sábado, 12 de outubro de 2013
Laicity, Christianity, the West: an Historical Profile - Archbishop Giampaolo Crepaldi
quarta-feira, 17 de julho de 2013
Os políticos e os extraterrestres - por Nuno Serras Pereira
sexta-feira, 28 de junho de 2013
«Leggi contro natura, dove sono i laici cattolici?» - Intervista all' Arcivescovo Giampaolo Crepaldi - di Stefano Fontana
Non c’è dubbio che questa dovrebbe essere l’ora del laicato. Ma purtroppo il laicato cattolico non si fa sentire. Magari lamentando poi che i Vescovi parlano troppo.
Perché, secondo lei, questa è l’ora del laicato?
Certamente ogni ora è l’ora del laicato, perché non c’è un momento in cui il laico non tragga dal suo battesimo il compito di ordinare a Dio le cose temporali. Però questa è l’ora del laicato in modo particolare. La politica e le leggi stanno mettendo mano all’ordine della creazione, alla natura della famiglia e alle relazioni naturali di base, quella tra padre e madre e tra genitori e figli. Si tratta di qualcosa di inedito e sconvolgente che richiede una presenza particolarmente convinta ed attiva.
Perché dice che il laicato cattolico non si fa sentire?
Sono molti i laici cattolici che nella famiglia, nel lavoro, nella società incarnano con fedeltà la propria fede cristiana. Ciò avviene però soprattutto nella quotidianità. Ciò che manca in modo evidente è una presenza unitaria e coordinata nella società civile e una testimonianza chiara e coerente a livello politico, legislativo e dentro le pubbliche istituzioni.
Eppure esistono vari organismi di rete tra cattolici e in passato sono stati in grado di portare in piazza con il Family Day moltissime persone. Non ci sono più?
Ci sono ancora, però bisogna prendere atto di alcuni mutamenti. Intanto alcune di queste reti si sono costituite ma non si sono consolidate, sono rimaste tali a livello formale di vertice e più di qualche convegno non potranno fare. In secondo luogo, mi sembra che alcune reti un tempo molto attive su questi temi – penso per esempio a Scienza e Vita oppure al Forum delle Associazioni familiari – abbiano un po’ allentato la presa, dirottando l’attenzione verso altre tematiche a mio avviso meno importanti. Infine, vorrei notare che anche dentro le singole associazioni e i singoli movimenti la presa di posizione sui temi che ho sopra richiamato è scarsa sia in sede nazionale che in sede locale.
Può spiegare meglio cosa intende quando parla di “testimonianza coerente a livello politico, legislativo e dentro le pubbliche istituzioni”?.
Nelle amministrazioni pubbliche ci sono cattolici dichiaratamente tali. Ma quando si tratta di affrontare questi temi, essi utilizzano le categorie mentali di tutti gli altri e si fanno scudo della laicità della politica per non prendere una posizione che certamente costerebbe loro sul piano politico, ma che io vedrei come coerente sul piano umano con la fede professata.
Una delle storiche associazioni di fedeli laici è l’Azione cattolica. Cosa mi può dire a riguardo?
Prendo spunto da un recente libro di Luigi Alici dal titolo “I cattolici e il paese. Provocazioni per la politica” edito da La Scuola.
Ma Luigi Alici non è più presidente dell’Azione cattolica…
Però lo è stato a lungo e può dirsi un intellettuale fortemente impegnato nell’associazionismo del laicato cattolico. Recentemente egli ha girato tutta l’Italia – è stato anche in Friuli Venezia Giulia ed anche a Trieste. Certo il suo libro non rappresenta l’Azione cattolica, però può essere indicativo di un modo di pensare, diffuso anche dentro l’associazione.
Cosa l’ha maggiormente colpita nel libro?
Il suo appartenere alla categoria dei libri “Sì, ma …”: affermare i principi nello stesso momento in cui si aprono fessure per non rispettarli. Ho cercato in questo libro le affermazioni di fedeltà al magistero e di adesione ai principi della tutela della vita o della famiglia: li ho trovati. Però l’esposizione è sempre volutamente ambigua, dice, ma nega ed è piena di “tuttavia”.
Può fare un esempio?
