Altro che pendio scivoloso. Quando si parla di eutanasia in Europa
siamo proprio al baratro. Il 14 maggio scorso la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente segnato un altro punto a favore
per la squadra della “dolce morte”. I fatti sono questi. Alda Gross,
nata e residente in Svizzera ormai da 82 anni, desidera farla finita
perché non vuole più "continuare a sperimentare il declino delle sue
facoltà fisiche e mentali". Nessun male incurabile, nessuna disabilità
grave. E’ solo anziana. Chiede di morire, ma nessuno le dà ascolto: né
il suo medico, né l'organismo medico cantonale di Zurigo, né infine la
Corte suprema federale.
In Svizzera la materia dell’eutanasia attiva – procurare la morte tramite azione positiva del medico o del paziente stesso - è regolata sostanzialmente non tanto dalla legge bensì da alcune Linee guida elaborate dall'Accademia di Scienze mediche. Linee guida che concedono di togliere il disturbo solo ai malati terminali e mai “per motivi egoistici”. Domanda incidentale: ma uno che vuole ammazzarsi non è alla fin fine egoista? Comunque sia queste disposizioni sono applicate con magnanimità. Pensiamo, solo per far riferimento a recenti casi nostrani, al giornalista Lucio Magri e al magistrato Pietro D’Amico che pur non versando in una condizione di malattia terminale hanno chiuso gli occhi per sempre al di là delle Alpi perché depressi. L’eutanasia omissiva – non fornire i mezzi di sostentamento vitale come acqua e cibo o terapie salvavita – invece è disciplinata dalla legge. In particolar modo dal gennaio scorso il Codice Civile prevede la possibilità di redigere un testamento biologico che permette di rifiutare qualsiasi terapia utile per vivere.
In Svizzera la materia dell’eutanasia attiva – procurare la morte tramite azione positiva del medico o del paziente stesso - è regolata sostanzialmente non tanto dalla legge bensì da alcune Linee guida elaborate dall'Accademia di Scienze mediche. Linee guida che concedono di togliere il disturbo solo ai malati terminali e mai “per motivi egoistici”. Domanda incidentale: ma uno che vuole ammazzarsi non è alla fin fine egoista? Comunque sia queste disposizioni sono applicate con magnanimità. Pensiamo, solo per far riferimento a recenti casi nostrani, al giornalista Lucio Magri e al magistrato Pietro D’Amico che pur non versando in una condizione di malattia terminale hanno chiuso gli occhi per sempre al di là delle Alpi perché depressi. L’eutanasia omissiva – non fornire i mezzi di sostentamento vitale come acqua e cibo o terapie salvavita – invece è disciplinata dalla legge. In particolar modo dal gennaio scorso il Codice Civile prevede la possibilità di redigere un testamento biologico che permette di rifiutare qualsiasi terapia utile per vivere.
Ma torniamo alla signora Gross. I medici e i
magistrati sono dunque tutti d’accordo nel ritenere la richiesta
dell’anziana signora fondata solo su motivi egoistici e quindi decidono
di rifiutare la sua richiesta di eutanasia. La Gross non si arrende e
ricorre a quella che è diventata la Mecca dei ricorsi contro i principi
non negoziabili: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questa le dà
ragione tirando in ballo il solito art. 8 della Convenzione europea dei
diritti umani, che in origine stabiliva che lo Stato non doveva
sindacare sul tuo stile di vita, posto che questo non avesse profili
criminali, ed oggi invece è usato come un passepartout per chiedere la
fecondazione eterologa, il “matrimonio” omosessuale e, nel caso in
specie, l’eutanasia.
Infatti la Corte lamenta che è stato leso il rispetto della vita privata e familiare. Più in particolare i magistrati appuntano che il "diritto di un individuo a decidere il modo in cui e a quale punto la propria vita deve finire (...) sia uno degli aspetti del diritto al rispetto per la propria vita privata". Inoltre tirano le orecchie ai giudici elvetici perché non permettendole di uccidersi hanno lasciato la signora Gross in un "considerevole stato di angoscia". Come se chi volesse decidere di morire sprizzi gioia di vivere da tutti i pori e chi invece si vedesse negata questa possibilità entri in uno stato di cupa depressione.
