Mostrar mensagens com a etiqueta Mons. Luigi Negri. Mostrar todas as mensagens
Mostrar mensagens com a etiqueta Mons. Luigi Negri. Mostrar todas as mensagens

sábado, 26 de abril de 2014

Giovanni Paolo II, un ponte tra Cristo e il nostro cuore - di Arcivescovo Luigi Negri

In NBQ


E’ con profonda commozione e con grande gratitudine a Dio che riviviamo la grande testimonianza cristiana di magistero, di affezione agli uomini e al loro destino che si sintetizza nell’immagine dei 27 anni di pontificato del beato Giovanni Paolo II.

Si è presentato sulla scena del mondo con un amore incondizionato a Cristo presente nella Chiesa, un mistero di umiliazione che è diventato l’unica e reale possibilità di recupero dell’uomo e della sua dignità. Ma allo stesso tempo ha avuto una acutissima compassione dell’esperienza dell’umanità in quel triste passaggio dal secondo al terzo millennio che per la sua presenza e per il suo insegnamento sono stati un kairòs: una situazione eccezionale offerta da Dio alla fede dei cristiani, e offerta agli uomini nella temperie di una crisi della modernità che si era andata compiendo in modo inesorabile.

Giovanni Paolo II si è trovato di fronte al compito di dare una formulazione dell’incontro tra Cristo e il cuore dell’uomo. Questa fu la sua intuizione: la presenza della fede nel mondo non ha ragioni esclusivamente teologiche, ha ragioni profondamente antropologiche. L’affermazione della presenza di Dio in Cristo è la strada lungo la quale l'uomo Cristo rivela profondamente la sua verità e insieme insegna la verità di ogni uomo che vive in questo mondo.

A riaprire il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo è il cuore annichilito ma non distrutto dalle grandi tragedie del totalitarismo moderno contemporaneo. Giovanni Paolo II ebbe la capacità di scoprire questo livello profondo della vita umana nella storia, quella tensione inesorabile dell’uomo verso il compimento della sua esperienza umana. Egli condivideva con Pascal la certezza che l’uomo supera infinitamente l’uomo.

A quest’uomo cominciò a parlare. E cominciò a parlare nella concretezza della sua esistenzialità quotidiana, andando oltre ogni formulazione ideologica, ogni tentazione umanistica, ogni tentazione di ridurre la vita umana a un problema di giustizia sociale, economica e politica. Ha parlato all’uomo scendendo con lui nelle profondità di quel cuore umano su cui l’insegnamento conciliare ha scritto pagine di straordinaria profondità che hanno trovato il loro radicale compimento teorico e pratico nelle grandi pagine della Redemptor Hominis, il grande manifesto programmatico del cristianesimo del Terzo millennio.

In Cristo l’uomo ritorna ad essere di Dio e per Dio. E mentre torna ad essere di Dio e per Dio si rivela in maniera adeguata quell’impegno antropologico che fa grande l’esperienza umana sulla terra. Solo nel mistero di Cristo e della Chiesa l’uomo è introdotto a comprendere e sperimentare quella antropologia adeguata che si è definitivamente compiuta nella Passione, nella Morte e nella Resurrezione di Gesù di Nazaret.

Quest’uomo, le cui radici sono nel mistero di Cristo, realizza la propria vocazione umana sulla Terra, nella concretezza, addirittura nella lacerazione, di una esperienza umana che senza Cristo rimane incomprensibile a se stessa. Come afferma il numero 10 della Redemptor Hominis: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente». 

Da qui la preoccupazione di rilanciare in maniera adeguata il mistero del matrimonio e il suo compimento nel matrimonio cristiano. La preoccupazione di insegnare agli uomini e ai cristiani una corretta grammatica dell’affezione, della sessualità, una corretta grammatica di quella paternità e maternità consapevoli e responsabili nella quale l’uomo esercita sulla terra il compito di reale e fondamentale collaborazione al mistero di Dio che genera ogni giorno figli all’umanità e alla Chiesa.

Il magistero di Giovanni Paolo II era sull’uomo, sul matrimonio, sulla sacralità della vita, sulla responsabilità della paternità e della maternità, sulla vocazione a realizzare nel mondo quel matrimonio cristiano che - come ricordava don Luigi Giussani in una delle sue ultime interviste - è la cosa più alta cui l’uomo possa accedere sulla terra, reale immagine ed esperienza della Trinità nel cuore dell’uomo e nei rapporti che caratterizzano la sua vita, personale e sociale.

