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quarta-feira, 31 de julho de 2013

Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata - di Roberto de Mattei

In CR 

Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/ 1350567) si presenta come un episodio di gravità estrema, destinato ad avere all’interno della Chiesa conseguenze forse non previste da chi incautamente lo ha posto in atto.

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata (conosciuta come Congregazione per i Religiosi), con un suo Decreto dell’11 luglio 2013, firmato dal cardinale prefetto João Braz de Aviz e dall’arcivescovo segretario José Rodriguez Carballo, ofm, ha esautorato i superiori dei Francescani dell’Immacolata, affidando il governo dell’Istituto ad un “commissario apostolico”, il padre Fidenzio Volpi, cappuccino.

Per “blindare” il decreto, il card. João Braz de Aviz, si è munito di un’approvazione “ex auditu”, di Papa Francesco, che toglie ai Frati ogni possibilità di appello alla Segnatura Apostolica. Le ragioni di questa condanna, che ha la sua origine in un esposto alla Congregazione per i Religiosi di un gruppo di frati dissidenti, restano misteriose. Dal decreto della Congregazione e dalla lettera inviata ai Francescani il 22 luglio dal nuovo Commissario, gli unici capi di accusa sembrano essere quelli di scarso «sentire cum Ecclesia» e di eccessivo attaccamento al Rito Romano antico.

In realtà ci troviamo di fronte ad una palese ingiustizia nei confronti dei Francescani dell’Immacolata. Questo istituto religioso, fondato dai padri Stefano Maria Manelli e Gabriele Maria Pellettieri, è uno dei più fiorenti che vanta la Chiesa, per il numero delle vocazioni, l’autenticità della vita spirituale, la fedeltà all’ortodossia e alle autorità romane. Nella situazione di anarchia liturgica, teologica e morale in cui oggi ci troviamo, i Francescani dell’Immacolata dovrebbero essere presi come un modello di vita religiosa. Il Papa si richiama spesso alla necessità di una vita religiosa più semplice e sobria.

I Francescani dell’Immacolata si distinguono proprio per l’austerità e la povertà evangelica con cui, fin dalla loro fondazione, vivono il loro carisma francescano. Accade invece che, in nome del Papa, la Congregazione dei religiosi azzeri il governo dell’Istituto, per trasmetterlo ad una minoranza di frati ribelli, di orientamento progressista, ai quali il neo-commissario si appoggerà per “normalizzare” l’Istituto, ovvero per condurlo al disastro a cui fino ad ora era sfuggito grazie alla sua fedeltà alle leggi ecclesiastiche e al Magistero.

Ma oggi il male viene premiato e il bene punito. Non sorprende che ad esercitare il pugno di ferro nei confronti dei Francescani dell’Immacolata sia quello stesso Cardinale che auspica comprensione e dialogo con le suore eretiche e scismatiche americane. Quelle religiose predicano e praticano le teorie del gender, e dunque si deve dialogare con esse. I Francescani dell’Immacolata predicano e praticano la castità e la penitenza e perciò con essi non c’è possibilità di comprensione. Questa è la triste conclusione a cui giunge inevitabilmente un osservatore spassionato.

Uno dei capi di imputazione è di essere troppo attaccati alla Messa tradizionale, ma l’accusa è pretestuosa, perché i Francescani dell’Immacolata sono, come si suol dire, “bi-ritualisti”, ovvero celebrano la nuova Messa, e l’antica, come è loro concesso dalle leggi ecclesiastiche vigenti. Posti di fronte ad un ingiusto ordine, c’è da immaginare che alcuni di essi non rinunceranno a celebrare la Messa tradizionale, e faranno bene a resistere su questo punto, perché si tratterà di un gesto non di ribellione ma di obbedienza. Gli indulti e privilegi a favore della Messa tradizionale non sono stati abrogati e hanno una forza giuridica maggiore del decreto di una congregazione, e perfino delle intenzioni di un Papa, se non si esprimono in un chiaro atto giuridico.

Il cardinale Braz de Aviz sembra ignorare l’esistenza del motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, del suo decreto applicativo, l’Istruzione Universae Ecclesiae del 30 aprile 2011, e della commissione Ecclesia Dei, annessa alla Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui oggi la Congregazione per i Religiosi invade il campo.

Qual è l’intenzione della suprema autorità ecclesiastica? Sopprimere l’Ecclesia Dei e abrogare il motu proprio di Benedetto XVI? Lo si dica esplicitamente, perché possano esserne tratte le conseguenze. E se così non è, perché porre in atto un decreto inutilmente provocatorio nei confronti del mondo cattolico che si richiama alla Tradizione della Chiesa? Tale mondo è in fase di grande espansione, soprattutto tra i giovani, e questa è forse la ragione principale dell’ostilità di cui oggi è oggetto.

Infine, il Decreto costituisce un abuso di potere che riguarda non solo i Francescani dell’Immacolata e coloro che impropriamente sono definiti tradizionalisti, ma ogni cattolico. Esso rappresenta infatti un allarmante sintomo di quella perdita della certezza del diritto che sta avvenendo oggi all’interno della Chiesa. La Chiesa infatti è una società visibile, in cui vige il «potere del diritto e della legge» (Pio XII, Discorso Dans notre souhait del 15 luglio 1950). Il diritto è ciò che definisce il giusto e l’ingiusto e, come spiegano i canonisti, «la potestà nella Chiesa deve essere giusta, e ciò è richiesto dall’essere della stessa Chiesa, il quale determina gli scopi e i limiti dell’attività della Gerarchia. Non qualunque atto dei sacri Pastori, per il fatto di provenire da loro, è giusto» (Carlos J. Errazuriz, Il diritto e la giustizia nella Chiesa, Giuffré, Milano 2008, pp. 157) .

Quando la certezza del diritto viene meno, prevale l’arbitrio e la volontà del più forte. Accade spesso nella società, può accadere nella Chiesa, quando in essa la dimensione umana prevale su quella soprannaturale. Ma se non c’è certezza del diritto, non c’è regola di comportamento sicura. Tutto è lasciato all’arbitrio dell’individuo o di gruppi di potere, e alla forza con cui queste lobby sono capaci di imporre la propria volontà. La forza, separata dal diritto, diviene prepotenza e arroganza.

La Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è un’istituzione giuridica, basata su di una legge divina, di cui gli uomini di Chiesa sono i depositari, e non i creatori o i padroni. La Chiesa non è un “soviet”, ma un edificio fondato da Gesù Cristo in cui il potere del Papa e dei vescovi va esercitato seguendo le leggi e le forme tradizionali, radicate tutte nella Rivelazione divina. Oggi si parla di una Chiesa più democratica e ugualitaria, ma il potere viene esercitato spesso in maniera personalistica, in spregio alle leggi e alle consuetudini millenarie. Quando esistono leggi universali della Chiesa, come la bolla di san Pio V Quo primum (1570) e il motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, è necessario, per mutarle, un atto giuridico equivalente. Non si può ritenere revocata una legge precedente se non con un atto esplicitamente abrogativo di uguale portata.