Infatti la Corte lamenta che è stato leso il rispetto della vita privata e familiare. Più in particolare i magistrati appuntano che il "diritto di un individuo a decidere il modo in cui e a quale punto la propria vita deve finire (...) sia uno degli aspetti del diritto al rispetto per la propria vita privata". Inoltre tirano le orecchie ai giudici elvetici perché non permettendole di uccidersi hanno lasciato la signora Gross in un "considerevole stato di angoscia". Come se chi volesse decidere di morire sprizzi gioia di vivere da tutti i pori e chi invece si vedesse negata questa possibilità entri in uno stato di cupa depressione.
A seguito di tutto ciò la CEDU invita la Svizzera a porre mano alle sue leggi
perché sia consentita l’eutanasia anche nel caso “in cui la morte non è
imminente né causata da una specifica malattia": insomma a semplice
richiesta del richiedente. Inoltre, prima che si arrivi a questa
desiderata svolta, chiede di far chiarezza sul quadro normativo vigente
perché a loro pare ambiguo.
La strategia è la stessa che la CEDU ha applicato nel caso A, B e C contro Irlanda di fine 2010, dove i zelanti legulei europei imposero anche in quel caso all’Irlanda di rendere più certo il percorso per ricorrere all’aborto. In realtà sia nel caso svizzero che nel caso irlandese le norme sono chiare. La CEDU ricorre a questo espediente della “chiarezza” per far pressione sui governi nazionali affinché modifichino in senso più libertario le loro leggi, così come sta accadendo in Irlanda la quale si appresta a riformare la propria legislazione sull’aborto procurato. Pressione tra l’altro indebita da parte della Corte Europea perché non potrebbe ficcare il naso in tal questioni così delicate le quali devono essere disciplinate esclusivamente dallo Stato stesso senza subire l’interferenza di nessun organismo sovranazionale.
La strategia è la stessa che la CEDU ha applicato nel caso A, B e C contro Irlanda di fine 2010, dove i zelanti legulei europei imposero anche in quel caso all’Irlanda di rendere più certo il percorso per ricorrere all’aborto. In realtà sia nel caso svizzero che nel caso irlandese le norme sono chiare. La CEDU ricorre a questo espediente della “chiarezza” per far pressione sui governi nazionali affinché modifichino in senso più libertario le loro leggi, così come sta accadendo in Irlanda la quale si appresta a riformare la propria legislazione sull’aborto procurato. Pressione tra l’altro indebita da parte della Corte Europea perché non potrebbe ficcare il naso in tal questioni così delicate le quali devono essere disciplinate esclusivamente dallo Stato stesso senza subire l’interferenza di nessun organismo sovranazionale.
La vicenda della signora Gross mette in evidenza una dinamica di natura politica e giuridica
che sta prendendo sempre più piede in molte nazioni. In sostanza si
tratta di questo: si vuole spingere ad una depenalizzazione assoluta di
certe condotte che ledono beni disponibili come la vita (v. aborto e
eutanasia) ma mantenendo una disciplina normativa che regolamenti la
materia. Si tratta cioè di consentire per legge una libertà assoluta di
darsi la morte e di uccidere il nascituro, togliendo qualsiasi paletto.
E’ cosa nota ad esempio che l’ordinamento giuridico elvetico in fatto di
eutanasia è assolutamente liberal, tanto è vero che vengono da tutta
Europa presso la clinica Dignitas per chiedere il suicidio assistito.
Alla CEDU questo non basta più: occorre legittimare la piena volontà
eutanasica. La depenalizzazione della materia – non finisci dietro le
sbarre se aiuti qualcuno a morire – non è sufficiente, perché il darsi
la morte potrebbe apparire non come un diritto, ma come una mera facoltà
di fatto tollerata dallo Stato. Occorre fare un passo in più: ci vuole
il timbro dello Stato - cioè la volontà positiva, scritta e firmata del
legislatore - al fine di affermare in modo ancor più convincente e
chiaro che esiste un vero e proprio diritto a morire.