La Chiesa riscoprì la grandezza dell’essere famiglia, famiglia di Dio per l’uomo, e la famiglia riscoprì la grandezza di essere Chiesa, di essere esperienza viva di quella comunione con Cristo e fra i fratelli che costituisce la novità della vita cristiana, cioè della vita umana redenta.

L’insegnamento sull’uomo, sulla sua vocazione matrimoniale si è articolato poi nella grande lezione della dottrina sociale, in cui l’identità dell’uomo e la sua dignità vennero insegnati nel concreto esercizio di quei fondamentali diritti umani che solo la fede cristiana rivela adeguatamente e solo l’educazione ecclesiale rende esperienza di vita nuova nel mondo.

La Veritatis Splendor, l’Evangelium Vitae, la Fides et Ratio, la Laborem Exercens, la Centesimus Annus, tutto il corpo delle encicliche sociali del Papa Giovanni Paolo II hanno ampiamente insegnato la responsabilità del cristiano e della Chiesa a calarsi dentro la storia e a costruire dentro la storia la novità umana e cristiana che il papa definì «la Civiltà della verità e dell’amore».

Rispondendo alle mie condoglianze il giorno della morte del beato Giovanni Paolo II, l’allora segretario del Papa e oggi cardinale Stanislao Dziwisz mi disse: «Giovanni Paolo II ha insegnato ai cristiani ad essere autenticamente cristiani, agli uomini ad essere uomini di buona volontà, aperti al Mistero che non escludono più dall’ambito della loro vita ma verso il quale anche misteriosamente muovono i passi in attesa dell’incontro gratificante e pacificante con il mistero di Dio che in Cristo si è fatto presenza umana, storica».

I 27 anni del pontificato di Giovanni Paolo II hanno chiuso in maniera irreversibile ogni tentazione di dualismo, estrema conseguenza del grande sbandamento del modernismo all’inizio del secolo XX. La fede genera nel cuore dell’uomo una cultura adeguata, consente la conoscenza profonda del mistero di Dio, del mistero dell’uomo nella realtà della storia, del loro reciproco connettersi ed articolarsi. Il cristiano di Giovanni Paolo II è un cristiano che è consapevole della grazia che gli è stata fatta, e che vive la fede non solo per se stesso ma per il mondo. Ecco la grande intuizione per cui la missione costituisce – come ebbe a definirla nei primi anni ’80 – l’identità e il movimento della Chiesa. La Chiesa non fa la missione come una delle possibili azioni, la Chiesa è missione, la Chiesa si autorealizza nella missione, perché nella missione la Chiesa diventa sempre più se stessa, «la fede si irrobustisce donandola», scrisse nella Redemptoris Missio.

La canonizzazione di Giovanni Paolo II è l’acquisizione definitiva nella Chiesa, di fronte a Dio e di fronte all’umanità, di un cammino cristiano e umano del quale tutto ciò che era stato operato contro Dio è stato inesorabilmente giudicato. Tutto ciò che era tensione al mistero di Dio è stato valorizzato, ma soprattutto è stata testimoniata la pienezza della fede, le condizioni della pienezza di libertà e di umanità per cui la redenzione è l’unica autentica possibilità di una antropologia adeguata, di una storia compiutamente vissuta, di una attesa piena di sacrificio e di letizia per l’instaurarsi di quel regno di Dio che nel mistero della Chiesa viene continuamente riproposto e autenticamente iniziato, portato di generazione in generazione verso il suo compimento. «Quel regno celesto – come diceva Iacopone da Todi – che compie omne festo che il cuore ha  bramato».

I cristiani che hanno seguito il Magistero e la testimonianza del Papa, hanno recuperato il senso del proprio essere uomini nuovi nel mondo, destinati proprio da questa novità a praticarla autenticamente e a comunicarla irresistibilmente, perché ogni uomo che incontra la testimonianza della Chiesa di Cristo, la testimonianza che ogni cristiano è chiamato a dare, possa se vuole accettare di inserire anche lui la sua vita e la sua libertà nel grande mistero della Chiesa in cui Cristo è continuamente presente, incontra l’uomo, riempie la sua vita di una proposta irresistibile. Soprattutto lo accompagna in quella azione educativa per cui le parole, le grandi parole della Chiesa, diventano carne e sangue, diventano esperienza reale, diventano una irresistibile fede in Dio e passione per ogni uomo che viene a questo mondo.


