sexta-feira, 15 de março de 2013

Quando os demónios urram contra o Papa - por Nuno Serras Pereira



15. 03. 2013

Mal Sua Santidade o Papa Francisco foi eleito, estrebuchando encolerizados começaram os demónios, ou aqueles que são seus discípulos, num ataque cerrado, que tresanda a enxofre, a bolçar mentiras anónimas acoimando-o de misógino; injúrias, veiculadas por tradicionalistas temerários mas, felizmente, não secundadas pelos tradicionalistas fiéis e ajuizados; calúnias inomináveis transmitidas por progressistas vermelhos injustos e de mafiosos eclesiais mal-intencionados acusando-o de fascista e cúmplice da ditadura e perseguidor/delator de seus irmãos da Companhia de Jesus.

Felizmente, o excelente teólogo Inos Biffi, um ilustre tomista e eminente medievalista, chama a nossa atenção para o belo e o verdadeiro desvendando-nos através da análise do lema inscrito no “brasão” cardinalício do então Arcebispo Jorge Bergoglio, agora Papa Francisco, como poderemos ler o Pontificado agora iniciado. Afirma ele que essa divisa - “Miserando atque eligendo” - é tirada de uma homilia de S. Beda (séc. VII-VIII) sobre a vocação do Apóstolo Mateus:

“Jesus viu um homem, chamado Mateus, sentado na banca dos impostos, e disse-lhe: ‘Segue-me’ (Mt 9, 9). Viu não tanto com os olhos do corpo, mas sim com os da bondade interior. Viu um publicano e, como o tivesse olhado com amor misericordioso em vista da sua eleição (escolha) -, disse-lhe: ‘Segue-me’. Disse-lhe ‘Segue-me’. Disse-lhe ‘Segue-me’, quer dizer imita-me. ‘Segue-me, diz, não tanto com o andar dos pés, quanto com a prática da vida. De facto, ‘Quem diz que permanece n’ Ele deve também comportar-se como Ele Se comportou’ (1 Jo 2, 6).   

Colocar no “escudo” a divisa “Miserando atque eligendo” significa pois colocar-se no lugar de Mateus, olhado por Jesus com Misericórdia e por Ele chamado, apesar dos seus pecados. 

Mas seguir Jesus, segundo S. Beda na mesma homilia, significa: “Não ambicionar coisas terrenas; não procurar os bens efémeros; fugir das honras vãs (mesquinhas); abraçar voluntariamente todo o desprezo do mundo em vista da Glória Celeste; servir de amparo a todos; amar as injúrias e não as lançar a ninguém; suportar pacientemente as recebidas; procurar sempre a Glória do Criador e nunca a própria. Praticar estas coisas e outras semelhantes significa seguir os passos de Cristo”. 

Depois destas citações conclui Inos Biffi: “É o programa de S. Francisco de Assis, inscrito no brasão do Papa Francisco. E intuímos que esse será o seu programa como Bispo de Roma e Pastor da Igreja universal”. (Tudo isto pode ser lido no original italiano no blog de Sandro Magister Settimo Cielo).

À honra de Cristo e do Seu servo Francisco. Ámen.

Uno stemma che è un programma - di Sandro Magister

In Settimo Cielo 

Nello stemma episcopale di papa Jorge Mario Bergoglio ci sono tre parole latine di non immediata comprensione: “Miserando atque eligendo”.

Ma se si va a vedere da dove sono riprese si scoprono tratti importanti del programma di vita e di ministero di papa Francesco.

In questa piccola caccia al tesoro è d’aiuto una nota del dotto teologo Inos Biffi su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo.

Il motto proviene da un’omelia di san Beda il Venerabile (672-735), monaco di Wearmouth e di Jarrow, autore di opere esegetiche, omiletiche e storiche, tra cui la “Historia ecclesiastica gentis Anglorum”, per cui è chiamato il “Padre della storia inglese”.

Nell’omelia, la ventunesima di quelle che ci sono giunte, Beda commenta il passo del Vangelo che racconta la vocazione ad apostolo di Matteo, pubblico peccatore.

Nel brano da cui è ricavato il motto si legge:

“Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’ (Matteo, 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con amore misericordioso in vista della sua elezione, gli disse: ‘Seguimi’. Gli disse ‘Seguimi’, cioè imitami. ‘Seguimi’, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti ‘chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato’ (1 Giovanni, 2, 6)”.

In latino, il brano inizia così:

“Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me. Sequere autem dixit imitare. Sequere dixit non tam incessu pedum, quam exsecutione morum”.

Includere nello stemma il motto “Miserando atque eligendo” significa dunque mettersi al posto di Matteo, da Gesù guardato con misericordia e chiamato a lui, nonostante i suoi peccati.

Ma l’importante è il seguito del passo citato. Dove Beda spiega cosa comporta seguire ed imitare Gesù:

“Non ambire le cose terrene; non ricercare i guadagni effimeri; fuggire gli onori meschini; abbracciare volentieri tutto il disprezzo del mondo per la gloria celeste; essere di giovamento a tutti; amare le ingiurie e non recarne a nessuno; sopportare con pazienza quelle ricevute; ricercare sempre la gloria del Creatore e non mai la propria. Praticare queste cose e altre simili vuol dire seguire le orme di Cristo”.

Conclude Inos Biffi:

“È il programma di san Francesco d’Assisi, iscritto nello stemma di papa Francesco. E intuiamo che sarà il programma del suo ministero, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale”.

