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quinta-feira, 24 de novembro de 2011

Mas que Inferno!

Propositadamente, por saber que ele não gostava do que denominava “música de serrote”, tinha muito baixinho o volume do rádio do automóvel, sintonizado na antena 2. No entanto, ao ouvir os inícios de uma das admiráveis cantatas de J. S. Bach, fui aumentando o som, enquanto lhe dizia: repara-me nesta beleza! Que elevação! Que harmonia! Mas, ele, visivelmente incomodado ripostava: bah! Que horror! Apaga-me isso! E eu, mas ouve, presta atenção! Ao que ele, para minha maior surpresa, com esgares de repúdio e ademanes de nojo, tapou os ouvidos, às mãos ambas. E eu vencido, porque compadecido, mudei de estação emissora…

Este meu bom amigo deleita-se e extasia-se com aquilo que eu considero ruídos estridentes, dissonâncias estrídulas, chiadeiras estralaçadas, buzinetas estrupícias, estardalhaços fragoídos, enfim, abominações sonoras que são emitidos nalgumas estações de rádio, por maldade dos demónios ou para castigos dos povos, penso eu.

Música polifónica, barroca, clássica ou erudita são para ele ressonos insuportáveis e retumbos detestáveis. Um oratório de Haendel é para ele um suplício, uma sinfonia de Beethoven um tormento, uma cantata de Bach uma tortura, um Stabat Mater de Haydn uma sevícia, uma Missa de Mozart um inferno.

Este episódio deixou-me absorto. Meditando sobre ele recordei-me de ter aprendido que o Amor, a Beleza e a Bondade de Deus enquanto constituem para os bem-aventurados a felicidade suprema são, pelo contrário, para os condenados motivo de raiva e empedernimento no ódio. Assim se compreende que apesar de Deus amar os réprobos (por isso que são sustentados no ser e não aniquilados), por culpa deles, de nada lhes aproveita, antes, mais os mergulha na infelicidade e na desesperação.

Se as penas do purgatório são bem maiores que as terrenas (na tradição da Igreja isto parece pacífico entre os teólogos. Pelo contrário, se a menor pena do purgatório é maior do que a mais grande pena terrena, tese sustentada por St. Agostinho e S. Tomás d’ Aquino, é uma questão disputada, S. Boaventura, por exemplo, discorda dos Santos atrás mencionados), que dizer das do Inferno? Certamente não há palavras nem conceitos que as possam exprimir adequadamente. Se aquilo que são apenas “imagens” terrenas do Inferno eterno, como são as fomes, as pestes, as guerras, os genocídios, os holocaustos trazem consigo tantos terrores, horrores e pavores, que dizer da realidade do mesmo?

Felizmente, dê-mos graças ao Pai das misericórdias, que temos um Redentor que nos pode e quer salvar, Jesus Cristo total, Ele e a Sua Igreja. Ponto é que cooperemos com a Sua Graça.

Nuno Serras Pereira

24. 11. 2011

segunda-feira, 7 de novembro de 2011

Liszt cattolico, ma la critica lo ignora - di Tommaso Scandroglio

In La Bussola Quotidiana

Libertino, affabulatore, animale da palcoscenico – fu lui ad inventare il concerto pianista-centrico tutt’ora in voga – viveur, presenzialista nei principali salotti bene dell’epoca e pure in quelli equivoci. Il soggetto in questione è il pianista-compositore ungherese Franz Liszt, nato esattamente due secoli fa (22 Ottobre 1811).

Nell’immaginario collettivo dei musicologi però non c’è posto per la qualifica di credente cattolico, anzi di cattolico teo-con tanto che chiuse gli occhi per sempre nella condizione di abate fiero difensore dell’ortodossia cattolica. E sì, perché la parabola di questo eccezionale artista iniziò tra amorazzi ed eccessi ma si concluse nel silenzio del Convento della Madonna del Rosario a Monte Mario. Lassù lo andò a trovare anche Pio IX che lo chiamava “il mio Palestrina”. Dopo otto giorni di esercizi spirituali il 25 aprile 1865 ricevette la tonsura in Vaticano, il 30 agosto gli ordini minori dall’elemosiniere del Pontefice e divenne così abate pur non vestendone mai l’abito. In genere l’afflato religioso del Nostro viene liquidato anche dalla più occhiuta esegesi storiografica come approdo ultimo di un bizzarro viaggiatore delle esperienze che la vita può offrire. Un’eccentricità tra le molte.