Alici ha parole molto belle sulla famiglia, ma poi si dice a favore del riconoscimento delle convivenze tra omosessuali. Si rifà al cardinale Martini, ma non ai Vescovi italiani che, in una Nota del 2007, hanno chiarito la questione. I diritti per le persone omosessuali vanno affrontati sul piano del diritto privato. Il riconoscimento della convivenza in quanto tale non è accettabile né per le cosiddette coppie di fatto eterosessuali né per quelle omosessuali. Manca il requisito della valenza pubblica.
Quello della gradualità dei diritti. Secondo lui una coppia di omosessuali non ha diritto ad essere considerata famiglia in quanto non lo è, ma ha diritto ad essere considerata qualcosa di più di due studenti che condividono lo stesso appartamento. Una simile argomentazione non è accettabile: ciò che è sbagliato non può essere fonte di diritti pubblicamente riconosciuti, e non può esserci per esso nessuna gradualità.
Cosa significa questo?
Credo che questo libro esprima bene una certa cultura dentro il mondo cattolico. I laici che vi si ispirano sposteranno sempre più in avanti l’asticella del “non possumus”, adeguandosi al mondo.
Nel libro di Alici c'è il continuo rifarsi al “paradosso” cristiano che farebbe del fedele laico una persona continuamente combattuta al proprio interno e a cui solo la risposta della propria coscienza potrà indicare la via.
Il paradosso cristiano non va interpretato come un'insanabile contraddizione interna del cristiano, perché la fede e la ragione, come ci insegna la dottrina, vanno insieme e solo il peccato introduce la divisione. Quello di Alici è un modo per far sì che l’agire dei cattolici nella società e nella politica sia lasciato unicamente alla loro autonoma coscienza.
Alici sostiene che c’è un ambito di partecipazione politica non direttamente partitica in cui dovrebbe valere la collaborazione dei cattolici con tutti gli altri e un ambito strettamente partitico in cui vale la competizione. E’ d’accordo?
Non solo tra i partiti, ma anche nella società ci sono oggi antropologie in conflitto. Anzi, oggi si assiste alla competizione tra chi dice che non c’è una antropologia, una vera visione dell’uomo, e chi invece dice che c’è. In questi campi – penso alla cultura, all’animazione sociale, alla formazione dei giovani, alla comunicazione - non può esserci solo collaborazione. Smettiamola una buona volta di continuare a illuderci e a illudere su questo punto. Dialogo e rispetto non devono mancare mai, ma la collaborazione la si fa sulla verità.
Da cosa dipende tutto ciò?
Credo dipenda dall’aver cambiato lo scopo della presenza dei laici cristiani nel mondo. I laici hanno come scopo di ordinare a Dio l’ordine temporale – come dice il Concilio – o, in altre parole, di costruire la società secondo il progetto di Dio. Invece, lo scopo dei fedeli laici è stato ridotto a conseguire il bene comune, a costruire la democrazia, a realizzare la Costituzione, a far funzionare le istituzioni.
Va bene, a patto però che in esso si faccia rientrare anche il rispetto dell’ordine del creato e il benessere spirituale e religioso delle persone. Non c’è vero bene comune quando Dio viene messo tra parentesi e quando a Dio non è riconosciuto un posto nel mondo.
L’Azione cattolica ha avuto una lunga storia. Qual è stato il suo momento critico secondo lei?
Lascio questo compito agli storici. Posso solo tentare qualche ipotesi. La cosiddetta “scelta religiosa” fu interpretata dagli uomini di Azione cattolica in modo ambiguo. Doveva comportare il concentrarsi sul proprium dell’Azione cattolica, quello che Benedetto XVI ha poi chiamato “il posto di Dio nel mondo”. E’ stata invece vissuta come un apparente disimpegno rispetto ad una presenza visibile e organizzata condannata troppo frettolosamente come preconciliare. Dico “apparente” perché – strano a dirsi! – da allora moltissimi dirigenti dell’Azione cattolica si impegnarono direttamente in politica, prevalentemente nei partiti di sinistra. Ultimo esempio è stato Ernesto Preziosi alle recenti elezioni politiche.
Allora a lei l’Azione Cattolica non va bene?