Francesco I sulla Cattedra di Pietro - di Roberto de Mattei

In CR 

(di Roberto de Mattei) La Chiesa ha un nuovo Papa: Jorge Mario Bergoglio, il  primo Papa non europeo, il primo Papa latino americano, il primo Papa di nome Francesco. I mass-media cercano di indovinare, attraverso il suo passato di cardinale, di arcivescovo di Buenos Aires e di semplice sacerdote, quale sarà il futuro della Chiesa sotto il suo pontificato. Di quale “rivoluzione” sarà portatore? Hans Küng lo definisce «la migliore scelta possibile» (“La Repubblica”, 14 marzo 2013). Ma solo dopo la nomina dei suoi collaboratori e dopo i suoi primi discorsi programmatici si potranno prevedere le linee del pontificato di Papa Francesco. Per ogni Papa vale quello che disse, nel 1458, il cardinale Enea Silvio Piccolomini al momento della sua elezione, con il nome di Pio II: «dimenticate Enea, accogliete Pio».

La storia non si ripete mai esattamente, ma il passato aiuta a comprendere il presente. Nel XVI secolo la Chiesa cattolica attraversava una crisi senza precedenti. L’umanesimo, con il suo edonismo immorale, aveva contagiato la Curia Romana e gli stessi Pontefici. Contro questa corruzione era sorta la pseudo-riforma protestante di Martin Lutero, liquidata da Papa Leone X, della famiglia Medici, come «una bega tra monaci». L’eresia aveva iniziato a divampare quando, alla morte di Leone X, nel 1522, fu inaspettatamente eletto il primo Papa tedesco, Adrian Florent, di Utrecht, con il nome di Adriano VI.

La brevità del pontificato gli impedì di portare a termine i suoi progetti, in particolare, scrive lo storico dei Papi Ludwig von Pastor, «la guerra gigantesca contro lo sciame di abusi che deformava la curia romana come quasi l’intera Chiesa». .Se pure egli avesse avuto un governo più lungo, il male, nella Chiesa, era troppo radicato, osserva Pastor, «perché un pontificato solo potesse produrre quel grande cambiamento che era necessario. Tutto il male che era stato commesso in parecchie generazioni poteva migliorarsi soltanto con un lavoro lungo, ininterrotto».

Adriano VI comprese la gravità del male e le responsabilità degli uomini di Chiesa, come emerge chiaramente da una istruzione che, a suo nome, il nunzio Francesco Chieregati lesse alla Dieta di Norimberga, il 3 gennaio 1523. Si tratta, come osserva Ludwig von Pastor, di un documento di straordinaria importanza non solo per conoscere le idee riformatrici del Papa, ma perché è un testo senza precedenti nella storia della Chiesa.

Dopo aver confutato l’eresia luterana, nell’ultima e più notevole parte dell’istruzione, Adriano tratta della defezione della suprema autorità ecclesiastica di fronte ai novatori. «Dirai ancora», ecco la espressa istruzione che egli dà al nunzio Chieregati, «che noi apertamente confessiamo che Iddio permette avvenga questa persecuzione della sua Chiesa a causa dei peccati degli uomini e in particolare dei preti e prelati; è certo che la mano di Dio non s’è accorciata sì che egli non possa salvarci, ma gli è il peccato a distaccarci da lui sì che Egli non ci esaudisce. La Sacra Scrittura insegna chiaramente che i peccati del popolo hanno la loro origine nei peccati del clero e perciò, come rileva il Crisostomo, il nostro Redentore, quando volle purgare l’inferma città di Gerusalemme, andò prima al tempio per punire innanzi tutto i peccati dei preti, a guisa d’un buon medico, che sana la malattia nella radice.

Sappiamo bene che anche presso questa Santa Sede già da anni si sono manifestate molte cose detestabili: abusi in cose ecclesiastiche, lesioni dei precetti; anzi, che tutto s’è cambiato in male. Non è pertanto da far meraviglia se la malattia s’è trapiantata dal capo nelle membra, dai Papi nei prelati. Tutti noi, prelati e ecclesiastici, abbiamo deviato dalla strada del giusto e da lunga pezza non v’era alcuno che facesse bene. Dobbiamo quindi noi tutti dare onore a Dio e umiliarci innanzi a Lui: ognuno mediti perché cadde e si raddrizzi piuttosto che venir giudicato da Dio nel giorno dell’ira sua. Perciò tu in nome nostro prometterai che noi vogliamo porre tutta la diligenza perché venga migliorata prima di tutto la Corte romana, dalla quale forse hanno preso il loro cominciamento tutti questi mali; allora, come di qui è partita la malattia, di qui anche comincerà il risanamento, a compiere il quale noi ci consideriamo tanto più obbligati perché tutti desiderano tale riforma.

Noi non abbiamo mai agognato la dignità papale ed avremmo più volentieri chiuso i nostri occhi nella solitudine della vita privata: volentieri avremmo rinunciato alla tiara e solo il timore di Dio, la legittimità dell’elezione e il pericolo d’uno scisma ci hanno indotto ad assumere l’ufficio di sommo pastore, che non vogliamo esercitare per ambizione, né per arricchire i nostri congiunti, ma per ridare alla Chiesa santa, sposa di Dio, la sua primiera bellezza, per aiutare gli oppressi, per innalzare uomini dotti e virtuosi, in genere per fare tutto ciò che spetta a un buon pastore e a un vero successore di san Pietro. Però nessuno si meravigli se non eliminiamo d’un colpo solo tutti gli abusi, giacché la malattia ha profonde radici ed è molto ramificata. Si farà quindi un passo dopo l’altro e dapprima si ovvierà con medicine appropriate ai mali gravi e più pericolosi affinché con un’affrettata riforma di tutte le cose non si ingarbugli ancor più il tutto. A ragione dice Aristotele che ogni improvviso cambiamento è pericoloso alla repubblica (…)».