quinta-feira, 14 de fevereiro de 2013

Arcivescovo Luigi Negri: Necessaria una riforma morale della Chiesa

In NBQ

Il Papa ci lascia una straordinaria eredità di umanità. Una umanità fatta innanzitutto dalla intensità della sua fede personale in Gesù Cristo, che poi è l’aspetto più imponente dell’annunzio che ha dato. La fedeltà al Signore Gesù Cristo, un’umile appassionata appartenenza alla Chiesa e il servizio ad essa in tutte le funzioni che ha avuto, fino a quest’ultima, certamente non attesa ma abbracciata con un senso profondo di obbedienza al mistero di Cristo. Una umanità che si rinnova quotidianamente nell’esperienza della fede e della compagnia ecclesiale, proprio come mi ha insegnato per 50 anni don Giussani.

E’ un momento di umanità che è offerto a tutti gli uomini di buona volontà. Incontro quotidianamente decine di laici, qualificati o meno, che sono stati vivamente toccati dalla presenza e dal magistero di questo Papa. Toccati soprattutto per questa sua radicale proposizione della ragione: della ragione aperta al Mistero, della ragione che sente lontano ma incombente il Mistero, e che perciò non accetta più di essere una macchinetta che funziona organizzando oggetti di conoscenza e manipolandoli tecnologicamente quando è possibile manipolarli. Anche gli oggetti umani, perché la vita - così come il Papa quotidianamente ha accusato - è ridotta a oggetto biologico da sottoporre senza nessuna regola alle manipolazioni che si ritengono giuste per la terapia della malattia, ma soprattutto per le ricerche scientifiche, del presente e del futuro. Una ragione vibrante, la ragione che nasce dal cuore che esprime il cuore, e che cammina verso il senso ultimo della vita misteriosamente celato al di là della realtà, ma pur presente nella realtà.

Questa sua straordinaria testimonianza di fede e di umanità ha avuto nella formulazione della carità il suo punto più alto. La carità che è Dio, è Dio vivo, è il Dio vivente in Gesù Cristo, è il Dio vivente in tutti coloro che credono in Lui, e che perciò partecipano di questa assoluta novità di coscienza e di cuore, che è la coscienza e il cuore del Signore Gesù Cristo: «Noi abbiamo il sentimento di Cristo», diceva San Paolo. E la carità verso gli uomini - che ha dimostrato anche con l’amabilità del suo entrare a contatto con le centinaia di migliaia che l’hanno potuto accostare anche solo per pochi istanti -, la carità verso gli altri è un dilatare agli uomini quella profondità di vita nuova che è dentro il cuore del credente e che non può essere trattenuta dentro il cuore del credente. Per sua forza, per sua logica tende a debordare dalla vita della persona e a entrare nel mondo e a creare rapporti nuovi e definitivi sul ritmo della umanità e del rispetto e non sul ritmo della violenza e del possesso, che sembrano essere l’unica logica del mondo in cui viviamo.

Questa grande testimonianza ha avuto il punto terminale, inaspettato, sconvolgente nelle dimissioni che sono state in linea perfetta con questa volontà di dedizione alla Chiesa, con la consapevolezza umile e realistica di non riuscire più a vivere in modo adeguato, a onorare in modo adeguato, questo servizio pontificale per l’unità della Chiesa, per la sua verità, per la sua carità, per la comunione che deve animare la vita della Chiesa universale e delle Chiese particolari, che trova nel Papa il punto ultimo di riferimento: «Quella Chiesa che presiede a tutte le altre nella vita della carità», come dicevano gli apologeti e poi i primi padri della Chiesa.

Certo, il compito che attende il successore è un compito grande: certamente quello di evolvere, di maturare, di far passare ancora con maggiore decisione questa grande testimonianza di fede e di umanità nelle cellule vive della Chiesa cattolica. E l’Anno della Fede è l’ultima, bellissima, intuizione di papa Benedetto: questo ritorno alla presenza di Cristo, questa sequela di Lui, sequela formulata - come ebbe a formularla nel Sinodo dei vescovi - in conversione dell’intelligenza e del cuore. L’Anno della Fede sintetizza il suo cammino di Papa e lo sintetizza in modo operativo ed educativo, quindi va portata avanti questa ripresa radicale della fede come evento da incontrare e da vivere e non quindi ridotto in indicazioni, sentimenti, prospettive di carattere spiritualistico, individualistico e meno che mai a progetti di carattere sociologico, come indicava con grande chiarezza all’inizio della Deus Caritas Est. Certo, il Papa sa bene le fatiche della Chiesa - e qualcosa traspare, pur nel pudore totale della sua comunicazione -, sa bene le fatiche, quelle difficoltà spirituali che hanno gravato anzitutto e soprattutto sulle sue spalle, con un peso che certamente io credo lo abbia fatto faticare più di una volta.