Per difendere la giustizia e la verità all’interno della Chiesa, confidiamo nella voce dei giuristi, tra i quali sono alcuni eminenti cardinali, che hanno ordinato secondo il Rito “straordinario” i Frati Francescani dell’Immacolata e ne conoscono la vita esemplare e lo zelo apostolico. Ci appelliamo soprattutto a Papa Francesco, perché voglia ritirare le misure contro i Francescani dell’Immacolata e contro il loro uso legittimo del Rito Romano antico.

Qualunque decisione sia presa non possiamo nascondere il fatto che l’ora che vive oggi la Chiesa è drammatica. Nuove tempeste si addensano all’orizzonte e queste tempeste certamente non sono suscitate né dai Frati, né dalle Suore Francescane dell’Immacolata. L’amore alla Chiesa, cattolica apostolica e romana li ha sempre mossi e muove noi a prendere le loro difese. La Madonna, Virgo Fidelis, suggerirà alle coscienze di ognuno, in questi difficili frangenti la giusta strada da seguire.



sexta-feira, 15 de março de 2013

Francesco I sulla Cattedra di Pietro - di Roberto de Mattei

In CR 

(di Roberto de Mattei) La Chiesa ha un nuovo Papa: Jorge Mario Bergoglio, il  primo Papa non europeo, il primo Papa latino americano, il primo Papa di nome Francesco. I mass-media cercano di indovinare, attraverso il suo passato di cardinale, di arcivescovo di Buenos Aires e di semplice sacerdote, quale sarà il futuro della Chiesa sotto il suo pontificato. Di quale “rivoluzione” sarà portatore? Hans Küng lo definisce «la migliore scelta possibile» (“La Repubblica”, 14 marzo 2013). Ma solo dopo la nomina dei suoi collaboratori e dopo i suoi primi discorsi programmatici si potranno prevedere le linee del pontificato di Papa Francesco. Per ogni Papa vale quello che disse, nel 1458, il cardinale Enea Silvio Piccolomini al momento della sua elezione, con il nome di Pio II: «dimenticate Enea, accogliete Pio».

La storia non si ripete mai esattamente, ma il passato aiuta a comprendere il presente. Nel XVI secolo la Chiesa cattolica attraversava una crisi senza precedenti. L’umanesimo, con il suo edonismo immorale, aveva contagiato la Curia Romana e gli stessi Pontefici. Contro questa corruzione era sorta la pseudo-riforma protestante di Martin Lutero, liquidata da Papa Leone X, della famiglia Medici, come «una bega tra monaci». L’eresia aveva iniziato a divampare quando, alla morte di Leone X, nel 1522, fu inaspettatamente eletto il primo Papa tedesco, Adrian Florent, di Utrecht, con il nome di Adriano VI.

La brevità del pontificato gli impedì di portare a termine i suoi progetti, in particolare, scrive lo storico dei Papi Ludwig von Pastor, «la guerra gigantesca contro lo sciame di abusi che deformava la curia romana come quasi l’intera Chiesa». .Se pure egli avesse avuto un governo più lungo, il male, nella Chiesa, era troppo radicato, osserva Pastor, «perché un pontificato solo potesse produrre quel grande cambiamento che era necessario. Tutto il male che era stato commesso in parecchie generazioni poteva migliorarsi soltanto con un lavoro lungo, ininterrotto».

Adriano VI comprese la gravità del male e le responsabilità degli uomini di Chiesa, come emerge chiaramente da una istruzione che, a suo nome, il nunzio Francesco Chieregati lesse alla Dieta di Norimberga, il 3 gennaio 1523. Si tratta, come osserva Ludwig von Pastor, di un documento di straordinaria importanza non solo per conoscere le idee riformatrici del Papa, ma perché è un testo senza precedenti nella storia della Chiesa.

Dopo aver confutato l’eresia luterana, nell’ultima e più notevole parte dell’istruzione, Adriano tratta della defezione della suprema autorità ecclesiastica di fronte ai novatori. «Dirai ancora», ecco la espressa istruzione che egli dà al nunzio Chieregati, «che noi apertamente confessiamo che Iddio permette avvenga questa persecuzione della sua Chiesa a causa dei peccati degli uomini e in particolare dei preti e prelati; è certo che la mano di Dio non s’è accorciata sì che egli non possa salvarci, ma gli è il peccato a distaccarci da lui sì che Egli non ci esaudisce. La Sacra Scrittura insegna chiaramente che i peccati del popolo hanno la loro origine nei peccati del clero e perciò, come rileva il Crisostomo, il nostro Redentore, quando volle purgare l’inferma città di Gerusalemme, andò prima al tempio per punire innanzi tutto i peccati dei preti, a guisa d’un buon medico, che sana la malattia nella radice.

Sappiamo bene che anche presso questa Santa Sede già da anni si sono manifestate molte cose detestabili: abusi in cose ecclesiastiche, lesioni dei precetti; anzi, che tutto s’è cambiato in male. Non è pertanto da far meraviglia se la malattia s’è trapiantata dal capo nelle membra, dai Papi nei prelati. Tutti noi, prelati e ecclesiastici, abbiamo deviato dalla strada del giusto e da lunga pezza non v’era alcuno che facesse bene. Dobbiamo quindi noi tutti dare onore a Dio e umiliarci innanzi a Lui: ognuno mediti perché cadde e si raddrizzi piuttosto che venir giudicato da Dio nel giorno dell’ira sua. Perciò tu in nome nostro prometterai che noi vogliamo porre tutta la diligenza perché venga migliorata prima di tutto la Corte romana, dalla quale forse hanno preso il loro cominciamento tutti questi mali; allora, come di qui è partita la malattia, di qui anche comincerà il risanamento, a compiere il quale noi ci consideriamo tanto più obbligati perché tutti desiderano tale riforma.

Noi non abbiamo mai agognato la dignità papale ed avremmo più volentieri chiuso i nostri occhi nella solitudine della vita privata: volentieri avremmo rinunciato alla tiara e solo il timore di Dio, la legittimità dell’elezione e il pericolo d’uno scisma ci hanno indotto ad assumere l’ufficio di sommo pastore, che non vogliamo esercitare per ambizione, né per arricchire i nostri congiunti, ma per ridare alla Chiesa santa, sposa di Dio, la sua primiera bellezza, per aiutare gli oppressi, per innalzare uomini dotti e virtuosi, in genere per fare tutto ciò che spetta a un buon pastore e a un vero successore di san Pietro. Però nessuno si meravigli se non eliminiamo d’un colpo solo tutti gli abusi, giacché la malattia ha profonde radici ed è molto ramificata. Si farà quindi un passo dopo l’altro e dapprima si ovvierà con medicine appropriate ai mali gravi e più pericolosi affinché con un’affrettata riforma di tutte le cose non si ingarbugli ancor più il tutto. A ragione dice Aristotele che ogni improvviso cambiamento è pericoloso alla repubblica (…)».

Le parole di Adriano VI ci aiutano a comprendere come la crisi che oggi attraversa la Chiesa possa avere le sue origini nelle mancanze dottrinali e morali degli uomini di Chiesa nel mezzo secolo seguito al Concilio Vaticano II. La Chiesa è indefettibile, ma i suoi membri, anche le supreme autorità ecclesiastiche, possono sbagliare e devono essere pronti a riconoscere, anche pubblicamente, le loro colpe. Sappiamo che Adriano VI ebbe il coraggio di intraprendere questa revisione del passato. Come affronterà il nuovo Papa il processo di autodemolizione dottrinale e morale della Chiesa e quale atteggiamento avrà di fronte ad un mondo moderno impregnato di uno spirito profondamente anticristiano? Solo il futuro risponderà a queste domande, ma è certo che le cause dell’oscurità del tempo presente affondano nel nostro più recente passato.

La storia ci dice anche che ad Adriano VI successe Giulio de’ Medici, con il nome di Clemente VII (1523-1534). Sotto il suo pontificato avvenne, il 6 maggio 1527, il terribile sacco di Roma, ad opera dei lanzichenecchi luterani dell’imperatore Carlo V. È difficile descrivere quante e quali furono le devastazioni e i sacrilegi compiuti durante questo evento che superò per efferatezza il sacco di Roma del 410. Con particolare crudeltà si infierì contro le persone ecclesiastiche: religiose stuprate, preti e monaci uccisi e venduti come schiavi, chiese, palazzi, case distrutte. Alle stragi seguirono, in rapida successione, la fame ed un’epidemia di peste. Gli abitanti vennero decimati.

Il popolo cattolico interpretò l’evento come un meritato castigo per i propri peccati. Fu solo dopo il terribile sacco che la vita di Roma cambiò profondamente. Il clima  di relativismo morale  religioso si dissolse e la miseria generale diede alla Città sacra un’impronta austera e penitente. Questa nuova atmosfera rese possibile la grande rinascita religiosa della Contro-Riforma cattolica del XVI secolo. (Roberto de Mattei)

sábado, 5 de janeiro de 2013

What Archbishop Müller Said About the SSPX and “Continuity” - by Michael J. Miller

In CWR 

Volume VII of Joseph Ratzinger’s Collected Works, an anthology of his writings on the Second Vatican Council, was recently published in German. On November 28, 2012, the editor of the Opera Omnia, Archbishop Gerhard Ludwig Müller, who is now also prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith, presented this latest volume in the series at the Teutonic College of Santa Maria dell’Anima in Rome. This was the place where German and Austrian Council Fathers used to confer regularly with theologians and periti, including then-Father Ratzinger, at special meetings organized by Cardinal Frings of Cologne. An Italian version of Archbishop Müller’s speech appeared in the edition of L’Osservatore Romano dated November 29. 

Although the speech ostensibly outlined the contents of Volume VII and quoted a few familiar passages from a Vatican II document, it elicited several sharply critical responses from traditional Catholics, including an unsigned, six-part analysis by a theologian from the Society of St. Pius X and an essay by historian Roberto de Mattei. What under other circumstances might have been a routine publishing event proved to be an informal but revealing moment in the ongoing theological discussions between the Congregation for the Doctrine of the Faith and the Society of St. Pius X. 
 
Presentation of Volume VII

The two main themes of Archbishop Müller’s speech are stated in the first two paragraphs of the speech: “Joseph Ratzinger, from the time when he was a theologian, helped to shape the Council and accompanied it in all its phases…. The Council is an integral part of the history of the Church, and therefore it can be correctly understood only if this two-thousand-year context is considered.” 

The subtitle of Volume VII, Formulation—Transmission—Interpretation, marks the phases in Ratzinger’s Council-related work. The young professor of theology participated in the Preparatory Commissions for the Council as a theological advisor to Cardinal Frings. During a meeting at the Teutonic College in October 1962, Ratzinger criticized a conciliar schema (draft document) for describing the “sources” of Revelation in the plural; he argued that it is more theologically correct to speak of a single divine wellspring from which both Sacred Tradition and Sacred Scripture flow. Cardinal Frings adopted this critique and presented it at a General Assembly. Father Ratzinger was then appointed to two Conciliar Commissions and continued to help improve what eventually became the Dogmatic Constitution on Divine Revelation Dei Verbum.  

During and immediately after the sessions of Vatican II, Ratzinger provided “first-hand” reports on the proceedings in books, articles, lectures, and interviews, thus “stimulating debate” and facilitating “the reception” of the results of the Council. In the years between 1966 and 2003 he also wrote commentaries of all four Dogmatic Constitutions, based on their original, officially approved Latin texts, which most clearly express the will of the Council Fathers. Archbishop Müller comments: “Anyone who wants to understand the Council must consider attentively all the Constitutions, Decrees, and Declarations, because they alone, in their unity, represent the valid heritage of the Council.”  

Finally, while serving as prefect of the CDF and now as Pope, Joseph Ratzinger/Benedict XVI has written about how the Second Vatican Council should be interpreted and implemented. Two paragraphs from the section of Archbishop Müller’s presentation entitled “Hermeneutic of renewal in continuity” started a controversy; an English translation of them follows:  

In his Address to the Roman Curia on December 22, 2005, which sparked considerable interest, Benedict XVI emphasizes “the hermeneutic of reform in continuity” as opposed to a “hermeneutic of discontinuity and rupture.” Joseph Ratzinger thus takes up a position in line with his statements in 1966. This interpretation [i.e. the first-mentioned hermeneutic] is the only one possible according to the principles of Catholic theology, in other words, considering the indissoluble whole made up of Sacred Scripture, the complete and integral Tradition, and the Magisterium, the highest expression of which is the Council presided over by the Successor of St. Peter as Head of the visible Church. Besides this sole orthodox interpretation there is unfortunately a heretical interpretation, that is, the hermeneutic of rupture, both on the progressive side and on the traditionalist side. Both sides have in common their rejection of the Council; the progressives in wanting to leave it behind, as if it were a temporary phase to abandon in order to get to another church, and the traditionalists in not wanting to arrive at the Council, as if it were the winter of the Catholic Church.

“Continuity” signifies permanent correspondence with the origin, not an adaption of whatever has been, which also can set us on the wrong path. The oft-quoted watchword aggiornamento (“updating”) therefore does not mean “secularization” of the faith, which would lead to its dissolution, but rather the origin proclaimed again and again in new eras, the starting point from which salvation is given to mankind; aggiornamento therefore signifies “making present” the message of Jesus Christ. 
 
A historian’s response

On December 5, Roman historian Roberto de Mattei posted an article in Italian entitled “The Prefect of the CDF against Benedict XVI?” at the website www.conciliovaticanosecondo.it, which is devoted to discussion of Vatican II. In it he accuses Archbishop Müller of declaring “Vatican Council II as the sole and absolute dogma of our times…based on an entirely personal reading of the famous address of Benedict XVI to the Roman Curia on December 22, 2005.” Professor de Mattei faults the current prefect of the CDF for pretending that there is a “connection of absolute continuity between the current position of the Pope and the one that Father Joseph Ratzinger adopted as a young theologian.… Archbishop Müller says nothing about the theological development made over the course of fifty years by Cardinal Ratzinger.” The historian cites an extensive passage from a speech given by Ratzinger to the Chilean Bishops Conference in July 1988 in which he criticizes those who view Vatican II as “an end of Tradition, a new start from zero.” De Mattei concludes with the argument, “The Second Vatican Council is not a ‘package deal’ to be accepted or rejected in toto. Gaudium et Spes, for example, appears today to be an outdated document, pervaded with the nineteenth- and twentieth-century myth of progress.” 

With all due respect to an eminent historian of Vatican II, the professor seems to have misinterpreted Archbishop Müller’s remarks about “the hermeneutic of reform in continuity” as the only possible interpretation according to the principles of Catholic theology. The prefect of the CDF was not saying that Vatican II is the sole hermeneutic by which to interpret the Catholic faith and the world, the only lens through which we can legitimately look at them. He was saying, precisely, that when interpreting the Second Vatican Council and its documents, the hermeneutic of reform in continuity is the only authentically Catholic interpretation. 

A syntactical ambiguity in Archbishop Müller’s speech may have caused this misunderstanding. The disputed sentence ends with the clause: “the highest expression of which is the Council presided over by the Successor of St. Peter as Head of the visible Church.” The relative pronoun “which” refers back to “Magisterium”; indeed, the clause is ecclesiological “boilerplate,” a description of one form of the Magisterium that has become common parlance in post-conciliar discussion of teaching authority in the Church. The sentence also allows a second ingenious interpretation, however: “which” could conceivably refer back to “the indissoluble whole” (that is, Scripture, Tradition, Magisterium). This grammatically less likely reading would dangerously imply that an Ecumenical Council “trumps” everything else in the Church. That is obviously not true; even an Ecumenical Council is bound by the truths of Scripture and by the authority of Tradition and cannot remake them in its own image.  

Professor de Mattei is quite right about one thing, nonetheless: the current prefect of the CDF offered in his presentation speech an idiosyncratic reading of the Holy Father’s Address to the Roman Curia at Christmastime 2005, in which the Pope also articulated the concept of “the hermeneutic of discontinuity and rupture.” The following unedited quotation from that address makes it crystal clear that this unorthodox interpretation of Vatican II can only be the one favored by ultra-progressives and innovators.  

The hermeneutic of discontinuity risks ending in a split between the pre-conciliar Church and the post-conciliar Church. It asserts that the texts of the Council as such do not yet express the true spirit of the Council. It claims that they are the result of compromises in which, to reach unanimity, it was found necessary to keep and reconfirm many old things that are now pointless. However, the true spirit of the Council is not to be found in these compromises but instead in the impulses toward the new that are contained in the texts.
These innovations alone were supposed to represent the true spirit of the Council, and starting from and in conformity with them, it would be possible to move ahead. Precisely because the texts would only imperfectly reflect the true spirit of the Council and its newness, it would be necessary to go courageously beyond the texts and make room for the newness in which the Council's deepest intention would be expressed, even if it were still vague.
In a word: it would be necessary not to follow the texts of the Council but its spirit. In this way, obviously, a vast margin was left open for the question on how this spirit should subsequently be defined and room was consequently made for every whim.

The hermeneutic of rupture described in these three paragraphs plainly cannot be attributed to the Society of St. Pius X or to other Catholic groups that questioned the new pastoral teachings or liturgical disciplines introduced by Vatican II. Therefore when Archbishop Müller talks about a hermeneutic of rupture “on the traditionalist side” he has ceased presenting the published works of Joseph Ratzinger/Benedict XVI and has begun to editorialize.  

Of course the Holy Father himself recognizes that misunderstandings of Vatican II teaching come from various, even diametrically opposed quarters. In his homily on the first day of the Year of Faith he remarked, “Reference to the [conciliar] documents saves us from extremes of anachronistic nostalgia and running too far ahead.” Benedict XVI recommends the hermeneutic of continuity to those on both extremes, but he does not apply the expression “hermeneutic of rupture” to traditional Catholics. 
 
An SSPX response

The six-part response by an SSPX theologian to the presentation speech by Archbishop Müller contains a humorous subtitle that sums up its attitude: “Outside the Vatican II Council, no salvation?” Like Professor de Mattei, the SSPX theologian assumes that Archbishop Müller is “dogmatizing” the Council, based on the extremely broad (albeit improbable) reading of the CDF prefect’s sentence about the Second Vatican Council as “the highest expression” of the Church. The anonymous author then summarizes his take on the Prefect’s argument in the form of a syllogism:  

— (Major) Whoever does not accept the integral magisterium of the Church is heretical.
 (Minor) But the SSPX refuses Vatican II, part of the integral Church teaching.
 (Conclusion) Therefore, the SSPX is heretical. 

“Needless to say,” the SSPX author begins, “this declaration of Archbishop Müller is not an official statement coming in the extraordinary form of, say, a decree or an anathema.” He gently complains that this “is not the first time that Rome is ‘using’ the SSPX” as a foil for “the arch-modernists.” (Indeed, Cardinal Kurt Koch repeatedly has likened the doctrinal position of the Society of St. Pius X to that of Martin Luther.) 
The SSPX theologian and his General Superior, Bishop Bernard Fellay, agree completely that in principle “This interpretation (of a magisterial act in continuity with the past) is the only one possible according to the principles of Catholic theology, in consideration of the indissoluble link between Sacred Scripture, the complete and integral Tradition and the Magisterium.” The problem is that, in the particulars, Rome sees continuity in teaching where the SSPX sees discontinuity. If “continuity” exists only subjectively, in the minds of those currently in authority in the Church, then this logically leads to the position that “The message of Revelation is of no importance; what counts is to get along.” 
 
Conclusion

Although it proclaimed no dogmas, the Second Vatican Council was a teaching event: it taught that there is more to Catholic theology than Thomism, more to the Catholic Church than the Western Tradition, and more to Christian life on earth than the visible Catholic Church.  

Despite the latest round of misunderstandings in published statements by members of the CDF and the SSPX, it should be clear that they agree that: 

 The documents of Vatican II require interpretation in light of the Church’s entire Tradition.
 The documents of Vatican II have often been interpreted erroneously. 
 The solution to differences of opinion about interpreting the documents of Vatican II can come only from the highest authority of the Catholic Church.



domingo, 2 de setembro de 2012

Il Papa che combatté il comunismo, soprattutto quello infiltrato tra i suoi - di Roberto de Mattei

In CR 

George Weigel è un noto teologo e storico americano, autore del bestseller “Testimone dalla speranza. La vita di Giovanni
Paolo II”. Sorprende che Mondadori, che lo ha pubblicato in Italia (Milano 1999, 2001 e 2005), si sia lasciato sfuggire il secondo volume della biografia, stampato dall’editore Davide Cantagalli, con un’ottima traduzione di Giovanna Ossola (“La fine e l’inizio. Giovanni Paolo II, la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l’eredità”, Siena 2012, 621 pp., 29 euro). 

Eppure questo libro è per molti aspetti più importante del precedente, di cui rappresenta il seguito e il compimento. Weigel ha avuto il privilegio di trascorrere decine di ore accanto a Giovanni Paolo II, raccogliendo molte testimonianze dalla sua viva voce. Ma l’autore ha anche consultato fonti di straordinario interesse, come gli archivi del Kgb, dello Sluzba Bezpieczenstwa (Sb) polacco e della Stasi della Germania dell’est, traendone documenti che confermano come i governi comunisti e i servizi segreti dei paesi orientali siano penetrati in Vaticano per favorire i loro interessi e infiltrarsi nei ranghi più alti della gerarchia cattolica.