Io credo nell’Azione Cattolica, continuo ad esserne un sostenitore convinto e, a parte qualcuno e qualcuna, sono assai grato a quella diocesana per quello che fa e nutro grandi aspettative verso di essa. Credo però che l’Azione cattolica - sto parlando in termini generali - oggi abbia bisogno di riconsiderare la propria linea e il proprio ruolo. Ciò sarebbe di grande vantaggio non solo per la missione pastorale delle nostre Diocesi, ma anche per le altre forme di associazionismo dei fedeli laici.
In che modo?
Si tratta di essere fedeli, in maniera integrale e con generosità spirituale, all’insegnamento del Concilio Vaticano II: essere laici nel mondo per ordinarlo a Dio, mettendo in primo piano l'esigenza e l'urgenza dell'ordinarlo a Dio. Per l'Azione cattolica significa: recuperare la sostanza del proprio passato, anche di quello che oggi si ricorda con un certo inspiegabile disprezzo; recuperare la dottrina sociale della Chiesa in tutti i suoi sostanziali collegamenti con la dottrina cristiana; intendere la laicità nel modo che ci ha insegnato Benedetto XVI, cioè pensare che al mondo non bisogna solo adeguarsi se si vuole veramente servirlo; superare una visione inadeguata del Concilio, recuperandone tutto l’insegnamento dentro la tradizione della Chiesa e non le solite due o tre frasi adoperate in modo retorico; non minimizzare gli attacchi che oggi vengono portati alla natura umana e alla fede cristiana, accusando quanti cercano di reagire di voler ristabilire uno schema mentale integralista proprio del passato. La Chiesa ha un bisogno immenso di un'Azione cattolica così, che riprenda a formare laici capaci di costruire la società secondo il cuore e il progetto di Dio. Per questo continuo a pregare e a sperare...
domingo, 12 de maio de 2013
Il principio della difesa della vita umana e l'impegno pubblico della fede cattolica - di Arcivescovo Giampaolo Crepaldi
NOTE
1 Ho illustrato le ragioni teologiche del ruolo pubblico della fede nel primo capitolo del mio libro Il Cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Cantagalli, Siena 20122.
2 Come ha detto Benedetto XVI in Messico nel Discorso a León del 25 marzo 2012.
3 Della natura umana come “lingua” ha parlato, per esempio, Benedetto XVI nel Discorso ad un gruppo di Vescovi degli Stati Uniti in visita “ad limina”del 19 gennaio 2012-
4 Cf R. Spaemann-Reinhard Löw, Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico, Ares, Milano 2013.
5 Cf G. Crepaldi e S. Fontana, Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo - La colonizzazione della natura umana, Cantagalli, Siena 2012.
6J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, dodicesima edizione con un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 2003, pp. 41. Ho ritenuto di dover interpretare l’intesa enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate in questa chiave: G. Crepaldi, Introduzione a Benedetto XVI, Caritas in veritate, Cantagalli, Siena 2009, pp. 7-42.
7 «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate n. 28).
8 In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 1996.
9 Lo spiega molto bene J. Pieper in La realtà e il bene, Morcelliana, Brescia 2011.
10 G. Crepaldi, Ragione pubblica e verità del Cristianesimo negli insegnamenti di Benedetto XVI, in G. Crepaldi, Dio o gli dèi. Dottrina sociale della Chiesa, percorsi, Cantagalli, Siena 2008, pp. 81-94.
11 M. Borghesi, I presupposti naturali del poter-essere-se-stessi. La polarità natura-libertà di Jürgen Habermas, in F. Russo (a cura di), Natura cultura libertà, Armando, Roma 2010.
12 Benedetto XVI, Discorso al Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011.
quarta-feira, 13 de fevereiro de 2013
Dichiarazione del Vescovo di Trieste, Mons. Giampaolo Crepaldi, sull'annuncio dato dal Papa Benedetto XVI
segunda-feira, 8 de agosto de 2011
Perché Benedetto XVI insiste tanto sui cosiddetti principi non negoziabili?
by Arcivescovo Giampaolo Crepaldi
In La Bussola Quotidiana
Perché Benedetto XVI insiste tanto sui cosiddetti principi non negoziabili? E la Chiesa italiana sta facendo quanto è possibile su questo fronte? Mi sembra importante spingere per la riflessione e il confronto su questo grande tema. Sono convinto che da esso dipenda sia una corretta visione della Chiesa sia una giusta visione dei rapporti della Chiesa con il mondo. Se invece l’argomento viene eluso, ossequiato formalmente ma non attraversato in pieno, non si guadagnerà granché in chiarezza, né il popolo cristiano troverà un proprio percorso comune nella società di oggi.