La Chiesa ha ora bisogno di un Papa che proceda in modo rigoroso e veloce – se così posso dire – a una riforma intellettuale e morale della Chiesa stessa, ma innanzitutto dell’episcopato e del clero. C’è bisogno di una forte coscienza della novità cristiana, che diventi cultura, criterio di giudizio, criterio di comportamento, capacità di interlocuzione con il mondo fuori della Chiesa, capacità di vicinanza e di denuncia nei confronti di questa cristianofobia che è stata più di una volta indicata da Benedetto XVI come il contesto che sta diventando normale nella vita delle Chiese in tutti i continenti.

C’è bisogno di una riforma intellettuale e morale: io mi sono permesso durante la visita ad limina (lo scorso 4 febbraio, ndr) di sottolineare l’importanza che si cali nell’ambito dei seminari, soprattutto quelli regionali, un insegnamento sul Magistero, che faccia imparare a leggere e a valorizzare il Magistero del papa; e un insegnamento di Dottrina sociale della Chiesa, che consenta ai sacerdoti di affrontare la realtà socio-politica di oggi con coordinate molto chiare: sono quelle sintetizzate dal Papa nei principi non negoziabili ma che arrivano come l’esito di un processo secolare che sarebbe meglio conoscere e comprendere.

La tenerezza che tanta realtà ecclesiale ha nei confronti del Papa e che oggi è segnata da un grande dolore, diventa umile e certa domanda a Cristo e alla Madonna, perché accompagni la Chiesa in questo passaggio difficile consegnandola a un Papa più giovane e perciò capace di rispondere a questa sfida sulla riforma intellettuale e morale. Spesso ripenso a quella straordinaria e profetica omelia che Giovanni Paolo I tenne all’inizio del pontificato, quando prese possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano, quindi della sede di Roma. Dopo avere enucleato le gravi difficoltà in cui la Chiesa vive - viveva e vive - disse: «Dobbiamo tornare tutti all’antica disciplina della Chiesa».

Questo è stato il tentativo inesausto di Benedetto XVI, contraddetto da tante difficoltà esterne e interne, ma questo credo che sia la strada che il successore dovrà necessariamente riaprire se vuole servire una Chiesa capace di missione e non chiusa a gestire spazi religiosi in una società secolarizzata.