Ma le cose non stanno così come ben testimoniano le sue opere e i suoi scritti. In merito alle prime la produzione di carattere sacro è sterminata ed inizia anche in tenera età: difficile quindi sostenere che l’argomento “Dio” fosse estemporaneo e dettato da romantici umori. Spigoliamo qua e là tra i titoli dei suoi pezzi sacri o addirittura liturgici: la Messa per l’Incoronazione di Francesco Giuseppe, la Missa Choralis, la Missa Solemnis, il Requiem, le Campane del Duomo di Strasburgo, gli oratori Christus e La leggenda di Santa Elisabetta, la Via Crucis, le Armonie poetiche e religiose, le Consolations, l’Hymne de l’enfant à son réveil, l’Ave Maria, il Pater noster, il Pio IX – Inno al Papa, e poi un’infinità di variazioni e trascrizioni per uso liturgico, e mottetti, salmi, inni biblici.

Ma a parlar chiaro sulla fede religiosa di impronta cattolica di Liszt ci pensano anche e soprattutto le sue lettere. Queste ci testimoniano che la sua appartenenza a Santa Romana Chiesa non era frutto di un’insana senescenza ma scelta assunta con consapevolezza sin dagli anni più verdi. In una lettera del 1837 il 26enne di allora mette sotto la lente di ingrandimento il Liszt dell’altro ieri quando ne aveva appena 18 di anni, e scrive: «Verso quel tempo ebbi una malattia che si prolungò per due anni, in seguito alla quale la mia imperiosa necessità di fede e di dedizione, non trovando altra via d’uscita mi condusse alle austere pratiche del cattolicesimo. La mia fronte si chinò sugli umidi marmi di San Vincenzo de' Paoli; feci sanguinare il mio cuore, e il mio pensiero si umiliò. Una immagine di donna, pura e casta come l’alabastro dei scari vasi, fu l’ostia che offersi colle lacrime al Dio dei Cristiani; la rinuncia alle cose terrene fu l’unico movente, la sola parola della mia vita. Mi lasciavo vedere qual’ero, ragazzo entusiasta, artista simpatico, austero credente: in una parola tutto quello che si è a diciotto anni, quando si ama Dio e si amano gli uomini con animo appassionato e ardente». Tanto austero che critica il falso e svenevole pietismo: «Le lacrime amare, che talvolta scendono dalle nostre palpebre, sono come quelle di chi adora il vero Dio, vedi il suo tempio profanato dagli idoli e la folla stupida che si inginocchia davanti a divinità di fango e pietra, abbandonando l’altare della Madonna e il culto del Dio vivente».

Una fede quindi incardinata in Cristo eucarestia e nel culto mariano. Per Liszt la musica doveva possedere una missione di carattere principalmente religioso. Nel 1834 sulla Gazette Musicale esordisce con lo scritto “Sulla musica religiosa dell’avvenire”: «Oggi, quando l’altare trema e vacilla, oggi, quando il pulpito e le cerimonie religiose sono diventati motivo di dubbio e di ironia, bisogna necessariamente che l’arte esca dal tempio, che s’estenda e compia al di fuori le sue vaste evoluzioni». E in alcune lettere di qualche anno dopo: «L’arte deve ricordar al popolo le nobili dedizioni, le risoluzioni eroiche, la fortezza e l’umanità; essa deve farsi annunciatrice della provvidenza di Dio… Iddio ha forse racchiuso più gioia nell’obolo dell’artista che in tutto l’oro del milionario». In questi scritti giovanili riverbera la simpatia di Liszt per le correnti saint-simoniste e lamennesiane aperte ad un cristianesimo sociale (“Dio e il Popolo” era il suo motto in quegli anni). Egli infatti nel ’34 parla di «Musica umanitaria che unisca in colossale relazione teatro e chiesa», ed aggiunge, con tono quasi giacobino, che «diciotto secoli sono trascorsi da quando il Cristo ha predicato la fraternità umana e la sua parola non è ancora meglio compresa!».

