Mostrar mensagens com a etiqueta Ecumenismo. Mostrar todas as mensagens
Mostrar mensagens com a etiqueta Ecumenismo. Mostrar todas as mensagens

sábado, 16 de novembro de 2013

Um verdadeiro milagre no Portugal de hoje!! - por Nuno Serras Pereira



16. 11. 2013


Parece inacreditável, mas é verdade.


Ontem, dia 15, foi lançado, pela fct, na ucp, um livro absolutamente extraordinário que reúne todas as condições para operar uma transformação radical e global em Portugal e nos países de língua portuguesa. Parece uma grande exageração. Mas não o é.


Esta obra que pode ser usada para consulta, para ler sofregamente, ou para considerar quotidianamente um breve trecho devia ser possuída não só por todos os fiéis, quer Leigos quer Religiosos quer Ordenados, mas também por todos os cristãos que pertencem a outras confissões, que não à Igreja Católica, e ainda por membros de outras religiões ou também agnósticos e ateus que queiram conhecer as razões da nossa Fé.


Este tesouro precioso contribuirá muitíssimo quer para o diálogo ecuménico e inter-religioso, quer para a catequese e o catecumenato, quer para os movimentos eclesiais.


Acresce que todos os que se empenham com as questões da Justiça e da Paz, da defesa da Vida e da Família, com a verdadeira Educação e formação dos filhos, dele sorverão energias insuspeitas e portentosas que neles operarão verdadeiros prodígios. Ponto é, que o aproveitem.


Se eu fosse dotado de alguma respeitabilidade e credibilidade sugeriria que não somente oferecesse este livro a seus familiares e amigos, mas também que o ofertasse a si mesmo. Essa dádiva, sendo essencialmente Espiritual, tem um valor muitíssimo maior do que qualquer donativo material; e, surpreendentemente para muitos, multiplicará este último, que acabará por render, para quem o fizer, 100 vezes mais.


Poderá suceder que de início alguém encontre dificuldade numa ou noutra passagem, mas a verdade é que os esplêndidos textos são globalmente simples, profundos, tocantes, luminosos, carregados de Graça. Por isso se tropeçar com algum embaraço não ligue e passe adiante que tudo acabará por se tornar claro, alegre, vivo, deslumbrante.


Ah! que me esquecia…, a obra é a seguinte: Isidro Pereira Lamelas, Sim, cremos: O Credo comentado pelos Padres da Igreja, pp. 399, ed. Universidade Católica Editora, Lisboa, 2013 

quarta-feira, 18 de janeiro de 2012

N. Bux: «Unità dei cristiani? Non è di questo mondo»

In La Bussola Quotidiana

di Riccardo Cascioli


«Pregare per l’unità dei cristiani è fondamentale per imparare che l’unità viene dall’alto e non dal basso, ma oggi c’è il rischio che anche tra i cattolici si diffonda il ‘virus’ che divide al loro interno le altre Chiese cristiane». E’ quanto afferma don Nicola Bux, teologo, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, ed esperto di ecumenismo, spiegando il senso della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che inizia oggi, 18 gennaio, e termina il 25 gennaio.

Don Bux, qual è il valore di questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?
Serve anzitutto a imparare che l’unità non viene dal basso ma dall’alto. Dopo il primo slancio conciliare che via via si è attenuato, è sembrato affermarsi un contro-modello di ecumenismo che pensava di far sorgere l’unità dal basso. Oggi, forse, con più realismo si torna a comprendere che l’unità è qualcosa che viene dall’alto, non la possiamo costruire noi. L’ecumenismo va inteso come il tentativo di lasciare a Dio quello che è unicamente affare suo, cioè - attraverso le divisioni e i peccati - di chiamare l’uomo all’unità con sé.

Oggi si parla molto di ecumenismo, ma sembra che ci siano tante diverse interpretazioni di questa parola, a volte anche contraddittorie. Ma qual è l’interpretazione corretta?
In genere l’ecumenismo prende come affermazione di base quella contenuta nel capitolo 17 di Giovanni all’interno della grande preghiera di Gesù prima della sua passione: “Che siano uno come, Padre, io e te siamo uno, così siano loro una cosa sola nell’unità”. Gesù stesso quindi invoca il dono dell’unità dall’alto, anche perché lui era dinanzi alle divisioni esistenti, che constatava tra gli ebrei di cui lui era figlio. Quindi in un certo senso la preoccupazione per l’unità gli veniva dalla constatazione della realtà. Tanti gruppi, fazioni, contrapposti tra loro, che i vangeli – e Giovanni – ben documentano.
E dunque il Signore in un certo senso prevedeva, presentiva, che non sarebbe stato molto diverso nemmeno per i suoi discepoli. E pertanto in qualche modo egli comprende che solo un dono dall’alto, un dono abbondante, il perdono, avrebbe limitato gli effetti di quella colpa d’origine che ha provocato la divisione. Non bisogna dimenticare nemmeno nell’ecumenismo che l’unità visibile non c’è perché c’è il peccato. Come diceva Ireneo, dove ci sono i peccati c’è la moltitudine, non c’è l’unità. D’altra parte il peccato è una realtà al punto che nella liturgia pasquale, nel canto dell’Exultet, lo si definisce peccato d’origine, una colpa felice, una felix culpa, quasi un fatto utile. Lo stesso san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (11,19) dice testualmente che “è necessario che avvengano divisioni tra voi”. Colpisce che per l’apostolo siano necessarie le divisioni. Potrebbe sembrare una contraddizione: Gesù postula l’unità che viene dall’alto, San Paolo in qualche modo prende atto che ci sono le divisioni. Noi siamo distanti nel tempo, ma vediamo le divisioni reali dei cristiani, da quelle storiche a quelle sottili che passano anche all’interno di ciascuna confessione. E allora comprendiamo davvero che le divisioni forse non ce le potremo togliere almeno fino alla fine dei tempi. Perché è attraverso di esse che noi dobbiamo comprendere che l’unità non è qualcosa che costruiamo noi. E’ un dono, è un perdono, perché se non c’è perdono non c’è alcuna unità. Lo sanno bene i coniugi.
Si deve riconoscere che la realtà, contaminata dal peccato, produce divisioni, che vanno continuamente attraversate non con la pretesa di volerle nascondere o attutire in nome di una unità impossibile. Ma comprendendo che nessuno, cattolico o protestante può imporre all’altro qualcosa che l’altro non è o non ha. Deve nascere dall’interno l’ascolto di tutto quanto di vero e di buono esiste nell’altro perché cresca il dono dell’unità, che comunque è dato dall’alto.

Molto spesso, parlando di unità dei cristiani, ci si riferisce – anche teologi cattolici - a un’ideale “federazione tra le Chiese”, tutte sullo stesso piano. Ma l’obiettivo dell’ecumenismo per la Chiesa cattolica è ben diverso.
La concezione che lei descrive è esattamente quello che intendevo quando parlavo dell’idea di una unità che si vuole costruire dal basso. Si fanno tanti sforzi, che non approdano a nulla, allora si ripiega su una sorta di federazione: cerchiamo di metterci insieme, ognuno rimanga quel che è e tiriamo a campare. Chissà perché poi tra questi sforzi poi c’è il tentativo di far cambiare natura alla Chiesa cattolica.

Può fare qualche esempio?
Pensiamo ad alcuni gruppi di protestanti che cercano di spingere la Chiesa cattolica all’intercomunione. Questa è una delle fisse di alcuni gruppi: facciamo l’intercomunione fra noi,anche se ognuno la realtà della comunione la concepisce diversamente. Come è noto l’idea di eucarestia dei protestanti non è quella dei cattolici: i protestanti vedono l’eucarestia come cena, per noi cattolici Corpo di Cristo come Chiesa e Corpo di Cristo come specie sacramentale costituiscono lo stesso mistero, unico sacramento. Quindi per noi non è possibile essere in comunione con chi la pensa diversamente. Ciononostante tra i protestanti e anche da alcune frange cattoliche, si vuole a tutti i costi spingere verso un’apparenza di unità.
Ma la questione va anche oltre i cristiani e si estende agli ebrei, ad esempio: stamattina ascoltavo un’intervista al rabbino capo di Roma, il quale in certo senso dettava alla Chiesa cattolica i criteri per essere Chiesa. Diceva: dunque dobbiamo eliminare la teologia della sostituzione (il popolo di Dio ha preso il posto del popolo di Israele per quanto riguarda la salvezza). Poi bisogna togliere di mezzo le beatificazioni (con allusione a Pio XII); infine bisogna essere attenti nel richiamare all’unità i lefebfvriani, perché richiamarli significa che il Concilio viene tradito. A me sembra strano che una persona che non è membro della Chiesa cattolica, intervenga in questo modo invece di guardare al proprio interno. Se davvero vuole lavorare per rendere meno difficile la coesistenza tra diversi esseri umani o religioni, si preoccupi piuttosto di guardare al proprio interno quali sono i problemi, i punti su cui lavorare per rendere meno difficile la condivisione tra esseri umani – in questo caso di due religioni – invece di dettare all’altro quello che dovrebbe essere. Questo è un cattivo modo di intendere l’ecumenismo, in questo caso il dialogo interreligioso. Nessuno di noi si sognerebbe di andare dagli ebrei a dire cosa devono o non devono fare.

Si potrebbe però obiettare che anche i cattolici desiderano il cambiamento degli altri, che gli altri tornino all’unica Chiesa cattolica, che anche gli ebrei si convertano. Perché questa non è una mancanza di rispetto?
Appartiene al dna del cattolico, altrimenti non sarebbe cattolico, concepire la Chiesa come pienezza della verità e il massimo possibile dell’unità. Meno della Chiesa cattolica - diceva von Balthasar - vuol dire appartenere a un’altra realtà che non è la Chiesa cattolica. Per un cattolico – consapevole della propria cattolicità – l’appartenenza alla Chiesa cattolica è il massimo di appartenenza ecclesiale cristiana che possa esserci. Questo probabilmente potrà non piacere ad altri, però cerco di far capire con un esempio: se l’idea di sacramento non caratterizza la Chiesa protestante, oppure se l’idea del primato del vescovo di Roma in rapporto a tutti i vescovi del mondo non caratterizza la chiesa ortodossa, vuol dire che siamo dinanzi a un di meno rispetto alla pienezza cattolica. Diceva Balthasar: queste realtà riposano già nella Chiesa cattolica, non sono esterne. Quindi chi non ce l’ha, chi le ha ricusate, per ragioni storiche, certamente non può pretendere che i cattolici tornino indietro. Loro dovrebbero domandarsi perché mai le abbiano rifiutate. Certamente ci può essere la responsabilità da parte cattolica per queste divisioni, ma ciò non toglie nulla della verità riguardo la natura della Chiesa. Tenga anche presente che tutti i cristiani professano lo stesso Credo, che è stato confezionato nei concili di Nicea e di Costantinopoli: quindi tutti affermiamo “Credo la Chiesa una, Santa, cattolica, apostolica”, anche se è evidente che l’affermazione a parole – direbbe sant’Ireneo - non vuol dire che tutti crediamo allo stesso modo.

Quindi come si concilia il dialogo con la missione?
Un cattolico non può non desiderare che qualsiasi essere umano diventi cattolico, perché altrimenti ci sarebbe una domanda grande come una casa sul perché io sono cattolico.
Se sono cattolico credo che sia stato il più grande dono fatto alla mia vita. Se questo dono è stato fatto a me perché non devo desiderare che venga fatto ad altri?. Se io credo che Gesù Cristo è l’unico Signore e il Salvatore dell’umanità perché debbo credere che alcuni settori dell’umanità debbano essere esclusi? La cattolicità, la dimensione cattolica, sta ad indicare questa universalità di sguardo, di destinazione: per noi cattolici non è un limite, anzi, è una missione: guai a noi se non la perseguissimo, come dice San Paolo. Il dialogo è nella ricerca della verità: tra gli ebrei tanti sono diventati cristiani per un movimento spontaneo di approfondimento della loro stessa religione: sono andati a fondo della propria religione, Gesù è il compimento di questa ricerca della verità

Tornando al dialogo fra i cristiani, si ha l’impressione che con gli Ortodossi l’unità sia più facile – o più vicina - rispetto alle Chiese protestanti.
Credo sia un’apparenza. Con gli ortodossi essenzialmente differiamo perché l’idea di Chiesa che loro hanno non postula un principio visibile di unità risiedente nel vescovo di Roma. Loro credono che la Chiesa sia appoggiata unicamente sulle Chiese locali, sulla visibilità locale.
Dire che sia più facile è azzardato perché all’interno stesso dell’Ortodossia, i vescovi e le Chiese in cui l’Ortodossia si articola, hanno totalmente consolidato il principio di autonomia, ognuno fa di testa sua (è il significato letterale di autocefale). Gli ortodossi sanno che questo è il loro grande problema, La struttura ecclesiologica affermatasi nei secoli è arrivata a tal punto che non sono in grado di uscirne.
L’autocefalia è una specie di virus che diventa un principio di distruzione della Chiesa, e purtroppo ha attaccato anche la Chiesa cattolica. Basta pensare all’elefantiasi delle conferenze episcopali (nazionali, regionali, territoriali) che praticamente vogliono dettare legge pure alla sede apostolica di Roma. Il rischio è grave: la realtà – non da oggi – è che c’è un tentativo da parte di alcune conferenze episcopali di costituirsi come alter ego della Santa Sede, dimenticando che le conferenze episcopali non sono di istituzione divina. Sono degli organismi ecclesiali che quindi hanno tutti i limiti degli organismi umani. Neanche l’autorità di un singolo vescovo può essere surclassata da una conferenza episcopale. Ma oggi si assiste a questo, al lento, indiretto esautoramento del l’autorità del singolo vescovo da parte delle Conferenze episcopali. Queste tra l’altro non hanno prerogative dottrinali però molto spesso assistiamo a prese di posizione quasi contestatarie nei confronti dell’autorità del vescovo di Roma, senza la quale non sussiste neanche quella degli organismi collegiali. Come insegna il Concilio Vaticano II, il collegio dei vescovi non è mai senza il suo capo. Se non provvediamo subito a curare questo virus rischieremo di trovarci anche noi in situazioni analoghe – e direi sempre più difficili – a quelle dei cosiddetti fratelli separati.

quarta-feira, 5 de outubro de 2011

Il Papa e Lutero, una polemica sbagliata - di Massimo Introvigne

In La Bussola Quotidiana

Il week-end ci ha portato un buon numero di polemiche sterili, specie in Germania (ma non solo), a proposito di Martin Lutero (1483-1546) e dei due discorsi che il Papa gli ha dedicato visitando il 23 settembre l’ex-convento agostiniano di Erfurt, dove Lutero fu ordinato sacerdote nel 1507. A Erfurt Benedetto XVI ha proposto ai cattolici un nuovo «incontro con Martin Lutero», affermando che la domanda sul ruolo della fede e sul peccato, «questa scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda».

I commenti correnti vanno dall’idea che il Pontefice abbia riabilitato Lutero, con conseguente applauso scrosciante dei cattolici progressisti e vesti stracciate da parte di alcuni «tradizionalisti», a quella – prospettata da alcuni dirigenti protestanti tedeschi, e forse più vicina alla realtà – che Benedetto XVI abbia voluto ricordare ai luterani germanici di oggi, piuttosto liberali in materia sia di teologia sia di morale, che su questioni come i matrimoni omosessuali o la certezza della resurrezione di Cristo come evento realmente verificatosi nella storia Lutero era molto più rigoroso – e, se si vuole, più «cattolico» – di loro, suggerendo che – di fronte a certe loro posizioni – oggi si rivolterebbe nella tomba.


A queste discussioni manca il contesto. Quelli di Erfurt non sono certamente i primi discorsi dove il Papa parla di Lutero. Da anni, e come ci ha ricordato da ultimo in un in un incontro del 15 gennaio 2011 con una delegazione luterana giunta a Roma dalla Finlandia, di cui La Bussola Quotidiana ha dato conto, Benedetto XVI afferma di dare molta importanza a un testo che, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha contribuito a redigere: la Dichiarazione congiunta della Chiesa Cattolica e della Federazione Luterana Mondiale sulla dottrina della giustificazione, firmata ad Augusta il 31 ottobre 1999. In questa Dichiarazione si riconosce che non era senza fondamento la domanda posta da Martin Lutero a un mondo orgoglioso, caratterizzato dal clima del Rinascimento in cui l’uomo si affermava, secondo un’espressione di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), tui ipsius quasi arbitrarius honorariusque plastes in quam malueris tute formam effigas, «plasmatore e scultore di se stesso [così che] tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito». È Dio che salva l’uomo o l’uomo sui ipsius plastes et fictor si salva da solo? La ragione può salvare senza la fede?


Nella Dichiarazione di Augusta – che ricorda certe formulazioni proposte nel dialogo fra i rappresentanti cattolici e il più diretto collaboratore di Lutero, Filippo Melantone (1497-1560), un dialogo che non si concluse soprattutto per l’intervento politico dei principi tedeschi che ormai avevano deciso di rompere definitivamente con Roma – luterani e cattolici concordano sul fatto che «l’uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio». Pertanto, «quando i cattolici affermano che l’uomo, predisponendosi alla giustificazione e alla sua accettazione, “coopera” con il suo assenso all’azione giustificante di Dio, essi considerano tale personale assenso non come un’azione derivante dalle forze proprie dell’uomo, ma come un effetto della grazia». Per quanto fondamentale sia l’armonia tra fede e ragione, se si deve rispondere alla domanda se ultimamente sia la fede o la ragione a salvarci la risposta non è oggetto di dubbi: è la fede che salva.


La Dichiarazione congiunta di Augusta è criticata sia «da destra» da chi la ritiene troppo conciliante con i luterani – ancora nel 2010 il superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), mons. Bernard Fellay, ha ripubblicato suoi scritti su questo testo in un libro al vetriolo, L’hérésie justifiée («L’eresia giustificata», Le Sel de la Terre, Avrillé 2010), accusando di riabilitare l’eresia direttamente Benedetto XVI – sia «da sinistra», da chi come Hans Küng pensa e scrive che il Papa si sarebbe incontrato con un mondo luterano conservatore sulla base di un’interpretazione tradizionale e letteralista del peccato originale, che sarebbe «superata».


Certamente la Dichiarazione congiunta ha bisogno di essere ben compresa e interpretata. Non deve dare l’impressione che tutti i problemi tra cattolici e luterani sono risolti. Il Papa lo ha detto il 24 gennaio 2011 ricevendo a Roma una delegazione luterana tedesca e pronunciando un altro importante discorso di cui pure La Bussola Quotidiana ha riferito. Se si ignora questo contesto, in cui il Pontefice parte dalla Dichiarazione congiunta e la valorizza, ma elenca anche con franchezza i problemi irrisolti, si rischia di non capire neanche i discorsi di Erfurt. In questa prospettiva, vanno ricordati anche altri due elementi.

Ricevendo i luterani finlandesi il 15 gennaio, il Papa ha richiamato pure un altro documento più recente, che definisce un «risultato degno di attenzione». Si tratta del testo del 2010 La giustificazione nella vita della Chiesa prodotto dal Gruppo di dialogo cattolico-luterano nordico in Finlandia e in Svezia. Più lungo della Dichiarazione congiunta (134 pagine), questo documento approfondisce sia il consenso sia il dissenso, e mostra come le divergenze sul rapporto tra fede e ragione tra la tradizione cattolica e Lutero abbiano generato gravi problemi nella storia della Chiesa. Queste stesse divergenze sono state evocate da Benedetto XVI nell’enciclica del 2007 Spe salvi, in particolare nel settimo paragrafo, dove sono mostrate le responsabilità di Lutero nel separare la fede dalla ragione, rischiando di ridurre la fede stessa a un qualche cosa di volontaristico e di sentimentale, con conseguenze rovinose per tutto il pensiero europeo successivo.


A Erfurt il Papa ha detto che le domande poste da Lutero a un mondo dominato dall’umanesimo e dal Rinascimento, che erano penetrati anche nella Chiesa, e che esaltavano la ragione a scapito della fede e inneggiavano alla grandezza dell’uomo dimenticando il peccato originale, erano sensate. La domanda di Lutero all’umanesimo, la quale implica che il peccato ha un ruolo centrale che non può essere eluso e che «il male non è un’inezia», merita ancora – ha detto il Papa a Erfurt – tutta la nostra attenzione. Rivendicare il primato della fede contro l’orgoglioso razionalismo rinascimentale: è questo il senso in cui il Papa parla dell’«interesse» di un incontro con Lutero oggi. Ed è – i dirigenti luterani tedeschi hanno capito bene – anche un argomento ad hominem perché oggi proprio tante comunità protestanti del Nord Europa che accettano l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale e teologie che, come ha detto il Papa, «annacquano» la fede con il «pericolo di perderla» sono vittima di quello stesso razionalismo che ha le sue radici remote nell’umanesimo contro cui era insorto Lutero.