domingo, 22 de agosto de 2010

Las logias masónicas y el poder - por Luigi Negri


In ReligiónenLibertad.com

La masonería tiene una raíz cristiana. El filósofo francés Jean Guitton, en su libro «Le Christ écartelé», sitúa su raíz allí donde se encuentra la madre de todas las herejías: la gnosis. La corriente gnóstica, que reaparece cíclicamente, consiste en el intento de leer el evento cristiano en el seno de una estructura cultural y filosófica, más que en aceptar que el evento de Cristo juzgue la razón y por tanto module la conciencia de un modo distinto. En las raíces de la moderna masonería está este fermento radical de la gnosis. La gnosis hace pensar en algunos seres «iluminados», o poseedores de la «adecuada» interpretación del cristianismo, que ya no será un hecho, sino un mensaje, y por tanto, algo esencialmente interpretable. La verdad del cristianismo, por tanto, según la herejía gnóstica, consiste en la verdad de la interpretación, y sobre ésta radica una proyección de tipo moralista, que los cátaros y los valdenses ya han repropuesto continuamente en el corazón de la cristiandad occidental.
Esta imagen gnóstica, y por tanto moralista, del cristianismo marca toda la historia de la cristiandad, también la occidental. Pero la marca de una manera minoritaria; es una realidad que no consigue forzar la unitariedad de la cultura y de la civilización de la Edad Media, porque siendo un fenómeno de tipo sustancialmente intelectual y religioso, en el sentido estricto de la palabra, no tiene la fuerza de convertirse en una alternativa a la grandiosidad del proceso católico de inculturación de la fe, de creación de una civilización como la medieval. Y cuando surge la masonería, se convierte en un hecho explícito, en un factor promotor de un cierto tipo de descristianización de la vida social, tanto en Europa como en el Nuevo Mundo.
Antropología del poder
La antropología cristiana nace del advenimiento de Cristo, que es gracia, y se confía a la libertad, porque la gracia se dirige a la libertad, considera la libertad como la gran destinataria de su presencia. Lo sentimos por Lutero y sus secuaces, pero la gracia no elimina la libertad, sino que la promueve, exactamente igual que el abrazo del padre o la madre no ahogan la personalidad de los hijos sino que la invitan a que se haga responsable. Esta es la antropología cristiana, una antropología, por tanto, que no tiene necesidad de negar el mal, ni de negar el bien, que no necesita subrayar el aspecto permeable de las estructuras en las que el hombre vive su propia vida y que ciertamente lo condicionan, pero que ve cómo el hombre emerge de su ser hijo de Dios, porque esta filiación divina es revelada y hecha experiencia por el advenimiento de Cristo reconocido por la efusión de su espíritu. Y hemos visto cómo durante siglos, dentro de la tradición católica de Occidente, se ha realizado esta antropología. La masonería retoma o reasume una responsabilidad enorme, desde el punto de vista cultural y social, cuando cambia realmente el escenario de la antropología; cuando a la antropología de la verdad le sustituye la antropología del poder.
La antropología de la verdad encuentra su cumplimiento en la revelación cristiana y su ámbito de educación y de experiencia en la pertenencia al pueblo de Dios, que es la Iglesia, fuente de madurez de las personalidades individuales: la Iglesia tiene como objetivo supremo no la ampliación de su estructura institucional, sino el crecimiento del pueblo cristiano, «sacramenta propter homines» («los sacramentos son para nosotros»), decían nuestros antiguos maestros escolásticos: en su gravedad ontológica decían que la Iglesia está para la educación del hombre, para que el hombre, una vez maduro en su identidad cristiana, asuma la responsabilidad de ser misionero en el mundo, ante Cristo y ante los hombres. Éste es también el gran grito que llega desde la encíclica «Novo millenio ineunte» de Juan Pablo II.
La antropología de la persona, que es persona porque pertenece a Cristo en su pueblo, es sustituida por la del individuo que tiene ya valor en sí mismo y por sí mismo. El corazón del masón pertenece a la modernidad, y la modernidad es la construcción de un mundo sin Dios. Y en la masonería, para construir un mundo sin Dios se puede hablar de Dios, es más, se debe hablar de Dios, porque sería un absoluto despropósito, algo estratégicamente incorrecto hablar mal de Él o decir que no existe.
El hombre, alternativa a Dios
Pero evidentemente, sobre el plano del derecho, sobre el plano teórico, sobre el plano de la impostación filosófica y antropológica, el hombre es concebido como la alternativa a Dios. La masonería se radica en este nuevo ambiente en el que madura en sinergia con los filones racionalistas e ilustrados, que serán más rigurosamente antideístas y anticatólicos y donde no hay lugar para una concepción religiosa de la vida que radique al hombre en la pregunta de sentido, de verdad, de belleza y de justicia, porque este tipo de preguntas son sustancialmente alienantes.
La masonería está, por tanto, en el seno del laicismo moderno y contemporáneo, y comparte con el laicismo moderno la gran preocupación de construir un mundo como si Dios no existiese; quizá no formalmente contra Dios, sino como si Dios no existiese. Creo que éstos son los elementos de enfrentamiento. Creo que todos nosotros tenemos el derecho de ser lo que somos, de elegir nuestras opciones, de ser coherentes con nuestros principios, de realizar en la vida social una expresión también pública, de nuestras convicciones, pero es necesario que sepamos lo que está en juego. Y está en juego una alternativa en el plano de la antropología: o existe el hombre de la verdad o existe el hombre del poder, desde el punto de vista de la definición última.


Luigi Negri, obispo de la diócesis de San Marino-Montefeltro (Italia)

domingo, 4 de abril de 2010

Como é possível?, pergunta Marcello Pera numa carta a Mons. Negri


O Bispo Luigi Negri revela que o Filósofo, Senador Marcello Pera, um agnóstico lhe escreveu o seguinte: Como é possível que mil milhões de cristãos assistam
em silêncio e impotentes à tentativa de destruir o Papa, sem se aperceberem que depois disso já não haverá salvação para ninguém.

Un grandissimo e comune amico, il Presidente Marcello Pera, mi ha scritto in questi giorni: com’è possibile che un miliardo di cristiani assistano in silenzio ed impotenti al tentativo di distruggere il Papa, senza rendersi conto che dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno.