Il 5 febbraio 2014 il Comitato per i Diritti del Fanciullo delle
Nazioni Unite ha diffuso un rapporto di sedici pagine sulla conformità
dei comportamenti dello Stato della Città del Vaticano alla Convenzione
delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia, cui la Santa Sede ha
aderito «con riserva». L’adesione con riserva – che peraltro la Santa
Sede aveva affermato di poter superare in futuro – è dovuta al timore
che la Convenzione autorizzi un’eccessiva ingerenza di organi delle
Nazioni Unite negli affari interni degli Stati sottoscrittori. Per
questa stessa ragione il Parlamento degli Stati Uniti non ha mai
ratificato la Convenzione, che pure il governo americano aveva firmato
nel 1995, così che negli USA non è mai entrata in vigore.
Prima di esaminare il documento – la cui
superficialità e faziosità ideologica lasciano davvero perplessi, e
giustificano ampiamente le riserve quanto ai rischi d’ingerenza e
violazione dei diritti sovrani degli Stati – occorre precisare che cos’è
il Comitato per i Diritti del Fanciullo. Si tratta di un corpo di
diciotto esperti eletti dagli Stati che hanno aderito alla Convenzione,
le cui raccomandazioni non sono giuridicamente vincolanti. Si tratta
dunque di una delle innumerevoli commissioni di esperti delle Nazioni
Unite, per di più nominata con il «manuale Cencelli» dell’ONU, che tende
a dare qualche posticino in qualche commissione a tutti gli Stati.
Tanto per dare un’idea, uno dei diciotto membri, che ha funzione di vice-presidente, è stato designato dall’Arabia Saudita, e fino al 2013 un altro membro veniva dalla Siria, noti esempi di tutela dei diritti umani in genere e di quelli dei bambini – e delle bambine – in specie. Durante l’indagine sulla Santa Sede (anche il suo mandato è scaduto nel 2013) la personalità più in vista, influente e nota del Comitato è stata la peruviana Susana Villarán, sindaco di Lima e cattolica «adulta» in perenne polemica con i vescovi del suo Paese, in particolare con il cardinale arcivescovo di Lima mons. Juan Luis Cipriani, per il suo sfrenato attivismo a favore del «matrimonio» omosessuale, dell’ideologia di genere e dell’aborto. Nota marciatrice dei gay pride, la Villarán si è distinta per i suoi attacchi alla Chiesa in materia di aborto e di omosessualità e ha simbolicamente «sposato» – il «matrimonio» omosessuale in Perù per ora non c’è – coppie di persone dello stesso sesso, fra cui la sua compagna di partito e stretta collaboratrice Susel Paredes e la sua «fidanzata» Carolina. Provocatoriamente, le cerimonie si sono svolte nel Parco dell’Amore di Lima, dove tradizionalmente gli sposi peruviani si fanno fotografare sotto la celebre statua «Il bacio» dello scultore Victor Delfín.
Tanto per dare un’idea, uno dei diciotto membri, che ha funzione di vice-presidente, è stato designato dall’Arabia Saudita, e fino al 2013 un altro membro veniva dalla Siria, noti esempi di tutela dei diritti umani in genere e di quelli dei bambini – e delle bambine – in specie. Durante l’indagine sulla Santa Sede (anche il suo mandato è scaduto nel 2013) la personalità più in vista, influente e nota del Comitato è stata la peruviana Susana Villarán, sindaco di Lima e cattolica «adulta» in perenne polemica con i vescovi del suo Paese, in particolare con il cardinale arcivescovo di Lima mons. Juan Luis Cipriani, per il suo sfrenato attivismo a favore del «matrimonio» omosessuale, dell’ideologia di genere e dell’aborto. Nota marciatrice dei gay pride, la Villarán si è distinta per i suoi attacchi alla Chiesa in materia di aborto e di omosessualità e ha simbolicamente «sposato» – il «matrimonio» omosessuale in Perù per ora non c’è – coppie di persone dello stesso sesso, fra cui la sua compagna di partito e stretta collaboratrice Susel Paredes e la sua «fidanzata» Carolina. Provocatoriamente, le cerimonie si sono svolte nel Parco dell’Amore di Lima, dove tradizionalmente gli sposi peruviani si fanno fotografare sotto la celebre statua «Il bacio» dello scultore Victor Delfín.