Le parole di Adriano VI ci aiutano a comprendere come la crisi che oggi attraversa la Chiesa possa avere le sue origini nelle mancanze dottrinali e morali degli uomini di Chiesa nel mezzo secolo seguito al Concilio Vaticano II. La Chiesa è indefettibile, ma i suoi membri, anche le supreme autorità ecclesiastiche, possono sbagliare e devono essere pronti a riconoscere, anche pubblicamente, le loro colpe. Sappiamo che Adriano VI ebbe il coraggio di intraprendere questa revisione del passato. Come affronterà il nuovo Papa il processo di autodemolizione dottrinale e morale della Chiesa e quale atteggiamento avrà di fronte ad un mondo moderno impregnato di uno spirito profondamente anticristiano? Solo il futuro risponderà a queste domande, ma è certo che le cause dell’oscurità del tempo presente affondano nel nostro più recente passato.

La storia ci dice anche che ad Adriano VI successe Giulio de’ Medici, con il nome di Clemente VII (1523-1534). Sotto il suo pontificato avvenne, il 6 maggio 1527, il terribile sacco di Roma, ad opera dei lanzichenecchi luterani dell’imperatore Carlo V. È difficile descrivere quante e quali furono le devastazioni e i sacrilegi compiuti durante questo evento che superò per efferatezza il sacco di Roma del 410. Con particolare crudeltà si infierì contro le persone ecclesiastiche: religiose stuprate, preti e monaci uccisi e venduti come schiavi, chiese, palazzi, case distrutte. Alle stragi seguirono, in rapida successione, la fame ed un’epidemia di peste. Gli abitanti vennero decimati.

Il popolo cattolico interpretò l’evento come un meritato castigo per i propri peccati. Fu solo dopo il terribile sacco che la vita di Roma cambiò profondamente. Il clima  di relativismo morale  religioso si dissolse e la miseria generale diede alla Città sacra un’impronta austera e penitente. Questa nuova atmosfera rese possibile la grande rinascita religiosa della Contro-Riforma cattolica del XVI secolo. (Roberto de Mattei)

Traditionalists and Pope Francis: Can We Take a Deep Breath and Please Calm Down?

In Taylor Marshall 

Traditionalists need to take a deep breath!

Yes, I know. Cardinal Burke wasn't elected Pope. I'll be eating humble pie for the rest of Lent. I'm not worried about that.

Here's what I am deeply worried about:

Pope Francis hadn't been elected for more than two hours and the vitriol began to spew forth in the comment boxes of this blog and others. Many from the traditionalist crowd reacted against Pope Francis with words that were downright offensive. If one of my sons spoke like that about a priest (or any older man, for that matter), my boy would have a sore backside and a long stay in a dark room.

Within minutes of His Holiness' appearance on the loggia, some trads began an online campaign claiming that he was a persecutor of orthodox priests in Argentina. Then they said he forbade the Latin Mass in his diocese. Then they were mocking him for not wearing the scarlet papal mozzetta. They also expressed dismay over how His Holiness prayed in Italian and not in Latin. Next, they expressed their alarm that he took off his stole immediately after the blessing. Then they made much ado over how the tapestry unfurled over the balcony wasn't that of His Holiness' predecesor. And these comments aren't even the worst of it. I don't even want to list some of the other things they have written online.


Way to go, trads! We have been working so hard under the pontificate of Pope Benedict XVI to demonstrate that we are not an inbred subculture of angry, hateful, quasi-schismatic, Jansenistic, holier-than-the-Pope Catholics. Everyone thinks that we who attend the 1962 liturgy are judgmental, Pharisaical, and rude (click here for details). And guess what. You just amplified that terrible reputation one hundredfold. It seems that their contrarian words were spoken in the heat of passion - and the stirred up passions are the devils' playground. 

After reading comments on my blog and other blogs (especially Rorate Caeli), I am really embarrassed by it all. I felt obligated to clean up the comment's box on my blog, but fortunately others have done a good job silencing the angry voices.

Think about this for a moment. If you owned a business or were the president a large organization, how would you feel if your lower employees got together regularly to grumble about your leadership? What if they met together for the sole purpose of questioning your leadership and credibility? What if they gossiped and maligned you behind your back? What if they created chat rooms and spread it all around the internet. Would these persons be considered "faithful" to your institution? Would you like these people? Would you want to help these people? Of course not. Such actions are cowardly, immature, and small.

Perhaps one should pray 15 decades of the Rosary for the Holy Father before logging online and detracting the Vicar of Christ, whom St Catherine of Sienna called "our sweet Jesus on earth."

Yes, I am a member of a Latin Mass parish (Mater Dei Catholic Church in Irving, Texas). I am the Chancellor of the Catholic College in the USA with Extraordinary Form of the Holy Sacrifice Mass seven days a week (Fisher More College). It's part of our College's identity and mission. I attend the Extraordinary Form almost exclusively. 

I'm "all in" when it comes the Latin Mass, but I am also "all in" when it comes to the Pope. I didn't leave the Anglican priesthood to pretend to be my own Pope once again only this time in the Catholic Church.

I am enthusiastic about Pope Francis? To be honest, I don't know very much about His Holiness. Yes, I'll admit it: I'm not as excited as I would have been if Cardinal Burke or Cardinal Ranjith had walked out on that balcony yesterday. Those who read this blog daily know that my heart and my reputation was set on Burke. Oh well. I'm not God. I was way off the mark. Still, the Holy Father Francis has my filial devotion and obedience. 

