. [...] Ogni critica, ogni riflessione che indica che l'omosessualità rappresenta un serio handicap psichico nell'elaborazione sessuale, ogni discorso umoristico che assumesse atteggiamenti derisori nei confronti dell'omosessualità, o ancora, il fatto di ricordare che la pratica dell'omosessualità non è moralmente corretta e che la maggior parte delle religioni la considera come una contraddizione antropologica di valore universale e che soltanto la relazione di coppia uomo-donna alla base della società e dei diritto, viene giudicata come se fosse razzismo o, secondo lo slogan ormai di moda, come fosse omofobia. Questa interpretazione psicologica non fondata traduce una carenza dei pensiero che ha di mira le persone, per squalificare i loro discorsi e gli interrogativi che essi pongono.
«Cosi lo slogan dell'omofobia viene ripreso in maniera incantatoria,emozionale, e in una logica quasi settaria, poiché non si tratta tanto di riflettere e di sapere ciò che significa il fatto di voler istituire una realtà sessuale, ma di esercitare una manipolazione e un'influenza sulle menti colpevolizzandole. [...] L'utilizzazione dello slogan dell'omofobia è un effetto del linguaggio, che non rende conto della realtà. La maggior parte delle persone sono indifferenti agli omosessuali, di piú ancora in una società individualistica dove ciascuno fa quello che vuole. [...] L’utilizzazione abusiva, da parte di dottrinari della causa omosessuale, dell'immagine dell'omofobia, ci pone soprattutto di fronte a un'interpretazione proiettiva. La fobia, la paura, è probabilmente piú presente in coloro che se ne servono come di una bandiera che in coloro i quali vengono presi di mira dalle parole di questi militanti. Il meccanismo abituale della fobia consiste nel far ricadere sul mondo esterno l'angoscia che una mozione pulsionale ispira, ma che è vissuta come un pericolo e un disappunto originati dall'esterno. Freud aveva ragione di sottolineare che è talvolta impossibile essere intesi quando si denuncia una proiezione come una percezione erronea. Le interpretazioni proiettive possono strappare, per un periodo, l'adesione psicologica (che produce il fenomeno delle sètte) o l'adesione politica (che produce la dittatura dei costumi), perché offrono un sistema di riferimenti concernenti la gestione che è assai rassicurante nella società individualistica attuale. Fin quando le menti saranno mature per affrancarsi da questa tirannia. «La repressione intellettuale si mobilita fino a immaginare l'istituzione di una sanzione penale. Si ha la pretesa, infatti, in certi ambienti associativi, se non addirittura politici, di voler creare "un delitto di omofobia", che sarebbe sanzionato dalla legge identificando la situazione degli omosessuali con quella di coloro che sono le vittime dell'antisemitismo e dei razzismo. Una frode intellettuale si cela dietro questa confusione tra il razzismo e il rifiuto di porre su un piede di parità, nella società, l'omosessualità (che non è se non una tendenza sessuale tra altre) con le due identità sessuali le quali, da sole, prevalgono nel1'ambiente sociale» (32).
Note:
1 Cfr «Corrispondenza Romana» 865/01 dei 17/07/04. Il progetto di legge n. 6582 (presentato il 23 novembre 1999, primo firmatario l'allora presidente dei Consiglio Massimo D'Alema insieme al ministro per le Pari opportunità Laura Balbo), affiancato dal testo unificato del 1° luglio 1999 riguardante le «Disposizioni per la prevenzione e la repressione delle discriminazioni motivate dall'orientamento sessuale», è stato accantonato per la caduca del governo D'Alema e la vittoria, nelle elezioni del 2001, della Casa delle Libertà. Questi disegni di legge prevedevano sanzioni penali non solo per chiunque esprimesse pubblicamente critiche su una qualunque perversione sessuale, ma anche per chi partecipasse ad associazioni, movimenti o gruppi, o prestasse assistenza alle loro attività ritenute «incitamento alla discriminazione per motivi di orientamento sessuale», che deve essere punito «per il solo fatto della partecipazione all'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni» (art. 2 del Testo Unico).
2 Cfr « Abc», 22 luglio 2004.
3 Cfr «Avvenire», 30 luglio 2004.
4 F. Grillini, Prefazione, in Del Favero, Palomba, Identità diverse, ed. Kappa, Roma 1996, p. 12.
5 Giovanni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. VIII.
6 Homophobia As a Health Hazard: Report of the Gay and Lesbian Medical Association.
7 American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV, Masson, Milano 2000. Si tratta dei più diffuso manuale diagnostico, tanto da costituire uno standard per la diagnosi dei disturbi mentali. La categoria diagnostica in questione è la F52.9-Disturbo sessuale non altrimenti specificato. Tale interpretazione di questa categoria è chiaramente una forzatura, in quanto il persistente e intenso disagio è da intendersi riguardo al proprio orientamento sessuale, e non quello altrui.