E’ questo un punto in cui il lo storico americano è realmente innovativo. Weigel spiega come dal 1962, in Polonia, il controllo della chiesa si concentrava nel IV dipartimento del ministero dell’Interno, meglio conosciuto come la quarta divisione dell’Sb, con il fine di rafforzare il controllo sulla chiesa e intensificare l’infiltrazione dei servizi segreti nelle istituzioni cattoliche. La nascita di questo dipartimento e l’inasprimento degli sforzi per infiltrare il cattolicesimo polacco coincidevano con la feroce campagna antireligiosa promossa in Unione sovietica da Nikita Kruscev che in occidente veniva presentato, in contrapposizione a Stalin, come un comunista dal “volto umano”.

Erano gli anni della distensione, e Kruscev, con il presidente americano Kennedy e Papa Giovanni XXIII, era un’icona del “buonismo” internazionale. Ma, come sottolinea Weigel, “per ironia della sorte la ripresa della persecuzione delle chiese e delle comunità cristiane in Unione sovietica nei primi anni 60 avvenne proprio quando Giovanni XXIII e la diplomazia della curia di Roma decisero un nuovo corso rispetto al problema del comunismo, quello che prese il nome di Ostpolitik” (p. 74).

Il principale rappresentante del nuovo corso di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, fu mons. Agostino Casaroli (1914-1998). Egli era convinto che le persecuzioni dei cattolici nei paesi comunisti fossero dovute anche alla politica “aggressiva” di Pio XII e salutò con soddisfazione l’elezione di Giovanni XXIII, che gli affidò importanti missioni nell’est europeo. Casaroli e i suoi collaboratori, a cominciare da mons. Achille Silvestrini, erano uomini di grande abilità, ma troppo fiduciosi nelle armi della diplomazia.

Di fronte alla poderosamacchina sovietica, la Santa Sede era priva di ogni forma di controspionaggio con cui poter resistere alla disinformazione e alla destabilizzazione che l’Ostpolitik rendeva possibile. A Roma negli anni del Concilio e del postconcilio il Collegio Ungherese divenne una filiale dei servizi segreti di Budapest. “Tutti i rettori del Collegio dal 1965 al 1987 dovevano essere agenti addestrati e capaci, con competenza sia nelle operazioni di disinformazione sia nell’installazione di microspie. Più della metà degli studenti e degli studiosi del Collegio erano agenti segreti; le autorità del Collegio avevano accesso diretto all’arcivescovo Casaroli, all’arcivescovo Giovanni Cheli (l’uomo di punta di Casaroli per l’Ungheria) e ad altri responsabili dell’Ostpolitik, e diventarono così importanti strumenti della politica del governo comunista ungherese contro il Vaticano” (p. 79).

L’Sb polacco, da parte sua, aveva un collaboratore ecclesiastico ben inserito dal nome in codice di Jankowski, ossia don Michele Czajkowski, uno studioso biblico impegnato nel dialogo tra ebrei e cattolici. L’Sb, secondo Weigel, cercò persino di falsare la discussione del Concilio sui punti più peculiari della teologia cattolica come il ruolo di Maria nella storia della salvezza. Il direttore delIV dipartimento, il colonnello Stanislaw Morawski, lavorò con una dozzina di collaboratori, tutti esperti in mariologia, per preparare un promemoria per i vescovi del Concilio, in cui si criticava la concezione “massimalista” della Beata Maria Vergine del cardinale Wyszynski e di altri presuli (p. 80).

Durante il Vaticano II, ricorda Weigel, l’attività dell’Sb, compresa la campagna denigratoria contro il cardinale Wyszynski, veniva organizzata presso l’ambasciata polacca di Roma, dove agenti del I dipartimento (Servizi segreti esteri) utilizzavano incarichi diplomatici per coprire le loro attività e la sezione del consolato che gestiva i passaporti era un’altra sede per operazioni segrete (p. 81). Fu durante il Concilio che l’8 marzo 1964 Karol Wojtyla si insediò solennemente come arcivescovo metropolita di Cracovia. Nel 1967 Paolo VI lo creò cardinale e quello stesso anno, il 4 agosto, Agostino Casaroli venne nominato “ministro degli Esteri” del Vaticano. Da quel momento Casaroli divenne il protagonista ufficiale della Ostpolitik.

La Ostpolitik di Agostino Casaroli e Paolo VI fu una strategia di impegno e di dialogo con il comunismo che prometteva molto e otteneva poco, osserva Weigel, anche perché il presunto partner non era interessato aldialogo. Eletto Papa il 16 ottobre 1978, Giovanni Paolo II, pochi mesi dopo, nominò inaspettatamente Casaroli cardinale e suo segretario di stato, carica che mantenne fino al 1° dicembre 1990. La strategia del Pontefice non coincideva però con quella del suo principale collaboratore e la Santa Sede sembrò giocare su due registri paralleli.

La linea politica seguita dal Papa nel periodo tra la sua elezione e la fine della rivoluzione di Solidarnosc nel 1989 non fu gestita infatti nella segreteria di stato vaticana, ma negli appartamenti papali. Una linea, quella di Giovanni Paolo II, che non era quella intransigente del cardinale Mindszenty, ma neppure quella “collaborazionista” del cardinale Casaroli. “Per Casaroli – osservò Zbigniew Brzezinski – il comunismo era una forma di potere con cui si doveva convivere.  Per Giovanni Paolo II il comunismo era un male che non si poteva evitare, ma che si poteva indebolire” (p. 165).

“Stabilità” era la parola d’ordine dell’Ostpolitik, e sia il cardinale Casaroli che l’arcivescovo Silvestrini diffidavano di Solidarnosc, che consideravano una forza profondamente destabilizzante per tutta l’Europa centrale e orientale. Essi volevano puntellare lo status quo dell’Europa, fondato sul sistema di Yalta, verso il quale Giovanni Paolo II era invece fortemente critico. Significativo è il lungo colloquio che si ebbe il 15 dicembre 1981, alla Casa Bianca, subito dopo il colpo di stato del generale Jaruzelski, tra il presidente Reagan e il cardinale Casaroli. “Durante i novanta minuti del colloquio fu Reagan quello che parlò di testimonianza morale e del potere della convinzione morale, e fu invece Casaroli che parlò di realpolitik” (p. 162).

Casaroli continuava a difendere il principio di stabilità, contro l’interventismo del presidente americano. “Gli sforzi sovrumani compiuti dai servizi segreti sovietici e del Patto di Varsavia per infiltrarsi in Vaticano, per corrompere e reclutare i funzionari vaticani, e in tal modo ostacolare le iniziative della chiesa, coincise proprio con l’acme della Ostpolitik di Casaroli; di questo non ci può essere alcun dubbio. Più la Santa Sede era accomodante, più aggressivi si facevano il Kgb, l’Sb, la Stasi, i servizi segreti ungheresi, quelli bulgari e tutto il loro squallido apparato” (p. 210).

Si potrebbeaggiungere che in quegli stessi anni oltre 2.500 vescovi si riunirono a Roma per discutere sui problemi del mondo contemporaneo, ma il Concilio Vaticano II, malgrado la richiesta di 454 Padri conciliari di 86 paesi diversi, non disse una parola sul Leviatano comunista che estendeva la sua ombra sul mondo. Gli artefici dell’Ostpolitik erano convinti che con il comunismo si sarebbe dovuto convivere almeno un secolo. Invece, nel 1989, si sgretolò il Muro di Berlino. Giovanni Paolo II vi aveva dato il suo contributo.

sábado, 21 de julho de 2012

Rally Spotlights Persecution Against Christians - Groups Show Support to Thousands Dying for Their Faith Today

By Edward Pentin

ROME, JULY 19, 2012 (Zenit.org).- Fervent calls for governments to condemn acts of persecution against Christians; a plea to open the beatification process of the assassinated Christian Pakistani minister Shahbaz Bhatti; and demands that Christians suffering persecution be granted full refugee status.