Let's give His Holiness some time. Let's pray for him. If you're really worried, don't log on to a blog combox. Fast on bread and water, pray the Rosary more, go to confession more regularly, give alms to the poor, etc.
I'd like to encourage all of us to conform the pattern of our souls to the soul of the Blessed Virgin Mary. When Saint Peter, our first Pope, denied Christ three times, she didn't publish the news in the highways and the hedges. Saint John and Mary Magdalene didn't shout it from the housetops. It's really not our place to sift through what might be the future errors of a Pope that we don't yet know.

In conclusion, let me list three things that give me great hope in Pope Francis. First of all, I was touched by His Holiness' words about the Blessed Virgin Mary and his personal entrustment to her. Also, his first act as Pope was to go to St Mary Major in Rome and offer flowers before the painting of Our Lady titled Salus Populi Romani. This means that our Holy Father is Marian. Being Marian is much more important that the 1962 Missal. The Holy Apostles were Marian, even without the Latin Mass.

Secondly, Holy Father Francis, today at Saint Mary Major, knelt down and prayed before the tomb of Saint Pius V - that great reforming Pope of the 16th century. Third, His Holiness' first Mass today will be in the Novus Ordo in Latin. Okay, not 1962 Missal, but not a clown Mass either. Let's just take a deep breath. Be charitable. Pray.

Perhaps your salvation will be based partly on how you receive this Holy Father. Don't fail in this. Anyone can grumble and find faults. The true and proper response requires supernatural grace and a reassignment to the divine will of God in all things. God will deliver us ab omnibus malis praeteritis, praesentibus, et futuris intercedente beata et gloriosa semper Virgine Dei Genitrice Maria.

It's easy to grumble (like the Israelites in the wilderness post-Egypt). The supernatural challenge is to retain faith, hope, and charity in all things. Okay, friends, back to the beads! Keep calm. Retain Christ's perfect peace. 

Viva Il Papa!

Acusan al Papa Francisco de odiar a las mujeres por una falsa noticia publicada en Yahoo

REDACCIÓN CENTRAL, 14 Mar. 13 / 05:45 pm (ACI).- En los dos últimos días se ha difundido en las redes sociales diversas leyendas negras sobre el Papa Francisco, una de ellas lo acusa de haber dicho en el año 2007 que "las mujeres son naturalmente ineptas para ejercer cargos políticos", una frase que nunca pronunció y fue inventada por un usuario anónimo del sitio web Yahoo Respuestas.

Ante la avalancha de injustas críticas que recibió el Papa por declaraciones que nunca dijo, el autor del blog Contando Estrelas rastreó el origen de las acusaciones y encontró que estas declaraciones fueron atribuidas al entonces Cardenal Jorge Bergoglio hace seis años por un usuario del sitio web Yahoo Respuestas identificado con el seudónimo de "Bumper Crop (falta mucho)" que a su vez dice haberlas obtenido de la agencia oficial argentina Télam, donde no hay registro alguno de dicha información.

El bloguero católico Elentir publicó su explicación en un post titulado "Difunden en la red un bulo misógino para desprestigiar al Papa Francisco".

Antes del 13 de marzo de 2013, el día de la elección del Papa Francisco, "no hay ni rastro de esas declaraciones en la red, salvo en el citado enlace del foro Yahoo Respuestas. Si los medios argentinos hubiesen publicado un cable de la agencia oficial Télam conteniendo unas declaraciones abiertamente misóginas de un arzobispo, no pocos medios de izquierda argentinos, foros, blogs, etc., se habrían hecho eco de ellas y habrían montado un escándalo".

"Pero nada: ni rastro antes del día de ayer, que es cuando se produce la rápida y masiva difusión del bulo (noticia falsa). De hecho, en la web de la agencia Télam tampoco hay ni rastro de esas declaraciones".

Ayer miércoles 13 una organización atea mexicana difundió en Facebook la falsa noticia entre sus seguidores, logrando que la imagen en el que colocaron las declaraciones inventadas fuera compartida miles de veces.

Además, el diario costarricense El País "hizo eco del bulo de Internet sin haberlo contrastado, saltándose la más elemental ética periodística y limitándose a decir que se trataba de ‘un cable atribuido a la agencia estatal argentina de noticias, Telam’, que circulaba por Internet".

El bloguero afirma finalmente que "estos bulos no sólo dejan en evidencia la falta de escrúpulos de sus autores a la hora de atacar a la Iglesia Católica. Además, la rápida propagación de estas mentiras entre medios izquierdistas y laicistas demuestra que algunos están dispuestos a tragarse cualquier patraña que alimente su odio contra los católicos".

Nobel de la Paz argentino desmiente vínculos de Papa Francisco con dictadura argentina

BUENOS AIRES, 14 Mar. 13 / 03:38 pm (ACI/EWTN Noticias).- Ante las recientes acusaciones lanzadas contra el Papa Francisco, el defensor de los derechos humanos en Argentina y Premio Nobel de la Paz en 1980, Adolfo Pérez Esquivel, aseguró que el nuevo Pontífice no tiene “ningún vínculo que lo relacione con la dictadura”, que sufrió Argentina entre 1976 y 1983.

Pérez Esquivel es conocido por su simpatía por la izquierda latinoamericana, su defensa de la teología marxista de la liberación (TML), y el régimen cubano de Fidel y Raúl Castro.
En el pasado criticó al ahora Obispo emérito de Roma Benedicto XVI, y pidió que este, en su visita a Cuba “aprenda y que sepa escuchar, que no venga con prejuicios. Que venga con el corazón y con la mente abierta”.