Se però leggiamo i discorsi di Erfurt, com’è giusto fare, nel contesto di tutto il Magistero di Benedetto XVI su Lutero ci convinciamo che il Papa ci invita a prendere sul serio le domande del monaco di Erfurt – domande , per di più, formulate in gran parte quando era ancora cattolico – ma non certo ad accettare le sue risposte. Infatti, come emerge proprio dalla critica della Spe salvi, l’affermazione della fede come primaria rispetto alla ragione diventa nel pensiero maturo di Martin Lutero la tesi di una fede separata dalla ragione, cioè il fideismo. Anche se volessimo prescindere dalle frasi più dure e polemiche di Lutero, più frequenti negli ultimi anni della sua vita – come quelle in cui invitava a considerare la ragione «la più grande prostituta del diavolo» – non è periferica, ma centrale nel suo pensiero la svolta denunciata da Benedetto XVI nel celebre discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, per cui in Lutero a un certo punto «la metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte [rispetto a quella biblica, alla sola Scriptura], da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa».


Nelle parole stesse di Lutero, «la ragione è direttamente opposta alla fede; perciò si deve abbandonarla; nei credenti essa dev’essere uccisa e sepolta»; «deve essere affogata nel battesimo». Per essere davvero se stessa, la fede divorzia – nel senso etimologico del termine, che fa riferimento a due strade che divertunt, divergono – dalla ragione e dalla filosofia greca, così che Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona vede in Lutero la prima ondata di quella «deellenizzazione», cioè di un’infausta separazione della fede cattolica dall’eredità greca, quindi dalla ragione, che è responsabile di tutti i guai ideologici che l’Europa ha conosciuto nei secoli successivi. Lutero butta via il bambino con l’acqua sporca. Per reagire al razionalismo umanista, butta via anche la ragione, l’eredità della filosofia greca e del diritto romano. Mentre «la cultura dell’Europa – lo ha ribadito il Papa in Germania al Parlamento Federale, con una sorta di sintesi del discorso di Ratisbona – è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa». Lutero aveva torto: alla Grecia e a Roma non si può rinunciare.


Quali sono le conseguenze della rinuncia di Lutero all’eredità greca e romana, cioè alla ragione e al diritto fondato sulla ragione? Si potrebbe parlare di «eterogenesi dei fini», un’espressione che risale a Giambattista Vico (1668-1744) e che è passata a indicare un’azione o un pensiero che, immesso nella storia, finisce per causare effetti opposti a quelli che si proponeva. Così, sganciando la ragione dalla fede e lasciandola, per così dire, libera di operare senza il freno del confronto con la teologia, è nell’ambito del protestantesimo che prospera quello stesso razionalismo che Lutero, spaventato dall’umanesimo, affermava di voler combattere. La svalutazione della ragione porta molti eredi di Lutero – anche se non tutti – a negare l’esistenza di un diritto naturale, di principi e di leggi che proprio in forza della ragione s’impongono a tutti gli uomini – e anche ai governanti. Il governante si trova così in grado di esercitare il suo potere secondo la regola dell’assolutismo: un potere absolutus, cioè solutus ab, «sciolto da» ogni vincolo a una legge superiore.


Se non ci sono princìpi che la ragione può conoscere e che valgono per tutti, la volontà del sovrano non ha limiti. Secondo l’espressione del filosofo del diritto Juan Vallet de Goytisolo (1917-2011), che abbiamo recentemente commemorato su La Bussola Quotidiana in occasione della sua scomparsa, si passa «dal legislare come legere al legislare come facere». Per chi crede nel diritto naturale l’autorità non «crea» la norma ma la «legge» nella natura stessa delle cose: il legislare è un legere. Ma per chi non ci crede l’autorità crea la legge con un puro atto d’imperio e di volontà: il legislare è un facere. Per Lutero la sola fides sembra ergersi sovrana, dopo avere divorziato dalla ragione. Ma è una sovranità limitata al campo della teologia, che lascia tutto il resto del pensare e dell’agire umano – una volta rimossa la ragione – alla volontà di potenza e all’arbitrio del principe. Così, la svalutazione della ragione e la prima ondata della deellenizzazione non creano libertà, ma assolutismo: e si spiega perché tanti principi vogliosi di assolutismo abbiano appoggiato Lutero.