Just some of the appeals passionately delivered at a rally on behalf of persecuted Christians, which appropriately took place in Piazza dei Santi Apostoli in the center of Rome on Wednesday. 

Called "Salviamo i Cristiani" -- Save the Christians -- and organized by an association of Italian Catholic and pro-life groups, the demonstration was held to raise awareness, express solidarity, and call for action on behalf of the many Christians suffering persecution in the world today. 

The association highlighted that, globally, no other group is more persecuted: Out of every 100 people who suffer violations to their right to religious freedom, 75 are Christians. It added that during the course of history, an estimated 70 million Christians have been martyred for their faith, including 40 million in the 20th century alone. Each year, it said there are 105,000 new Christian martyrs killed by Islamic terrorists, Hindu extremists in India, or Communists in China, North Korea and Vietnam.

"We're told about a triumph of democracy and peace," said historian Roberto de Mattei of the Lepanto Foundation, a non-profit organization defending the principles and institutions of Western Christian civilization. "After Sept. 11, they said don't worry, because the politics of dialogue and interreligious peace will prevail. Today, we're told about the health of the Magreb, that it is a model of the Arab Spring, showing hope and promise."

"But the reality of what is before our eyes is tragically different," De Mattei said. "Today, we are here to cry out our indignation, and launch our appeal for persecuted Christians." 

The Italian historian recalled that last month, the Church announced it would beatify Don Pino Piglisi, a priest killed by the Mafia in 1993, as a martyr -- as someone who had died "in hated of the faith." 

"Everyone rightly condemns the Mafia as radically evil, but no one, or few people, attributes such evil to the fanatics of Allah who kill Christians in hatred of the faith," he said. The professor then called on the Church to officially open the process of beatification for Shahbaz Bhatti, the Catholic Pakistani minister for minorities, who was killed by an Islamic extremist March 2, 2011. 

"If we recognize Don Pino Puglisi, it is much more important to announce the beatification process of Shahbaz Bhatti, killed by a Muslim terrorist," De Mattei told ZENIT, noting that the killers were the Taliban "who said they killed in name of the Koran." By opening the process, he said Bhatti could become "a model and patron for all Christians persecuted in Muslim countries."

The well-known Italian-Egyptian convert from Islam, Magdi Cristiano Allam, called on governments, and the Italian authorities in particular to propose that Christians persecuted for their religious belief be awarded refugee status. Current Italian law, Allam and others argue, is insufficient in assisting Christians fleeing violent persecution, notably those living in some Muslim-majority states, or nations where Sharia law is practiced. 

Speaking to ZENIT, Allam said the rally was important as a "testimony of our support for persecuted, discriminated and massacred Christians," adding that "we want to defend the non-negotiable values of life, the dignity of the person, religious freedom."

Why so silent?

Asked why governments tend to ignore the plight of persecuted Christians worldwide, he answered: "Because they are afraid, because of economic interests, because this is a West that puts money, material things, at the center." He also said they are "afraid to show any rigor towards Islam when it comes to the fundamental respect for the rights of the person" -- an approach that "can have a negative impact on Christians that live in those countries."

Allam, who was received into the Catholic Church by Pope Benedict XVI in 2008 and is now a Member of the European Parliament, noted that around the end of the 7th century, 95% of the populations on the southern and eastern shores of the Mediterranean were Christian; today there are just 12 million, representing 6% of the population. That figure is expected to halve by 2020. "Only if we are strong and certain of our roots, faith, and values can we be respected," he said. 

The journalist and politician also had some harsh criticism for U.S. President Barack Obama and his approach to Islam. "Obama has played a fundamental role in the legitimization of radical Islam," he said. 

Asked about the Obama administration's threats to religious liberty of U.S. Catholics, Allam said: "Obama is undoubtedly an expression of relativism, as we have seen recently in his support for same-sex 'marriage,' his support for abortion," he said. "Obama is a person who puts money at the center, who wants to support the great financial organizations. He is a person who wants nothing to do with anyone who puts the person at the center -- the natural family, local communities, values, rules for the common good. Obama represents a danger for our civilization."

Benjamin Harnwell, founder of the Rome-based Dignitatis Humanae Institute, stressed that what makes persecution against Christians unique is the supernatural basis of the persecution -- adding that Jesus warned that Christians should expect to be persecuted as a counter-cultural sign to the world. 

"Jesus said no servant is greater than his master, if they persecuted me they'll persecute you," he said. "There's a warning in that injunction to his followers to expect to be persecuted -- it's the light that is Jesus Christ that shines through those who bear witness to him -- the light that the darkness did not comprehend, and still does not comprehend to this day."

De Mattei agreed that persecution is the natural environment for Christians, but also that it should be confronted. "The Church has lived with persecution since its origins, also during communism, but the persecutors are bad," he said. "We have to resist, to fight."

Ignorance is bliss

Remarkably, in a city that's home to Catholicism and with many monuments to martyrs who died in hatred of the faith over the centuries, the rally only drew about 300 people. Praising the Holy Father's enthusiasm toward a New Evangelization in the West, Harnwell said he hopes it "will in practice mean something more than constructing monuments to the prophets whom our forefathers stoned." The saints, he added, "are great when they're dead because we can say nice things about them, but when they're being persecuted in our time, we don't want to know." Furthermore, he said saints and martyrs of today provoke an "unforced solidarity," and show "the flame of faith that we need back."

Rome's mayor, Gianni Alemanno, gave a spirited speech in which he said the rally was of "extraordinary importance." He lamented that religious freedom is too often placed on the second tier of priorities, behind civil and political rights, and that the world must be made aware of the persecution of Christians. He also stressed the importance of reciprocity as the basis of relations, and called for "respect for our Christian identity and our integrity as Christians throughout the world." 

De Mattei described Wednesday's event as of "symbolic importance." If there were no such protests, he said "it would be a scandal."

quarta-feira, 16 de novembro de 2011

La dittatura giacobina dei poteri “forti”. Ci sarà una nuova “Vandea”? - Roberto de Mattei

In Corrispondenza Romana

Le vicende italiane ed estere dell’anno che si conclude rendono sempre più evidente la presenza di “poteri forti”, come oggi si usa dire, che operano dietro le quinte della scena internazionale. Un tempo questi poteri venivano chiamati “forze occulte”. Oggi essi non hanno bisogno di nascondersi: mostrano il loro volto, e dialogano e interferiscono con le istituzioni politiche.

Uno dei principali centri di potere è la Banca Centrale Europea (BCE), con sede a Francoforte, un organismo di carattere privato, con propria personalità giuridica, incaricato dell’attuazione della politica monetaria per i diciassette paesi dell’Unione europea che aderiscono all’ “area dell’euro”. La BCE, ideata dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 e istituita il 1º giugno 1998, ha assunto, di fatto, la guida della politica non solo monetaria, ma economica e sociale europea, espropriando progressivamente gli Stati nazionali della loro sovranità in questo campo.