8 Cfr «Narth Bulletin», vol. 13, n. 2, agosto 2004, p. 20.
9 L. Pietrantoni, La gestione dello stigma antiomosessuale: omofobia interiorizzata e autostima, in «Rivista di Scienze Sessuologiche», n. 1-2, Dei Cerro Editore, 1996.
10 Del Favero, Palomba, Identità diverse, op. cit, p. 200. A pagina 56 dello stesso volume possiamo leggere un'altra definizione di «omofobia»: «Ignoranza, insensibilità, stereotipi, modo di pensare, pregiudizi, discriminazioni e altri attributi negativi possono essere raggruppati sotto il concetto di omofobia». I due autori si dichiarano nel primo capitolo « professionisti» psicoterapeuti «e uomini gay» (p. 17).
11 Petty e Cacioppo, Attitudes and Persuasion: classic and contemporary approaches, Dobuque, Iowa, Wm C. Brown, 1981, p. 7; cit. in Hewstone, Stroebe, Codol, Stephenson, Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1991, p. 162. Per una esauriente riflessione sul concetto di «atteggiamento» si veda ivi, pp. 162-165.
12 G. Colombo, Manuale di Psicopatologia Generale, Cleup, Padova 1996, p. 211.
13 American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV, op. cit.
14 Olatunji, B. O., Sawchuk, C. N., Lohr, J. M., & de Jong, P. J. (in press), Disgust domains in the prediction of contamination fear. Behaviour Research and Therapy.
15 Cfr J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Sugarco, Milano 2002, pp. 15-21.
16 G van den Aardweg, Omosessualità & speranza, Edizioni Ares, Milano 1995, p. 16.
17 T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Lev, Città dei Vaticano 2003, p. 686. In data 16 giugno 2003 è stata presentata una querela - presso il tribunale di Bologna - da Paola Dell'Orto in Dall'Orto, nella sua qualità di presidente e legale rappresentante della associazione Agedo (Associazione genitori di omosessuali); il Pm ha chiesto l’archiviazione in data 23 giugno 2003, dichiarando: «Ma se è incontestabile la piena liceità di tali pubblicazioni ed iniziative [da parte dell'Agedo], stupisce invece che la querelante non voglia riconoscere una simmetrica e pari libertà ad esponenti del mondo cattolico, di raccogliere in un volume il loro pensiero. [...] Per fortuna viviamo in un Paese libero. L’art. 21 della Costituzione è il caposaldo di ogni dibattito culturale, anche su temi sociali e religiosi (sui quali ultimi concorre anche la libertà garantita dall'art. 19 Cost.). I libri [...] in altri tempi e in altri luoghi venivano bruciati pubblicamente, ma oggi non possono essere sequestrati (come già spiegato nel provvedimento citato in data 20 giugno 2003) né penalizzati. Ritenuta quindi l’infondatezza assoluta della notizia di reato devesi richiedere immediatamente l’archiviazione, per insussistenza dei reati ipotizzati dalla querela». L'Agedo ha reagito chiedendo a simpatizzanti e iscritti di denunciare a titolo personale la stessa pubblicazione e fornendo un fac simile della querela.
18 T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Lev, Città dei Vaticano 2003, p. 691.
19 P. Rigliano, Amori senza scandalo, Feltrinelli, Milano 2001, p. 101.
20 Ivi, p. 129.
21 Ivi, p. 148.
22 Ivi, p. 156.
23 J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, op. cit., pp. 104 105.
24 Theo G M. Sandfort, Ron de Graaf, Rob V. Bijl, Paul Schnabel, Same-Sex Sexual Behaviour and Psychiatric Disorders, «Archives of General Psychiatry», vol. 58, gennaio 2001, pp. 85-91.
25 Gli autori della ricerca, nonostante gli esiti del loro lavoro, affermano di condividere quest'idea.
26 Barbagli, Colombo, Omosessuali moderni, Il Mulino, Bologna 2001, p. 57.
27 G. van den Aardweg, «Matrimonio» omosessuale & affidamento a omosessuali, in « Studi cattolici», n. 449/50, luglio/agosto 1998, p. 501.
28 J. Nicolosi, L. Ames Nicolosi, Omosessualità - Una guida per i genitori, Sugarco, Milano 2002, p. 126.
29 M. King, E., McKeown, J. Warner, A. Ramsay, K. Johnson, C. Cort, L. Wright, R. Blizard, O. Davidson, Mental Health and Quality of Life of Gay Man and Lesbians in England and Wales, «British Journal of Psychiatry», vol. 183, 2003, pp. 552-558.
30 Del Favero, Palomba, Identità diverse, op. cit., p. 49.
31 Cfr G J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, op. cit., pp. 75-85; van den Aardweg, Omosessualità & speranza, op. cit., pp. 69-89.
32 T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Lev, Città dei Vaticano 2003, passim.
di Roberto Marchesini
In Studi Cattolici - n.528, Febbraio 2005, pp. 112-116