Ma Liszt non si è mai piegato al credo statalista: «L’elemento poetico, e cioè religioso, dell’umanità è scomparso dai governi», così appunta in una lettera del ’37 lamentandosi delle derive laiciste degli stati europei. Già nel ’34 vagheggiava di farsi monaco ma l’idea di monachesimo che egli aveva in mente era molto simile a quella dei nostri preti post-contestazione del ’68. L’eremo deve essere riformato: una specie di luogo di lavoro dove ci sono operai, artisti, intellettuali, una sorta di opificio in cui si suda e prega tutti insieme, laici e religiosi. Nonostante ciò non cede alle lusinghe delle dottrine protosocialiste di matrice illuminista: «L’ombra di Voltaire, la statua di Rousseau – questi grandi distruttori di monasteri – ci attendevano sulle rive del Lemano», annota nella descrizione di un suo pellegrinaggio ad un santuario. E mai pensò alla musica come strumento di impegno sociale, di lotta culturale. Nel ’49 così scrive infatti: «Oggi l’arte non deve mescolarsi ai gridi rochi delle barricate: la sua religione è più alta e più pura, la sua azione è insieme più benefica e più durevole».

Né fu mai un idealista, un’utopista alla Rousseau: «Non sono artista al punto di essere assolutamente privo di buon senso nelle cose della vita reale e positiva». Poi con la maturità queste infezioni progressiste svanirono e la musica divenne strumento unicamente ascetico, scevro da ogni rivendicazione sociale. Alle soglie dei 55 anni così scrive: «Si può dire che la musica è essenzialmente religiosa e, come l’anima umana, naturalmente cristiana. E poiché s’unisce alla parola, quale più legittimo impiego delle sue energie che cantare l’uomo a Dio e di servire così da punto d’incontro tra i due mondi, il finito e l’infinito?». E nel ’77: «La musica è la sola arte che continua nel Paradiso». Queste righe non sono espressione di un vago sentimento religioso panteista e romantico bensì comprovano la vera fede cattolica del compositore ungherese: «L’arte non è affatto una religione a parte, ma è l’incarnazione formale della vera religione cattolica, apostolica e romana». E’ la bellezza stessa a portare a Dio. Ma se è vera bellezza, nata anche dal genio di artisti protestanti e illuministi, l’incontro non potrà che essere con l’unico vero Dio, cioè quello cattolico: «Palestrina e Lasso fino a Bach e Beethoven, che sono le cime dell’arte cattolica».

Ecco perché negli ultimi anni della sua vita si dedicherà alla musica liturgica, perché la più connaturata al fine di avvicinare l’uomo a Dio. Una musica che però deve avere un’aderenza strettissima con il rituale liturgico previsto da Santa Romana Chiesa altrimenti è “pseudo musica sacra” (ce l’aveva con Haydn e Mozart). In una lettera a Saint-Saëns, in cui gli consigliava di accorciare la sua Messa Solenne, così si esprime: «Si tratta di mantenere la pace, soprattutto in chiesa dove bisogna saper ubbidire in ispirito e nei fatti. L’arte qui deve essere soltanto un correlativo e tendere alla concomitanza più perfetta possibile con il rito».