In una lettera inviata al presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi il 5 agosto 2011, Mario Draghi e Jean Louis Trichet, a nome del Consiglio direttivo della BCE, hanno dettato una precisa agenda al governo italiano. Essi non si sono limitati a suggerimenti e raccomandazioni di carattere generale, ma hanno fissato, punto per punto, la politica economica e sociale del nostro Paese, indicando come “misure essenziali”: 1) privatizzazioni su larga scala; 2) la riforma del sistema di contrattazione salariale; 3) la revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti; 4) la modifica del sistema pensionistico; 5) il taglio dei costi del pubblico impiego, fino alla riduzione degli stipendi dei dipendenti statali. Hanno infine chiesto che tali regole fossero prese per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare, auspicando una riforma costituzionale che le rendesse più cogenti.

Si può pensare ciò che si vuole di queste misure economiche e sociali. E’ certo però che per la prima volta un gruppo di eurocrati, indipendenti dal potere politico, interviene in maniera così diretta e imperativa nella vita pubblica del nostro Paese. Che cosa accade se un governo nazionale resiste all’imposizione di questi dettami? Lo abbiamo visto proprio in Italia. La BCE è oggi l’unica istituzione europea che può esercitare una prerogativa tipica dello Stato sovrano, quale è l’emissione di moneta. La forza di una moneta dovrebbe corrispondere alla ricchezza di uno Stato. In realtà la Banca Centrale, non essendo uno Stato, emette moneta e stampa banconote senza produrre ricchezza. Essa però impone agli Stati nazionali, a cui è interdetto battere moneta, le regole per produrre la propria ricchezza. Se gli Stati in difficoltà si allineano, la Banca Centrale li aiuta comprando i loro titoli di Stato e diminuendone in questo modo l’indebitamento. Se essi non obbediscono alle indicazioni ricevute, la BCE cessa di sostenerli finanziariamente riducendo l’acquisto degli stessi titoli di Stato. Ciò comporta un aumento del cosiddetto “spread”, che è la differenza tra il rendimento dei titoli di Stato tedeschi (Bund), considerati i più affidabili, e quelli italiani (BTp), percepiti come “a rischio” dagli investitori. Se lo spread aumenta, lo Stato italiano è costretto a garantire ai propri titoli rendite più alte, aumentando così il suo deficit, a tutto vantaggio della speculazione dei potentati finanziari. E’ difficile che in una situazione di questo genere un governo regga. Né la Spagna, né la Grecia, né l’Italia hanno resistito a questa formidabile pressione. La BCE, in una parola, “pilota”, e qualche volta provoca, le crisi politiche degli Stati nazionali.

Naturalmente la BCE non agisce isolata, ma di concerto con altri attori: il Fondo Monetario Internazionale, le agenzie di rating, che valutano la solidità finanziaria di stati e governi nazionali, l’Eurogruppo, che riunisce i ministri dell’Economia e delle finanze degli Stati membri che hanno adottato l’Euro. Queste iniziative sono concordate in luoghi discreti, ma ormai a tutti noti, come gli incontri periodici del Council on Foreign Relations (CFR), della Commissione Trilaterale, del Gruppo Bilderberg. Sarebbe riduttivo immaginare che dietro queste manovre siano Stati nazionali come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Germania o la Francia. L’obiettivo non dichiarato della BCE è proprio la liquidazione degli Stati nazionali.

L’Unione europea, presentata come una necessità economica, è stata infatti una precisa scelta ideologica. Essa non prevede la nascita di un forte Stato europeo, ma piuttosto di un non-Stato policentrico e caotico, caratterizzato dalla moltiplicazione di centri di decisione con compiti complessi e contrastanti. Ci troviamo di fronte a trasferimenti di potere che avvengono non verso una sola istituzione ma verso una pluralità d’istituzioni internazionali, le cui competenze rimangono volontariamente oscure. Ciò che caratterizza questa situazione è la grande confusione di poteri e la loro conflittualità latente o manifesta: in una parola un’assenza di sovranità tale da esigere il costituirsi di una suprema Autorità mondiale. L’ex presidente della BCE Trichet in un discorso tenuto a New York il 26 aprile 2010, presso il CFR ha esplicitamente evocato la necessità e l’urgenza di un super governo mondiale, che fissi regole economiche e finanziarie per affrontare lugubri scenari di depressione economica.

Questa visione viene da lontano e vuole imporre all’umanità una “Repubblica universale” direttamente antitetica alla Civiltà cristiana nella quale si amalgamerebbero tutti i Paesi della terra, attuando cosi il sogno ugualitario di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati. Il romanzo profetico di Robert Hugh Benson Il Padrone del mondo (Fede e Cultura, Verona 2011, con prefazione di S.E. Mons. Luigi Negri) mostra come questa utopia tecnocratica possa sposarsi con l’utopia religiosa del sincretismo. In nome di questo superecumenismo tutto viene accettato fuorché la Chiesa cattolica di cui si programma l’eliminazione, dopo quella degli Stati nazionali.

L’eliminazione della sovranità nazionale comporta, come logica conseguenza, quella della rappresentanza politica. L’ultima parola è ai tecnocrati, che non rispondono alle istituzioni rappresentative, Parlamento e governi, ma a club, logge, gruppi di potere i cui interessi sono spesso in antitesi con quelli nazionali.

I tecnocrati aspirano a guidare governi di emergenza, con leggi di emergenza, che spianano la strada alla dittatura giacobina, come accadde nella Rivoluzione francese. Al giacobinismo si contrapposero però allora, in Francia e in Europa, con successi e insuccessi, le insorgenze contro-rivoluzionarie. Ci sarà oggi una nuova Vandea nel Vecchio continente devastato dagli eurocrati?

Roberto de Mattei


sexta-feira, 16 de julho de 2010

"A Sede Apostólica Romana não pode ser julgada por ninguém"

por Roberto de Mattei

"Prima sedes a nemine iudicatur", "A Sede Apostólica Romana não pode ser julgada por ninguém", estabelece o cânone 1404 do Código de Direito Canónico actualmente em vigor.

As origens deste axioma sobre a impossibilidade de julgar o Papa são antigas e gloriosas. Formulado por São Gregório VII, na Dictatus Papae (1075), contra o cesaro-papismo alemão, ele foi proclamado por Bonifácio VIII na bula Unam Sanctam (1302), contra o galicanismo de Filipe o Belo, e definido pelo Concílio Vaticano I (1870), contra o laicismo liberal. É desta afirmação de princípio que tem de partir uma reacção contra as agressões do relativismo contemporâneo que não queira ser tímida nem pretensiosa. Não temos de nos esforçar por demonstrar que o Papa está "inocente" das ignóbeis acusações de cumplicidade com os crimes de pedofilia; temos de salientar, antes de mais, que o Papa não pode ser julgado por ninguém e repelir com indignação toda e qualquer tentativa de levar a Igreja a tribunal. Referimo-nos à Igreja e não a bispos ou a sacerdotes individualmente considerados; a Igreja enquanto tal não pode ser responsabilizada por crimes eventualmente cometidos por homens da Igreja, porque é uma sociedade jurídica perfeita, impassível, por natureza, de ser julgada. E contudo, é precisamente este o ponto do ataque em curso.