Chiarito dunque con chi la Santa Sede si è trovata ad avere a che fare,
leggiamo insieme il bizzarro documento. Il Comitato nota una serie di
settori dove la Santa Sede non rispetterebbe la Convenzione sui Diritti
dell’Infanzia, e raccomanda al Vaticano le opportune riforme. Esaminiamo
i settori principali. Primo: omosessualità – che non c’entra molto con i
diritti dell’infanzia, ma viene fatta rientrare affermando che il
Comitato si preoccupa di tutelare «gli adolescenti e i bambini gay,
lesbiche, bisessuali e transgender». Per difendere questi bambini
precoci il Comitato invita la Chiesa a seguire «la dichiarazione
progressista rilasciata da Papa Francesco nel luglio 2013» – il famoso
«chi sono io per giudicare?», che però si riferiva alle persone, che
certo non vanno mai giudicate in quanto tali, e non ai comportamenti o
alle leggi – e a ripudiare «i precedenti documenti e dichiarazioni
sull’omosessualità». Come questa entrata a gamba tesa nel campo della
dottrina morale cattolica rientri nelle competenze di un Comitato per i
Diritti del Fanciullo non è veramente spiegato.
Secondo: uguaglianza fra uomini e donne. La Santa
Sede è criticata perché non usa sempre un linguaggio «gender inclusive» e
perché parla di «complementarietà» del ruolo maschile e femminile, il
che implica che i due ruoli siano diversi, il che è contrario
all’ideologia che il Comitato vuole imporre.
Terzo: punizioni corporali. Dopo un excursus sulle
Case Magdalene irlandesi, che mostra come i membri del Comitato passino
troppo tempo al cinema e abbiano visto il pessimo film di Peter Mullan –
a parte le imprecisioni, il tema non sembra di bruciante attualità
posto che l’ultima di queste case è stata chiusa nel 1996 –, il rapporto
si schiera contro qualunque forma di punizione corporale, con
considerazioni non solo pedagogiche, che potrebbero essere in parte
condivisibili, ma anche teologiche. Si chiede che la Santa Sede «si
assicuri che un’interpretazione della Scrittura tale da non giustificare
le punizioni corporali si rifletta nell’insegnamento della Chiesa e […]
sia incorporata nell’insegnamento e nell’educazione teologica». A
prescindere dal merito, è interessante notare come il Comitato pretenda
addirittura di dettare alla Chiesa come vada interpretata la Sacra
Scrittura.
Quarto: pedofilia. Con una completa assenza di note e
riferimenti precisi, si parla di «decine di migliaia» di bambini
vittime dei preti pedofili. Sarebbe interessante sapere da dove vengono
queste statistiche, mentre si sa da dove vengono certe informazioni
contenute nel rapporto su un presunto intervento del 1997 del nunzio in
Irlanda monsignor Luciano Storero (1926-2000) perché i vescovi irlandesi
nascondessero i preti pedofili alle autorità civili. Vengono da un
attacco del 2011 del governo irlandese alla Santa Sede, pieno di
inesattezze, cui la Santa Sede – come abbiamo a suo tempo documentato su
queste colonne – ha risposto in modo dettagliato.
Intendiamoci: questo giornale ha sempre premesso a ogni discorso sui preti pedofili che purtroppo, come ci hanno insegnato Benedetto XVI e Papa Francesco, la pedofilia nel clero è un dramma reale, non inventato, che non va nascosto e di cui vanno indagate le cause, che derivano anzitutto dal diffondersi di una morale «lassista» e «progressista» nei seminari e tra i sacerdoti. Tuttavia il rapporto riprende statistiche folkloriche e accuse indiscriminate. Loda alcune misure introdotte dalla Santa Sede nel 2013, ma dimentica tutte quelle precedenti, in un maldestro tentativo di contrapporre il Vaticano di Papa Francesco a quello di Benedetto XVI. Soprattutto, si dimentica di dire che queste misure hanno funzionato, e possono costituire anzi un modello per altre istituzioni che hanno gli stessi problemi di pedofilia e che sono assai meno vigorose della Santa Sede nel contrastarli. Mi scuso per lo spot pubblicitario, ma devo rimandare al libro appena uscito che ho scritto con lo psicologo Roberto Marchesini «Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo» (Sugarco, Milano 2014), dove si troveranno dati e cifre precise.