La sua tensione esistenziale all’essenziale, cifra caratteristica dell’ultimo periodo della sua vita, lo conduce anche in campo musicale a cesellare composizioni le quali si fanno spesso – ma non sempre – semplici dal punto di vista stilistico, secondo l’estetica dei puristi ceciliani allora in voga. Le critiche non mancano ma con profonda umiltà così ribatte: «Che la mia antifona Cantantibus organis abbia prodotto un magro effetto non mi sorprende. Il pubblico cerca il divertimento. Volentieri mi rassegno a restarmene per le mie spese di modestia nelle mie composizioni religiose. Esse sono deboli, senza dubbio, e forse anche mancate – ma non di gusto volgare! Mi ripugna far brillare, trillare, tubare e sbraitare Santa Cecilia!». Sentisse il buon Franz le musiche che accompagnano oggi le celebrazioni liturgiche...

segunda-feira, 23 de agosto de 2010

99 Percent of Music Chart Hit Acts are “Soft Porn” Says Music Industry Giant


By Hilary White

LONDON, August 20, 2010 (LifeSiteNews.com) – While religious leaders have been warning about the moral effects of the modern pop music scene for decades, now even some leaders of the industry are expressing their concern. Today record producer Mike Stock told British media that he believes children are being “sexualized” by popular culture.

“The music industry has gone too far. It's not about me being old fashioned. It's about keeping values that are important in the modern world. These days you can't watch modern stars - like Britney Spears or Lady Gaga - with a two-year-old.”

“Ninety-nine per cent of the charts is R 'n' B and 99 per cent of that is soft pornography,” he added.

Stock is one of the trio of “legendary” music producers that constitute Stock Aitken Waterman, whose talent properties have included Cliff Richard, Debbie Harry, Donna Summer, La Toya Jackson and Kylie Minogue. The trio was one of the most successful songwriting and producing partnerships in the history of the music business, with more than 100 UK top 40 hits, and earning an estimated £60 million.

Stock told the Daily Mail, “Kids are being forced to grow up too young. Look at the videos. I wouldn't necessarily want my young kids to watch them. I would certainly be embarrassed to sit there with my mum.”

In Britain the “Hit Parade,” the first British record sales chart at the dawn of the popular music era, was published in November 1952, and was measured by sales of sheet music. The first number 1 song on Britain’s Hit Parade was “Here in My Heart” by Al Martino, the Italian-American “pop crooner” and actor who is also known for his portrayal of the character Johnny Fontane in the 1972 film The Godfather.

This week, BBC Radio 1 reported that the number one UK spot was held by American rapper Tramar Dillard, better known by his stage name “Flo Rida,” for his rap piece “Club Can’t Handle Me.” The number, performed largely on two notes of the musical scale, includes a video in which a frenzied mob of night-clubbers burst out of the club and into the streets, destroying a corner shop to end up gyrating in a laundromat.

Lady Gaga’s widely criticized single, “Alejandro,” has fallen on the charts this week to number 22. The video features Lady Gaga, shown in scanty underwear and a mock nun’s habit, simulating sado-maochistic sex and swallowing a rosary. It also shows a team of semi-nude male dancers performing mock homosexual acts, themes that are so common they are starting to be considered passé in British pop culture.

“Before children even step into school, they have all these images - the pop videos and computer games like Grand Theft Auto - confronting them and the parents can't control it,” Stock continued.

He has responded to the concerns of parents by producing what he has called a “family-orientated show.” The Go! Go! Go! Show is a pop song and dance show performed by “tween” singers that is playing to positive reviews in London.

Brian Clowes, the research director for the pro-life and pro-family group Human Life International, expressed surprise that there is anyone left who “doesn’t believe that the music industry degrades morals, sexualizes young girls and is disrespectful to women.”

Such people, he told LSN, “should just visit YouTube and randomly select a half-dozen music videos to watch.”

“There are only a handful of artists who even attempt to promote good moral values, since this is considered ‘uncool’ and, even more importantly, unprofitable. Many of the singers target pre-teen girls with their messages, and then these girls follow the advice and lyrics they hear and wind up ruining their lives,” Clowes commented.

“It's true that we are not forced to watch this trash; but we are also responsible for making sure our kids grow up holy, healthy and happy. If they follow music videos and shows, they will be zero for three.”


segunda-feira, 5 de julho de 2010

domingo, 27 de junho de 2010

terça-feira, 22 de junho de 2010

sábado, 5 de junho de 2010