“Este Papa fue inquisidor de la Teología de la Liberación, pero el Papa se tiene que convertir, los cubanos le tienen que ayudar a que se convierta”, dijo.

A pesar de esto, en declaraciones a BBC Mundo, Pérez Esquivel aseguró que “hubo obispos que fueron cómplices de la dictadura, pero (el Cardenal) Bergoglio no”.

El defensor de los derechos humanos señaló que al Papa Francisco, antes Cardenal Jorge Bergoglio, Arzobispo de Buenos Aires (Argentina), “se le cuestiona porque se dice que no hizo lo necesario para sacar de la prisión a dos sacerdotes, siendo él el superior de la congregación de los Jesuitas. Pero yo sé personalmente que muchos obispos pedían a la junta militar la liberación de prisioneros y sacerdotes y no se les concedía”.

“No hay ningún vínculo que lo relacione con la dictadura”, aseguró el ganador del Nobel de la Paz.

La macchina del fango contro Papa Francesco - di Massimo Introvigne

In NBQ

Tutto va ormai alla velocità della luce, diceva Bill Gates. Un tempo perché la macchina del fango cominciasse a lavorare conto un Pontefice ci voleva qualche mese. Ora è bastata qualche ora. Dopo - anzi, mentre è ancora in corso - un maldestro tentativo di arruolare il Papa tra i progressisti, prima di scoprire la sua apologia del celibato sacerdotale e la denuncia delle leggi sul matrimonio omosessuale come frutto dell'invidia del Demonio per l'uomo creato a immagine di Dio, è partito il contrordine compagni. Non è un progressista, è stato un fascista, non ha condannato la dittatura militare argentina quando c'era, salvo chiedere scusa dopo. Anzi, ha collaborato con la dittatura. Anzi, ha personalmente consegnato due gesuiti ai torturatori. Anzi...

Ci sono due versioni. Quella rozza del «Fatto» di Marco Travaglio che spara a zero sul Papa, e quella in stile avvertimento mafioso di «Repubblica», sulle cui colonne già prima del Conclave Enzo Bianchi aveva avvertito che i cattolici adulti prendono sempre i Pontefici con «spirito critico». E dove da una parte Hans Küng e Vito Mancuso continuano l'operazione di arruolamento di Papa Bergoglio tra i progressisti, dall'altra il direttore Ezio Mauro spiega al Pontefice argentino che cosa gli succederà se darà fastidio: gli sarà chiesta «piena trasparenza sui suoi rapporti con la dittatura militare argentina, sugli scandali di compromissione che lo hanno chiamato in causa come gesuita in vicende mai chiarite».

E invece non c'è nulla da chiarire. Tutto è già stato sviscerato in libri e contro-libri in Argentina, e non c'è appunto o documento minore o insignificante che non sia stato pubblicato. Il caso è chiuso. Mi sono occupato della questione in un lungo articolo del 2010 sul pensatore cattolico francese Jean Ousset (1914-1994). Che c'entra Ousset con il nuovo Papa? Non molto, se non fosse che il libro da cui tutti fanno copia e incolla sui rapporti fra il nuovo Papa e la dittatura argentina li chiama in causa insieme. Si tratta de «L'isola del silenzio» del giornalista di sinistra Horacio Verbitsky, tradotto anche in italiano nel 2006. In Europa i voluminosi scritti di Verbitsky, che ha prodotto anche altri volumi destinati soprattutto al pubblico argentino, sono stati volgarizzati dalle inchieste della giornalista francese, di analoghe idee politiche, Marie-Monique Robin e trasformati in un romanzo, «Per vendetta», dallo scrittore torinese Alessandro Perissinotto nel 2009.

Che cosa raccontano questi autori? Che la dittatura militare argentina, dopo avere conquistato con il colpo di Stato del 1976 il potere - lo terrà fino al 1983 - si trovò a dovere fronteggiare una forte opposizione, talora con connotati di guerriglia e terroristici. Senza esperienza specifica in questo tipo di «guerra sporca», decise d'importare in Argentina militari francesi che avevano combattuto con tutti i mezzi - tortura compresa - il movimento per l'indipendenza dell'Algeria e che a loro volta si trovavano nella necessità di cambiare aria perché in Francia avevano cercato di rovesciare il governo del generale Charles de Gaulle (1890-1970) e rischiavano la corte marziale.

Per organizzare lo sbarco di questi ufficiali francesi in Argentina la dittatura si rivolse alla Chiesa Cattolica - rappresentata dai vescovi ma anche dall'Opus Dei e dai potenti Gesuiti, il cui provinciale era Bergoglio -, la quale collaborò con l'associazione di Jean Ousset, La Cité Catholique, che aveva una branca argentina e di cui alcuni dei militari che avevano combattuto in Algeria facevano parte. Così le tecniche di contro-insurrezione piuttosto manesche, e comprensive di tortura, sperimentate in Algeria furono trasferite in Argentina. E vescovi e alti gradi dell'Opus Dei e dei Gesuiti fecero anche di peggio, perché denunciarono ai militari i sacerdoti e laici vicini alla «teologia della liberazione» d'impronta marxista che si opponevano al regime, alcuni dei quali furono incarcerati. E non tutti tornarono vivi dal carcere.