I principi non negoziabili sono stati enunciati in più occasioni da Benedetto XVI. Sia l’espressione sia l’elenco erano però già presenti nella Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno sociale e politico dei cattolici che la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò nel 2002, a firma dell’allora Prefetto Cardinale Joseph Ratzinger. Pur trattandosi di un elenco di tematiche – la vita, la famiglia, la libertà di educazione soprattutto – essi non vanno intesi solo come degli argomenti di una agenda politica, ma come un orizzonte strategico dentro cui muoversi affinché la disgregazione della modernità venga frenata e con essa la riduzione della fede cristiana ad “utile cagnolino da salotto” o a “hobby personale”.
Essi non vanno intesi nemmeno come l’ultima resistenza del cattolicesimo, la ridotta in cui ci si è asserragliati e in cui si combatte la battaglia decisiva contro il relativismo. I principi non negoziabili sono invece l’indicazione della speranza che nasce dalla verità. Verità che la Chiesa enuncia, basandosi sulla rivelazione e sul deposito che essa conserva e tramanda con cui ridestare anche le verità della ragione, quando questa risulti sopita o addirittura avvilita. L’enunciazione dei principi non negoziabili, assieme al dovere assoluto di rispettarli, è un annuncio, una luce della fede e della ragione. Essi sono importanti e “strategici”, prima di tutto, proprio perché salvano il mondo dalla disperazione e ridanno fiducia alla ragione in virtù di una illuminazione della fede. Così facendo corroborano anche la fede perché la riscoprono come conoscenza e non come illusione.
La grande questione dell’epoca moderna è la pretesa del piano naturale di staccarsi da quello soprannaturale e di rendersi autonomo. La pretesa, in altri termini, di essere in grado da solo di darsi la propria salvezza e di conseguire il proprio significato. Ciò è pienamente possibile quando la cultura viene completamente sostituita alla natura, fino al punto da poterla riplasmare. E’ così che l’assolutizzazione della natura conclude con la rinuncia ad essa come criterio normativo, finendo l’uomo per perdere il gusto stesso del significato e lo stesso bisogno di una salvezza. Eliminando l’indisponibile – si pensi per esempio alla disponibilità della vita e del nostro corpo – l’assolutizzazione del piano naturale rischia di perdere il gusto per la stessa libertà, come ha ben visto Jürgen Habermas. Questa, infatti, è possibile solo nella contingenza e la contingenza è tale quando ammette un “oltre”, un cominciamento non prodotto da noi. Il recupero del concetto di “natura” è quindi all’ordine del giorno anche del pensiero laico. L’appello ai principi non negoziabili favorisce questo recupero e nello stesso tempo evita di ridurre la natura al suo significato naturalistico, che è un altro modo per soffocarla: la natura umana ridotta a fisicità diventa un prodotto tecnologico di laboratorio.
Come si vede, il rispetto dei principi non negoziabili non è a difesa della “corporazione ecclesiastica”, ma sprigiona delle verità che interpellano sia la ragione che la fede e ridanno ad ambedue il senso della propria dignità.
C’è però un altro motivo per cui i principi non negoziabili sono così importanti. E’ un motivo interno alla fede cristiana ma che, senza tradire questa origine, può rappresentare un motivo di respiro anche per il mondo. La natura umana e gli stessi principi della legge naturale – di cui i principi non negoziabili sono espressione – sarebbero stati conosciuti fino in fondo senza la rivelazione cristiana? E, una volta conosciuti, si sarebbe trovata la forza morale per mantenervisi fedeli? In altre parole: la legge naturale è solo questione di natura o anche di grazia? Si va dalla ragione alla fede o dalla fede alla ragione? Solo per fare qualche esempio, ricordo che per Augusto Del Noce si parte sempre dalla fede e i principi non negoziabili sono richiesti dalla fede cristiana, essi riguardano la dimensione metafisica della fede cristiana. Dello stesso parere sono Romano Guardini ed Henri de Lubac ed anche, credo di poterlo dire, il teologo Joseph Ratzinger. Se ho capito bene la posizione di Maritain su questo punto, egli pensava che la vecchia cristianità partisse dalla fede per arrivare alla ragione e che la nuova cristianità avesse dovuto invece partire dalla ragione per arrivare alla fede. Questo sembra non essere accaduto. L’ottimismo di Maritain, insieme con altri ottimismi che hanno contraddistinto la sua epoca, si è incrinato davanti alla constatazione che la ragione da sola non solo si allontanava sempre di più dalla fede, ma anche da se stessa. Il che comprovava la tesi opposta, che del resto anche Maritain ha riproposto nel Contadino della Garonna. Difficile se non impossibile riproporre oggi lo stesso schema.
L’appello ai principi non negoziabili è quindi molto importante per ridare alla religione cristiana la convinzione della sua necessità anche per la costruzione dell’ordine civile, il senso della sua dignità pubblica. Dopo molti anni in cui questo è stato negato, soprattutto dentro il mondo cattolico, in quanto considerato fonte della trasformazione della fede in ideologia, si tratta ora di un punto di svolta di grande importanza. Se la natura umana si potesse autonomamente salvare con le sole sue forze, la dimensione pubblica della religione non potrebbe più essere legittimamente sostenuta. La Caritas in veritate però dice che il cristianesimo non è solo utile ma anche indispensabile per lo sviluppo umano. La Chiesa non può rinunciare al principio che la redenzione non abbia elevato, o purificato come dice Benedetto XVI, tutta la dimensione umana e l’intera storia.
Ora, una simile pretesa non rischia di soffocare la legittima autonomia del piano naturale? Affermando i principi non negoziabili dal punto di vista religioso, Benedetto XVI non soffoca irrimediabilmente il loro significato autonomo sul piano razionale? Dal punto di vista cristiano il problema non si pone perché l’annuncio di Cristo non può non essere rispettoso dell’uomo. Ma dal punto di vista del non cristiano, del “laico” come si dice oggi? Può egli accogliere un messaggio religioso, che per di più pretende di essere una luce vera ed originaria, senza sentirsi soffocato? Non nasce proprio da qui la difficoltà nel cosiddetto dialogo tra laici e cattolici?
Cristo ci ha detto che il suo gioco è leggero e che Lui è umile di cuore. La pretesa cristiana non è pretenziosa e arrogante. Essa consiste nel suggerire alla ragione: vieni e vedi!, come Gesù disse ai suoi primi discepoli. I principi non negoziabili nascono dalla natura dell’uomo ma illuminata dalla vita della “nuova creatura”. Questa non soffoca la prima, la sollecita, la illumina, la spinge ad approfondire se stessa, a non perdere fiducia in sé. Non le toglie niente nel mentre la trasforma in tutto. La forza della pretesa va di pari passo con l’umiltà della proposta: la fede invita la ragione solo ad essere se stessa. Il cristianesimo ha fatto così con la ragione platonica e con quella aristotelica, perché dovrebbe cessare di farlo oggi? Forse perché la ragione è talmente indebolita da non sentire più, come dicevo sopra, il bisogno stesso di guardarsi dentro? Forse nemmeno il bisogno di essere ragione? Benedetto XVI ha ben chiaro questo problema. Lo capiamo quando dice che il relativismo di oggi è assertorio e immotivato, frutto di una ragione che ha rinunciato a motivare le proprie affermazioni. Il relativismo, infatti, è immotivabile se non usando una ragionamento che lo contraddirebbe. Ma proprio qui si chiarisce il valore dell’appello ai principi non negoziabili come servizio che la fede fa alla ragione e fa quindi anche a se stessa perché la ragione è anche dentro il perimetro della fede e non solo fuori.
Mi rendo conto che sto chiedendo ai “laici” un grande sforzo. In fondo, il noto appello di Ratzinger a vivere come se Dio esistesse, interpretato spesso come provocatorio, aveva dentro di sé una proposta costruttiva: vedete se l’ipotesi di Dio toglie qualcosa al buon uso della ragione. Vieni e vedi!
Ma mi rendo conto di chiedere qualcosa di molto impegnativo anche ai credenti di questa nostra chiesa italiana. Mi sono chiesto spesso se la Chiesa italiana stia facendo il proprio dovere in ordine ai principi non negoziabili e se stia corrispondendo alle attese del Papa su questo punto. Noto un significativo cammino condotto avanti almeno dal Convegno ecclesiale di Loreto in poi e diretto alla formazione di un popolo cristiano convinto che dalla signoria di Cristo nei cuori rinnovati debba derivare anche una signoria di Cristo sulla verità dei rapporti umani e sociali. Un popolo cristiano che non accetta la riduzione del cristianesimo a fatto devozionale privato, a sétta quindi. Un popolo consapevole che ciò significherebbe permettere la creazione di un mondo ove la salvezza delle anime sarebbe strutturalmente ostacolata e per ciò invivibile anche dal punto di vista umano. La lotta per la libertà cristiana va di pari passo con la lotta per la presenza pubblica della religione cristiana e questo a vantaggio della libertà di tutti.
Noto però anche dei ritardi. I principi non negoziabili vengono spesso posti sullo stesso piano di altri valori e finiscono così per essere stemperati in una astratta genericità. In occasione degli ultimi referendum sull’acqua e sul nucleare, il mondo cattolico si è mobilitato in modo straordinario come con ogni probabilità non avrebbe fatto per la vita o, meno ancora, per la libertà di educazione. Noto una disponibilità a battersi per le stesse battaglie per cui si batte il mondo e una voglia senz’altro minore di battersi per ciò che il mondo oggi osteggia anche in forme autoritarie. L’importanza dei principi non negoziabili per il popolo cattolico non è sempre presente nella consapevolezza dei singoli Vescovi. Ci vorrebbe più coraggio. Sul piano del pensiero i principi non negoziabili pongono il problema della verità e della metafisica, oggi sostituita dall’ermeneutica, ma mi sembra che se istituzioni culturali cattoliche si sono messe sulla strada di un recupero di un pensiero sul reale altre fatichino a staccarsi da un ossequio eccessivo alle mode accademiche dominanti. Sappiamo bene che il discorso di Benedetto XVI sulla verità non è stato contestato solo alla all’Università La Sapienza di Roma, ma lo è anche in molti Studi teologici dei nostri Seminari.
Eppure penso che solo rilanciando la riflessione sui principi non negoziabili, in modo aperto e franco si possano affrontare in modo degno molte questioni irrisolte.
Una di queste è rappresentata dal problema educativo. Benedetto XVI, nel suo iniziale discorso sulla “questione educativa” aveva chiaramente posto il problema del rapporto tra la crisi educativa e la crisi della verità. I vescovi italiani, molto opportunamente, hanno proposto questo argomento per il decennio pastorale in corso. Ritengo che un più chiaro inserimento della prospettiva richiamata dai principi non negoziabili in questo sforzo educativo o rieducativo sia da ritenersi indispensabile. Le scuole in genere, e le scuole cattoliche in particolare, sono in crisi, dice il Papa, perché non sanno più che uomo educare. I principi non negoziabili fanno riemergere la verità della persona umana e richiedono per loro conto una prospettiva teologica e filosofica diversa da tante impostazioni odierne.
Una seconda è quella dell’impegno politico dei cattolici. Il riferimento ai principi non negoziabili richiede che la Dottrina sociale della Chiesa sia sistematicamente adoperata e intesa non come una generica espressione di solidarietà sociale che cavalchi acriticamente ogni proposta ideologica del momento purché che abbia l’aggettivo di “etica”, ma come ceppo da cui nasce una nuova cultura, originale perché fondata sulla originalità della fede. I principi non negoziabili richiedono che la fede venga concepita anche come conoscenza e questo comporterebbe nella mentalità dei cattolici italiani un notevole cambiamento di prospettiva, senza contare che, proprio per questo, essa è abilitata a dialogare con la ragione e quindi con il mondo laico. In questo modo i principi non negoziabili e la cultura che li sostiene e che ne deriva nutrirebbero l’impegno politico dei cattolici di criteri e orientamenti in modo da correggere la loro subalternità.
La mia idea è che l’appello ai principi non negoziabili risvegli energie sopite, sia dentro la Chiesa che nel mondo. Sono passaggi che toccano da vicino la verità del rapporto tra la Chiesa e il mondo e la comprensione corretta del mondo stesso.