Tutto questo processo – per cui la svalutazione della ragione non produce libertà, ma assolutismo e oppressione che, come il Papa ha ripetuto al Parlamento Federale di Berlino, sono i frutti tipici della negazione del diritto naturale – è stato ricostruito molte volte e con rigore da Benedetto XVI, in particolare nel discorso di Ratisbona e nell’enciclica Spe salvi, senza timore di fare il nome di Lutero come di colui che è alle origini di questa deriva negativa e pericolosa.


Nella storia della scristianizzazione dell’Occidente – un tema centrale del Magistero di Benedetto XVI – non bisogna mai confondere domande e risposte, esigenze comprensibili e modi sbagliati di rispondere a queste esigenze. Il 12 maggio 2010 a Lisbona – in un altro discorso fondamentale per comprendere quelli di Erfurt – il Papa, come fa spesso, ha assunto come punto di partenza il Concilio Ecumenico Vaticano II, «nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo.

Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita». Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità – compresa la Riforma, cioè anzitutto Lutero – le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le «istanze», di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma «superandole» –, e gli «errori e vicoli senza uscita» in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di comprensibile.


Per il Papa la modernità come insieme di esigenze, Lutero compreso, può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità, ancora: Lutero compreso, come insieme di risposte, è invece finita in «errori e vicoli senza uscita» e in orrori storici. La verità è che alle domande della modernità le risposte giuste le ha date, e poteva darle, soltanto la Chiesa.

terça-feira, 7 de dezembro de 2010

Religious leaders’ open letter reaffirms protection of man-woman marriage


.- The U.S. Catholic bishops have joined other American religious leaders in signing an open letter reaffirming their commitment to the protection of marriage as “the permanent and faithful union of one man and one woman.”

“As religious leaders across different faith communities, we join together and affirm our shared commitment to promote and protect marriage as the union of one man and one woman,” the Dec. 6 letter notes. “We honor the unique love between husbands and wives; the indispensible place of fathers and mothers; and the corresponding rights and dignity of all children.”

The letter, titled “The Protection of Marriage: A Shared Commitment,” notes that marriage is fundamental not just to the well-being of religious communities but to the well-being of “all of society.” Marriage is a “great good” in itself and serves the good of society in “innumerable ways,” the leaders say.

“The preservation of the unique meaning of marriage is not a special or limited interest but serves the good of all. Therefore, we invite and encourage all people, both within and beyond our faith communities, to stand with us in promoting and protecting marriage as the union of one man and one woman,” the letter concludes.

The letter was released on the same day that oral arguments on the Proposition 8 federal lawsuit were set to begin. In August, Judge Vaughn Walker ruled the California ballot measure to be unconstitutional, claiming that the definition of marriage as a union of a man and a woman lacked any rational basis and reflected religious-based hostility to homosexuals.

“Today is the moment to stand for marriage and its unchangeable meaning. We hope this letter will encourage just that,” commented Archbishop Timothy Dolan of New York, president of the U.S. Conference of Catholic Bishops’ (USCCB) and a signatory to the letter.

He said the letter reflects a “broad consensus” across religious divides.

“The law of marriage is not about imposing the religion of anyone, but about protecting the common good of everyone,” he explained. The legal recognition of marriage as a union of a man and a woman reinforces “the foundational cell of human society.”

Other signatories to the letter were Leith Anderson, president of the National Association of Evangelicals; Dr. Richard Land, president of the Southern Baptist Ethics & Religious Liberty Commission; Nathan Diament, director of the Institute for Public Affairs for the Union of Orthodox Jewish Congregations of America; Presiding Bishop David Burton of the Church of Jesus Christ of Latter-day Saints; Rev. Samuel Rodriguez, president of the National Hispanic Christian Leadership Conference; and Metropolitan Jonah of the Orthodox Church in America.

Signatories also included Lutheran, Pentecostal, and Methodist leaders as well as the secretary general of the World Sikh Council’s America Region, Manmohan Singh.

Downloadable copies of the letter are available at the USCCB website at www.usccb.org/defenseofmarriage/shared-commitment.