Questa ricostruzione, però, è ampiamente fantasiosa. Verbitsky - forse anche grazie al fatto che gli ultimi governi argentini dei coniugi Kirchner si sono scontrati duramente con la Chiesa, guidata dal cardinale Bergoglio, su questioni come il matrimonio omosessuale (introdotto in Argentina nel 2010) e la politica economica - ha potuto avere ampio accesso ai documenti dei ministeri e della polizia. Informatissimo sul dettaglio, il trio Verbitsky- Robin-Perissinotto è però debolissimo e poco credibile sul quadro generale. Descrive il mondo cattolico degli anni 1979 come un monolito, mentre era percorso da fortissime tensioni. Arriva a sostenere che grazie all'opera di mediazione del nunzio in Argentina e poi cardinale Pio Laghi (1922-2009), descritto come un autentico malfattore, i seguaci argentini di monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) e i vescovi, molti dei quali progressisti, cooperavano tutti a uno stesso disegno: sostenere la dittatura fingendo di criticarla.

Del resto, come riassume Perissinotto, monsignor Lefebvre e il venerabile Papa Paolo VI (1897-1978) sarebbero stati «divisi sulle questioni di fondo, ma non nella sostanza». Quanto all'Opus Dei, è esplicitamente citato come fonte autorevole per conoscerla «Il Codice da Vinci» di Dan Brown.

Con queste premesse non sarebbero da prendere neppure troppo sul serio i dettagli di questa letteratura, ma è falsa anche la sua tesi di fondo. La dittatura militare argentina è dipinta per tutto il periodo del suo governo - dal 1976 al 1983 - come un impero del male, un'accolta di sadici e di torturatori che quasi agivano per pura malvagità.

Come sempre nella storia, che non è mai un film in bianco e nero, le cose sono più complicate. Il precedente governo peronista aveva portato il Paese al caos economico e sociale. I terroristi c'erano davvero. Il rischio di una deriva comunista alla cubana non era ipotetico, Gli stessi cattolici pagavano un prezzo molto duro. Basterebbe citare l'assassinio dell'avvocato e filosofo cattolico neo-tomista Carlos Alberto Sacheri (1933-1974) da parte del gruppo terroristico ERP, l’Ejército Revolucionario del Pueblo, il 22 dicembre 1974, che lo uccise di fronte alla sua famiglia mentre tornava a casa dalla Messa.

Nei primi mesi della dittatura, l'idea che i militari potessero mettere ordine e dare ossigeno a un'economia moribonda fu salutata con favore anche da esponenti della sinistra politica argentina. In seguito le cose cambiarono. Il regime militare argentino non mantenne le promesse di formulare un progetto coerente per l'identità e la riconciliazione nazionale, si lanciò nella disastrosa avventura della guerra delle Isole Falkland con la Gran Bretagna e - a fronte di una crescente opposizione - ricorse a strategie repressive che comportavano gravissime violazioni dei diritti umani e autentici crimini.

Bisogna dunque distinguere fra i giudizi sulla giunta militare argentina formulati da esponenti cattolici nei primi mesi della sua attività o negli anni successivi. Come ha scritto lo stesso cardinale Bergoglio, la Chiesa «venne a conoscere a poco a poco quello che stava succedendo [le violazioni dei diritti umani]. All'inizio, ne sapeva poco o nulla». 

Non si possono dunque mescolare in un unico calderone, come fanno Verbitsky e i suoi seguaci, dichiarazioni di esponenti della gerarchia ecclesiastica del 1976 o 1977, che esprimevano un cauto appoggio - mai senza riserve - al nuovo governo militare, e apologie del regime degli anni 1980, riferibili a esponenti cattolici - fra cui alcuni vescovi - decisamente minoritari rispetto a una Conferenza Episcopale le cui dichiarazioni assumevano un tono sempre più critico e di denuncia.

Veniamo al regnante Pontefice. Padre Bergoglio è stato provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina dal 1973 al 1979. In questo periodo ha dovuto fronteggiare la «teologia della liberazione» d'ispirazione marxista, di cui ha visto per tempo le derive che la Santa Sede avrebbe poi condannato nel 1984. Alcuni gesuiti, favorevoli alla «teologia della liberazione» e ostili al provinciale, cominciarono a muoversi in modo sempre più indipendente rispetto alla Compagnia di Gesù, respingendo al mittente i richiami del loro superiore. 

Fra questi c'erano i padri Orlando Yorio (morto nel 2000) e Francisco Jalics, animatori di una comunità nel quartiere di Bajo Flores a Buenos Aires.

Nel febbraio 1976, visti inutili i richiami, il provinciale - cioè l'attuale Pontefice - sciolse la loro comunità. Il cardinale Bergoglio ha spiegato nella sua autobiografia che Yorio e Jalics al momento del colpo di Stato avevano già consegnato ai vescovi il progetto di costituzioni di una nuova congregazione, e che della vicenda conserva tutta la documentazione. Prima del colpo di Stato, che avvenne il 24 marzo 1976, Yorio e Jalics erano di fatto già usciti dalla Compagnia di Gesù, e nel maggio 1976 Yorio fu sospeso a divinis su iniziativa non di Bergoglio ma del cardinale arcivescovo di Buenos Aires Juan Carlos Aramburu (1912-2004).

Il maggio 1976 la comunità di Bajo Flores è oggetto di un raid della polizia e Yorio e Jalics sono arrestati, andando a ingrossare le fila dei cosiddetti «desaparecidos». «Riappaiono» peraltro dopo sei mesi, in seguito a un negoziato tra la giunta militare e la Conferenza Episcopale, che ottiene la loro liberazione. I vescovi che condussero il negoziato hanno sempre riferito che il padre Bergoglio gli diede impulso dall'inizio alla fine, insistendo perché i due ex gesuiti fossero scarcerati.