Intendiamoci: questo giornale ha sempre premesso a ogni discorso sui preti pedofili che purtroppo, come ci hanno insegnato Benedetto XVI e Papa Francesco, la pedofilia nel clero è un dramma reale, non inventato, che non va nascosto e di cui vanno indagate le cause, che derivano anzitutto dal diffondersi di una morale «lassista» e «progressista» nei seminari e tra i sacerdoti. Tuttavia il rapporto riprende statistiche folkloriche e accuse indiscriminate. Loda alcune misure introdotte dalla Santa Sede nel 2013, ma dimentica tutte quelle precedenti, in un maldestro tentativo di contrapporre il Vaticano di Papa Francesco a quello di Benedetto XVI. Soprattutto, si dimentica di dire che queste misure hanno funzionato, e possono costituire anzi un modello per altre istituzioni che hanno gli stessi problemi di pedofilia e che sono assai meno vigorose della Santa Sede nel contrastarli. Mi scuso per lo spot pubblicitario, ma devo rimandare al libro appena uscito che ho scritto con lo psicologo Roberto Marchesini «Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo» (Sugarco, Milano 2014), dove si troveranno dati e cifre precise.
Quinto: aborto. Dopo avere evocato il consueto caso
pietoso della bambina brasiliana di nove anni che aveva abortito nel
2009, il Comitato «richiede con urgenza alla Santa Sede di rivedere la
sua posizione sull’aborto e di modificare il canone 1398 del Codice di
diritto canonico relativo all’aborto, allo scopo di precisare le
circostanze in cui l’aborto è permesso». A questa «urgenza» ha già
risposto Papa Francesco nell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium»:
s’illude chi si aspetta «che la Chiesa cambi la sua posizione su questa
questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un
argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è
progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita
umana».
Sesto: contraccezione. La Santa Sede è invitata a
«garantire agli e alle adolescenti l’accesso alla contraccezione», che
peraltro non è un’alternativa all’aborto, visto che contemporaneamente
va loro garantita la «salute riproduttiva» il che, come si è visto,
implica modificare la dottrina cattolica sull’aborto.
La Chiesa – lo abbiamo detto – ha più volte riconosciuto le responsabilità
di un certo numero di preti e vescovi nel vergognoso dramma della
pedofilia, e ha preso misure drastiche che si stanno rivelando efficaci.
Questo documento tuttavia è la prova di come la tragedia dei preti
pedofili sia usata come pretesto e come clava per aggredire la Chiesa
Cattolica e ingiungerle «con urgenza» di cambiare la sua dottrina in
materia di omosessualità, aborto e contraccezione, affidando a
commissioni di esperti «politicamente corretti» perfino
l’interpretazione della Sacra Scrittura.
Il 18 novembre 2013, citando il romanzo Il padrone del mondo di
Robert Hugh Benson (1871-1914) Papa Francesco ha denunciato il
tentativo totalitario d’imporre alla Chiesa la «globalità egemonica» del
«pensiero unico». I poteri forti – fra cui rientrano certamente certi
comitati di certe organizzazioni internazionali – ci dicono, ha detto il
Papa, che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali,
come fanno tutti, con questo progressismo adolescente». Poi purtroppo
«segue la storia»: per chi non si adegua al pensiero unico arrivano,
come ai tempi degli antichi pagani, «le condanne a morte, i sacrifici
umani». Sbaglia chi pensa che siano cose di un passato remoto, «Ma voi –
ha chiesto il Papa – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici
umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li
proteggono». È perché la Chiesa si oppone a queste leggi che, usando la
tragedia – reale – della pedofilia tra il clero come punto di partenza e
come pretesto, la si colpisce con aggressioni che stanno ormai
diventando intollerabili.