O que está a passar-se deve levar-nos a reflectir. A 24 de Junho, enquanto a conferência episcopal belga se encontrava reunida em Bruxelas, trinta polícias munidos de uma ordem judicial irromperam pela sede do episcopado adentro e mantiveram presos, durante nove horas, os bispos presentes. Nesse mesmo dia, armados de martelos pneumáticos, os polícias desceram à cripta da Catedral de São Romualdo, em Malines, e profanaram os túmulos dos Cardeais Jozef-Ernest Van Roey e Léon-Joseph Suenens, arcebispos de Malines-Bruxelas, em busca de improváveis "documentos". Além disto, sequestraram os 475 dossiers sobre pedofilia que estavam a ser analisados por uma comissão independente nomeada pela Cúria e, alguns dias mais tarde, revistaram a casa do Cardeal Godfried Danneels, primaz da Igreja belga entre 1979 e 2009, que foi sujeito a um interrogatório de dez horas nas instalações da polícia. É absolutamente claro que, a pretexto de uma investigação sobre casos de pedofilia, aquilo que se pretendia era julgar e desacreditar mediaticamente, não este ou aquele prelado, mas toda a Igreja belga.

Desde os tempos da Guerra Civil de Espanha (1936-1939) que não acontecia nada assim na Europa. Mas o que se passou, poucos dias depois, nos Estados Unidos, é ainda mais preocupante: a 29 de Junho, o Supremo Tribunal retirou a imunidade jurídica à Igreja americana, admitindo que as autoridades do Vaticano possam ser imputadas num processo do Oregon, por abusos sexuais cometidos por um religioso. A Igreja foi assim privada da sua dimensão jurídica supranacional e reduzida a uma associação meramente privada, cujos superiores respondem de forma solidária pelos crimes dos seus dependentes. Teoricamente, este tribunal podia, portanto, confirmar que o processo em causa era imputável ao Papa Bento XVI, ao Secretário de Estado, Tarcisio Bertone, e ao núncio apostólico nos Estados Unidos, o Arcebispo Pietro Sambi. Entretanto, e nas vésperas da viagem de Bento XVI a Inglaterra, alguns militantes ateus apresentaram solicitação idêntica à magistratura daquele país.

Sobre este ponto, impõem-se algumas considerações. Nos anos do Concílio, houve quem dissesse que a Igreja devia abandonar o tom firme com que se expressava, deixar de ter posições intransigentes e procurar o diálogo com o mundo moderno, um mundo que não lhe era nem hostil nem estranho, e do confronto com o qual a Igreja sairia enriquecida. A vanguarda desta nova "pastoral" estava sedeada na Europa Central e tinha como campeão o Cardeal Leo-Joseph Suenens, o primaz da Bélgica, o homem que, em 1968, dirigiu a resistência à Humanae Vitae de Paulo VI; ora, observamos que, nos dias de hoje, a Bélgica – o país mais secularizado da Europa – nem pelo túmulo do cardeal tem respeito.

Os católicos mudaram de atitude relativamente ao mundo, praticando um falso diálogo, mas nem por isso o processo de descristianização foi suspenso. O mundo não se deixou "permear" pela influência da Igreja, antes se organizou contra ela. É impossível negar a existência de uma estratégia anti-cristã coerente e sistemática, que chega ao ponto de pretender retirar os crucifixos de todos os locais públicos!

A 28 de Junho, Bento XVI anunciou a criação de um Conselho Pontifício para a Nova Evangelização dos países europeus que já receberam a fé cristã. As nações "apóstatas" não se pronunciaram, certamente porque a matilha mediática terá visto nesta posição uma declaração de guerra, como sugere Jean Madiran (Présent, 3 de Julho de 2010). Mas já a 24 de Março de 2007 o mesmo Bento XVI tinha usado o termo "apostasia" para referir o recuo que se verifica na Europa dos nossos dias, da fé cristã a um tribalismo dissolvente, em que nada resta dos princípios e das instituições que tornaram grande o nosso continente. Quando os Estados impõem aos seus povos a educação sexual obrigatória, o "casamento" homossexual, o aborto, a eutanásia e a destruição de embriões, mancham-se de apostasia, porque invertem a ordem natural e cristã que lhes foi comunicada pelos primeiros evangelizadores. E tal acontece por respeito a um plano muito específico, promovido pelas centrais anti-cristãs.

Na batalha em curso, a Igreja não dispõe de uma força política, económica ou mediática com que se oponha ao mundo. A única arma de que a Igreja dispõe é a da verdade religiosa e moral de que é a guardiã. Com efeito, e como dizia Pio XII, a Igreja "é uma potência religiosa e moral, cujas competências se estendem a todos os campos religiosos e morais que, por sua vez, abarcam as actividades livres e responsáveis do homem, considerado em si mesmo e na sociedade" (Discurso de 12 de Maio de 1953). A Igreja reivindica, pois, o direito de julgar os homens e a sociedade à luz da lei divina e natural de que é guardiã, mas não pode ser julgada por nenhuma autoridade humana, dado que não há na terra autoridade que lhe seja moral ou juridicamente superior. Definir a verdade e condenar o erro são componentes da sua missão, uma missão que postula a liberdade e a independência do poder civil. No curso da sua história, a Igreja sempre combateu em defesa da própria liberdade, contra as prevaricações dos poderosos. "Ao confiar a sua grei a Pedro, o Senhor não teve a intenção de abrir uma excepção para o rei", observava São Gregório VIII, reivindicando o princípio da suprema e universal jurisdição do Pontífice sobre todos os homens, sem excepção do rei, reafirmado na 19ª proposição da Dictatus Papae.

Num discurso proferido a 29 de Junho, o Papa reivindicou, como São Gregório, a libertas ecclesiae, observando que "se pensarmos nos dois milénios da história da Igreja, observamos que – como tinha anunciado o Senhor Jesus (cf. Mt 10, 16-33) – nunca os cristãos deixaram de sofrer provações que, em alguns períodos e locais, assumiram o carácter de verdadeiras perseguições. Mas estas perseguições, mau grado os sofrimentos que provocam, não constituem o perigo mais grave para a Igreja; com efeito, os maiores danos são os que provêm daqueles que corrompem a fé e a vida cristã dos seus membros e das suas comunidades, atacando a integridade do Corpo Místico, debilitando a sua capacidade de profecia e de testemunho, embaciando a beleza do seu rosto". Existe contudo "uma garantia de liberdade dada por Deus à Igreja, uma liberdade dos laços materiais que tentam impedir-lhe ou coarctar-lhe a missão, mas também dos males espirituais e morais passíveis de a prejudicar na sua autenticidade e credibilidade" (Osservatore Romano, 30 de Junho de 2010).

O que significa que é no interior da Igreja que se têm de procurar os recursos para o seu renascimento. Bento XVI parece estar profundamente convencido disto mesmo. Tal como aconteceu no século XI, a Igreja tem hoje necessidade de uma grande reforma espiritual. Mas, à semelhante da reforma que teve lugar no tempo de Ildebrando de Sovana e de Pedro Damião, também a reforma dos nossos dias tem de ter como fulcro a consciência do primado religioso e moral do Romano Pontífice sobre todas as criaturas.