Sia Yorio sia Jalics hanno accusato l'allora provinciale Bergoglio di averli «denunciati» alla polizia come complici dei terroristi. Verbitsky si è fatto eco di queste gravi accuse, e ha passato anni a cercare documenti per sostenerle.

Che cosa ha trovato? Sostanzialmente nulla, e la minuzia con cui ha frugato negli archivi è la migliore prova che i documenti non esistono. Alla fine, Verbitsky può esibire solo un foglietto, l'informativa di un funzionario del governo, addetto all'Ufficio dei Culti, tale Anselmo Orcoyen - peraltro redatta dopo la scarcerazione dei due sacerdoti, in occasione del rinnovo del passaporto a Jalics -, il quale riferiva di avere saputo da Bergoglio che i due ex-gesuiti avevano cattivi rapporti con le gerarchie, contro cui sobillavano anche alcune suore, che erano usciti dalla Compagnia di Gesù e che non trovavano nessun vescovo che li incardinasse.

Verbistky ha scritto pagine e pagine sul fatto che l'appunto di Orcoyen contiene tre parole: «sospetto contatto guerriglieri», affermando che anche dopo la scarcerazione Bergoglio, riferendo a un funzionario pubblico della dittatura di possibili contatti di Yorio e Jalics con la guerriglia, li esponeva consapevolmente a rischi gravissimi. 

Ma a leggere l'appunto, di cui Verbitsky pubblica una fotocopia, insistendo sulla frase finale secondo cui «questi dati sono stati comunicati al signor Orcoyen dallo stesso padre Bergoglio», si scopre che la frase incriminata - «sospetto contatto guerriglieri» - fa parte di un paragrafo dove si riferisce che Jalics era stato per sei mesi in prigione, circostanza che le autorità non avevano bisogno di apprendere da Bergoglio perché la conoscevano benissimo.

E quel «sospetto contatto guerriglieri» è la spiegazione del perché i due erano stati incarcerati. Da parte sua, il cardinale Bergoglio ha scritto in seguito che ricorda la conversazione, e che si era parlato di sospetti di contatti con la guerriglia a carico dei due ex religiosi, ma che a Orcoyen aveva detto che a quei «sospetti di contatti» - che comunque sono diversi dai contatti accertati - lui personalmente non credeva.

L'appunto Orcoyen - il quale, lo ripeto, è l'unico documento che dovrebbe accusare padre Bergoglio - è il tipico documento poliziesco su cose riferite, di un tipo che conosciamo anche in Italia. E che dimostra che il provinciale, in un momento politicamente molto difficile, era comunque molto cauto: avrebbe potuto dire ben di peggio, dal momento che sui due ex religiosi c'erano voci che coinvolgevano in modo pesante non solo l'attività politica ma anche la moralità personale.

Bergoglio ha scritto che aveva raccomandato prudenza agli ex confratelli, e che a chiunque chiedesse notizie di loro rapporti con il terrorismo aveva sempre risposto che a lui questi rapporti non risultavano. La gerarchia non li abbandonò dopo l'arresto, tanto che furono liberati. Ma è vero che ebbero difficoltà a farsi incardinare come sacerdoti diocesani prima a Buenos Aires, poi a Morón e a Santa Fe, e dovettero trasferirsi all'estero, Yorio, alla fine, prese un volo per Roma, che peraltro fu pagato dallo stesso Bergoglio. Verbitsky sostiene che nessun vescovo li voleva incardinare perché ai vescovi arrivavano cattive informazioni da Bergoglio e dal nunzio Laghi.

Bergoglio nell'autobiografia afferma che fece del suo meglio per risolvere la situazione di Yorio e Jalics trovando loro un vescovo. Ma c'è poi così da stupirsi se, con precedenti così tormentati, i vescovi argentini erano riluttanti a incardinare i due ex-religiosi? 

Riassumendo: nella crisi della «teologia della liberazione» degli anni 1970, il provinciale dei Gesuiti si trovò di fronte a una comunità di base particolarmente radicale, e prese provvedimenti perfettamente giustificati. Li prese nel febbraio 1976, prima del colpo di Stato. Dopo il quale non c'è l'ombra di una prova che abbia denunciato i due responsabili della comunità alla polizia. Quando furono arrestati, operò per la loro scarcerazione, che fu ottenuta.

In seguito, a chi gli chiese informazioni sui due, disse la verità su fatti del passato, senza particolare malanimo. Né risultano dichiarazioni favorevoli del padre Bergoglio sulla dittatura militare in genere. 

Più tardi, come arcivescovo di Buenos Aires e presidente dei vescovi argentini, promosse una politica di riconciliazione nazionale e purificazione della memoria, in cui anche la Chiesa chiedeva perdono per il sostegno di alcuni vescovi e religiosi - fra cui non c'era stato però Bergoglio - alle politiche repressive della dittatura.

La macchina del fango, dunque, mente come al solito. E non c'è nulla da chiarire, perché ogni minuto documento è stato ritrovato e pubblicato. Infine, occorre sottolineare con vigore che - prendendo provvedimenti contro la teologia della liberazione e chi la sosteneva - il provinciale Bergoglio fece solo il suo dovere.

Il 5 dicembre 2009 Benedetto XVI ha ricordato il venticinquesimo anniversario dell’istruzione «Libertatis nuntius» da lui firmata nel 1984 come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede in cui condannava la teologia della liberazione e l’«assunzione acritica fatta da alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo. Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia si fanno sentire ancora oggi creando […] grande sofferenza».

