Li hanno ribattezzati i “marxisti ratzingeriani”. Sono i quattro autorevoli intellettuali di formazione marxista (Giuseppe Vacca, Mario Tronti, Pietro Barcellona e Paolo Sorbi, i primi tre non credenti) che hanno firmato la lettera aperta al Partito democratico e alle sinistre diffusa il 16 ottobre scorso e rilanciata integralmente in questo blog.
Con indubbia audacia, i quattro hanno invitato al dialogo “credenti e non credenti” su quella che a loro giudizio è la ragione profonda della crisi delle democrazie: “l’emergenza antropologica” prodotta dalla manipolazione della vita. Un dialogo fondato sulla critica del relativismo etico e sui “principi non negoziabili”, a partire dalla difesa della vita umana “fin dal concepimento”: cioè proprio su due punti fondamentali, e tra i più contestati, del magistero di Benedetto XVI.
Di qui, appunto, la definizione di “marxisti ratzingeriani” a loro applicata dallo storico Francesco Benigno su “L’Unità” del 26 ottobre, e poi ripresa da altri. Definizione che è già una liquidazione. Analoga a quella che ostracizza i cosiddetti “atei devoti”.
Perché è questo che accade. Tra gli atei e gli agnostici che parlano e scrivono di religione e in particolare del cattolicesimo, immediatamente viene tracciato un discrimine. Vengono ammessi sul campo quelli che si attengono a un preciso modulo di gioco. Ma per chi apprezza e sottoscrive i punti critici dell’insegnamento di Benedetto XVI, si alza il cartellino rosso dell’espulsione. Talvolta anche della derisione.
A compiere questo arbitraria selezione non sono soltanto taluni soloni del pensiero laico. Anche e forse più in campo cattolico, la “cattedra” con i relativi onori è concessa soltanto a quei non credenti che si attengono alla forma di dialogo inaugurata a Milano dal cardinale Carlo Maria Martini col titolo, appunto, di “Cattedra dei non credenti”.
Mentre per i “ratzingeriani” sono guai. Non si sopporta il loro stile “affermativo”.
Le autorità della Chiesa lo sanno. E infatti, prudentemente, nel dialogo avviato nel “cortile dei gentili” voluto da Benedetto XVI si guardano bene dal coinvolgere gli “atei devoti” tipo Giuliano Ferrara o Marcello Pera, nonostante il secondo sia stato addirittura coautore di libri con Joseph Ratzinger e destinatario nel 2008 di una importante lettera del papa sul dialogo interreligioso e interculturale.
Il mancato invito a tali personalità viene giustificato dal fatto che sono politicamente “schierate”.
Ma è una giustificazione che non sta in piedi. All’incontro di Assisi del 27 ottobre scorso, tra i quattro intellettuali atei invitati per espressa volontà del papa, ce n’era uno, Walter Baier, così qualificato nella presentazione ufficiale vaticana:
“Economista, coordinatore della Rete ‘Transform!’, un foro di ricerca europeo che raggruppa riviste e ‘think tanks’ di sinistra, è membro del Partito Comunista Austriaco”.
E un’altra, la più famosa delle quattro personalità atee invitate ad Assisi (vedi foto), la filosofa, psicanalista e linguista francese Julia Kristeva, non si può proprio dire che non sia anch’essa politicamente connotata e schierata.
In un suo libro come sempre graffiante, che sta per uscire in Italia per i tipi di Lindau, “Del buon uso del pessimismo”, il filosofo inglese Roger Scruton dedica alla “maoista” Julia Kristeva e ad altri maestri del ‘68 – tra i quali Philippe Sollers che è suo marito – righe di questo tenore:
“Sulla scia di Althusser un fiume di linguaggio pomposo fluì dal ventre della storia, che all’epoca si trovava nella rivista di sinistra ‘Tel Quel’. Questa rivista pubblicava saggi di Derrida, Kristeva, Sollers, Deleuze, Guattari e un altro migliaio di autori, tutti creatori di ciarpame intellettuale, del quale si capiva chiaramente solo un aspetto, vale a dire la sua qualità di ’sovversione’ rivoluzionaria. Il loro stile vaticinante, in cui le parole vengono scagliate come incantesimi piuttosto che utilizzate come argomentazioni, ispirarono innumerevoli imitatori nelle facoltà umanistiche di tutto il mondo occidentale. [...] Scrittori come Derrida, Kristeva e i loro successori più recenti come Luce Irigaray e Hélène Cixous dovrebbe essere letti semplicemente come militanti di sinistra. E le loro sciocchezze, riportate nelle note e nelle bibliografie di migliaia di riviste accademiche – fra le quali la più importante è la ‘Modern Language Review’ – sono state depositate in quantità degne di Augia su ogni possibile spazio disponibile dei programmi di studi. Il risultato di questo sforzo concertato di rendere inespugnabile la posizione di sinistra è stato un disastro intellettuale, paragonabile all’incendio della biblioteca di Alessandria, o alla chiusura delle scuole della Grecia”.