Parlando – e la circostanza non è poco significativa – a vescovi latino-americani, l'attuale Papa emerito aggiungeva in quell'occasione: «Supplico quanti in qualunque modo si sentissero attratti, coinvolti o raggiunti nel loro intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione perché si confrontino nuovamente con la citata Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre con la mano tesa; a tutti ricordo che la regola suprema della propria fede proviene dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente». Parole che valgono anche per il Magistero del nuovo Papa Francesco. Resistendo fin da ora ai tentativi della macchina del fango di distoglierci dall'essenziale rimestando vecchie menzogne.

Homilia do Papa Francisco na Missa de conclusão do Conclave - 14.03.13

"Vejo que estas três Leituras têm algo em comum: é o movimento. Na primeira Leitura, o movimento no caminho; na segunda Leitura, o movimento na edificação da Igreja; na terceira, no Evangelho, o movimento na confissão. Caminhar, edificar, confessar.

Caminhar. «Vinde, Casa de Jacob! Caminhemos à luz do Senhor» (Is 2, 5). Trata-se da primeira coisa que Deus disse a Abraão: caminha na minha presença e sê irrepreensível. Caminhar: a nossa vida é um caminho e, quando nos detemos, está errado. Caminhar sempre, na presença do Senhor, à luz do Senhor, procurando viver com aquela irrepreensibilidade que Deus pedia a Abraão, na sua promessa. Edificar. Edificar a Igreja. Fala-se de pedras: as pedras têm consistência; mas pedras vivas, pedras ungidas pelo Espírito Santo. Edificar a Igreja, a Esposa de Cristo, sobre aquela pedra angular que é o próprio Senhor. Aqui temos outro movimento da nossa vida: edificar.

Terceiro, confessar. Podemos caminhar o que quisermos, podemos edificar um monte de coisas, mas se não confessarmos Jesus Cristo, está errado. Tornar-nos-emos uma ONG sócio-caritativa, mas não a Igreja, Esposa do Senhor. Quando não se caminha, ficamos parados. Quando não se edifica sobre as pedras, que acontece? Acontece o mesmo que às crianças na praia quando fazem castelos de areia: tudo se desmorona, não tem consistência. Quando não se confessa Jesus Cristo, faz-me pensar nesta frase de Léon Bloy: «Quem não reza ao Senhor, reza ao diabo». Quando não confessa Jesus Cristo, confessa o mundanismo do diabo, o mundanismo do demónio.Caminhar, edificar-construir, confessar. Mas a realidade não é tão fácil, porque às vezes, quando se caminha, constrói ou confessa, sentem-se abalos, há movimentos que não são os movimentos próprios do caminho, mas movimentos que nos puxam para trás. 

Este Evangelho continua com uma situação especial. O próprio Pedro que confessou Jesus Cristo com estas palavras: Tu és Cristo, o Filho de Deus vivo, diz-lhe: Eu sigo-Te, mas de Cruz não se fala. Isso não vem a propósito. Sigo-Te com outras possibilidades, sem a Cruz. Quando caminhamos sem a Cruz, edificamos sem a Cruz ou confessamos um Cristo sem Cruz, não somos discípulos do Senhor: somos mundanos, somos bispos, padres, cardeais, papas, mas não discípulos do Senhor. Eu queria que, depois destes dias de graça, todos nós tivéssemos a coragem, sim a coragem, de caminhar na presença do Senhor, com a Cruz do Senhor; de edificar a Igreja sobre o sangue do Senhor, que é derramado na Cruz; e de confessar como nossa única glória Cristo Crucificado. E assim a Igreja vai para diante. 

Faço votos de que, pela intercessão de Maria, nossa Mãe, o Espírito Santo conceda a todos nós esta graça: caminhar, edificar, confessar Jesus Cristo Crucificado. Assim seja."

quinta-feira, 14 de março de 2013

O programa do Papa Francisco: Cristo Crucificado - por Nuno Serras Pereira

14. 03. 2013



Afinal, como o revelaram vários Cardeais, o Papa Francisco escolheu esse nome por causa do Santo de Assis e não do padroeiro das missões, como precipitadamente eu tinha aventado. Temos pois um Papa jesuíta que é franciscano. E como excelente franciscano que sempre se tem mostrado, escolheu e apresentou na primeira e breve homilia do seu Papado, dirigida ao colégio dos Cardeais, o programa para o seu Pontificado: Jesus Cristo Crucificado. 


De facto, entre outras coisas, sua Santidade disse essencialmente o seguinte: “quando caminhamos sem a Cruz, quando edificamos sem a Cruz e quando confessamos um Cristo sem Cruz, não somos discípulos do Senhor, somos mundanos: somos Bispos, Sacerdotes, Cardeais, Papas, mas não discípulos do Senhor”.


“Quisera que todos, após estes dias de Graça, tenhamos a coragem de caminhar na presença do Senhor, com a Cruz do Senhor, de edificar a Igreja sobre o Sangue do Senhor, que está sobre a Cruz, e de confessar a única glória, Cristo Crucificado. … (O) Espírito Santo, a intercessão da Virgem, nossa Mãe, nos conceda esta Graça: caminhar, edificar, confessar Jesus Cristo Crucificado. Assim seja” (traslado de ACI)


Estas breves palavras que acabamos de citar são uma síntese admirável da vida e pregação de S. Francisco de Assis. E uma inesperada confirmação do estandarte de Cristo Crucificado para o Ano da Fé. Até parece que esta iniciativa foi uma profecia.