segunda-feira, 23 de janeiro de 2012

INTERVISTA/La versione di Gotti Tedeschi: Come fermare il declino dell'Occidente

di Riccardo Cascioli

In La Bussola Quotidiana

“Il mondo di ieri è finito, c’è un grande cambiamento epocale in corso, con un trasferimento di potere e di ricchezza fuori dall’Occidente che per decenni ha governato il mondo. L’Occidente rischia di scomparire, deve reagire formando una grande area economica comune tra Europa e Stati Uniti. Ma concentrarsi sul debito è un grave errore”. Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior (Istituto di opere religiose, la Banca vaticana) e studioso di economia ha le idee chiare su quanto sta avvenendo, sulla crisi economica in corso e su come uscirne. Nella sua casa, nel centro di Piacenza, contornati da quadri antichi (“Il più recente è del ‘600”, dice scherzando sulla sua passione per la cultura classica) e da un arredamento semplice ma che sa di storia, ben si comprende che i giudizi sull’attualità vengono da una sapienza che affonda le radici nei secoli.

Cerchiamo allora di capire perché questa crisi economica è il sintomo di un mondo che sta finendo, e come uscirne.
Per uscire da una crisi bisogna fare una diagnosi corretta, perché è come una malattia che corrompe un fisico sano, con un suo equilibrio. Purtroppo però di questa crisi continuiamo a guardare gli effetti anziché le cause. Continuiamo a dire che è dovuta all’eccesso di debito creato dalle banche negli ultimi 20 anni.

E invece?
L’eccesso di credito fatto dal sistema bancario non è l’origine, ma la conseguenza della crisi, perché la vera crisi è il crollo delle nascite e di conseguenza il crollo dello sviluppo sostenibile nel mondo occidentale, Europa e Stati Uniti. Del solo mondo occidentale, che però è quello che ha guidato, ispirato e gestito l’economia mondiale negli ultimi 30 anni. Il debito allora è il modo in cui il mondo occidentale mantiene la crescita dell’economia compensando il crollo delle nascite.

Il Papa parla di crisi morale alla radice della crisi economica.
Infatti. L’aspetto morale che il Papa evidenzia è proprio qui, nel tentativo di far crescere il Pil senza fare figli. Nell’enciclica Caritas in Veritate, nel primo capitolo il Papa cita le due encicliche sociali di Paolo VI, la Humanae Vitae e la Populorum Progressio. La prima dice che senza la centralità della vita non si può fare niente, se l’uomo non è al centro, se la vita non è considerata il principio di ogni cosa, nulla funziona. Nella seconda, che l’uomo non può pensare allo sviluppo solo in termini materialistici. Invece si è voluto mantenere la crescita del Pil facendo indebitare i sistemi economici del mondo occidentale. Ma ripeto: questa è la conseguenza, l’origine è molto più profonda e più importante.

Quindi, come se ne esce?
Se io fossi un governante la mia prima domanda sarebbe: ma se questo è vero che cosa vuol dire per me riportare in sesto i conti e fare ripartire l’economia? Vuol dire ridurre il debito oppure creare le premesse per la crescita?
Sono due cose completamente differenti. Tutti noi continuiamo a guardare il debito e nessuno dice che per far crescere il mondo occidentale bisogna tornare a fare figli e quindi bisogna sviluppare la famiglia, l’amore per la famiglia, l’amore per i figli, non solo spegnere il debito. Puoi spegnere il debito, ma il giorno dopo sei daccapo. E comunque non puoi spegnere il debito se non riattivi la crescita.

Il crollo delle nascite è un processo che va avanti da molto tempo in Occidente. Perché una crisi di questo genere scoppia ora?
Per un motivo molto semplice. Negli ultimi 20 anni ogni paese ha adottato una crescita a debito differente. In Europa – dove ci sono nazioni con forte vocazione al welfare sociale – con il debito di Stato, che è intervenuto direttamente nell’economia. Negli Stati Uniti, di tradizione liberista e perciò ostile al debito di Stato, si è fatta crescere l’economia per 15-20 anni con il debito privato delle famiglie. Ma tutti i debiti – che siano privati: delle famiglie, delle imprese, delle banche; oppure dello Stato – tutti alla fine diventano debito di Stato. Perché se le famiglie non pagano il mutuo e riportano la carta di credito in banca, salta la banca; se salta la banca deve intervenire lo Stato come ha fatto negli Usa nazionalizzando di fatto le banche. Se io faccio crescere il sistema a debito attraverso le imprese o le banche e queste saltano, deve intervenire lo Stato. Quindi tutto, nel medio termine, diventa debito di Stato.
Fino a ieri sui mercati c’era soltanto il debito con cui l’Europa ha finanziato pensioni, sanità, sostegno sociale, c’era un equilibrio consolidato tra domanda e offerta. Ma oggi, lo vediamo in questi giorni, i paesi europei non riescono a collocare il loro debito sui mercati alla scadenza, e lo spread aumenta. Il motivo è che è successa una cosa nuova: a collocare il debito di stato ora ci sono anche gli Stati Uniti, perché gli Usa hanno sostenuto negli ultimi decenni la crescita del Pil con il debito delle famiglie, ma quando le famiglie non hanno pagato, sono saltate le banche – vedi Lehman Brothers –, lo Stato interviene a salvare le banche e si indebita. Ma il debito dello Stato americano sul Pil significa confrontare un debito sul più grande Pil del mondo, dieci volte quello italiano, poco meno del doppio di quello europeo. Allora se il debito sul Pil passa negli ultimi 4 anni dal 60 al 100% è come se aumentasse di tutto il debito di tutta l’Europa. Questo debito, a parte quello sostenuto dalla Fed emettendo carta moneta, è stato collocato sui mercati. Immaginiamo cosa è dunque successo: una massa di debito americano così forte che va sui mercati che tradizionalmente sottoscrivevano solo quello europeo. Quindi si è squilibrata la domanda e l’offerta del debito sovrano. Ecco allora la crisi dell’Europa, la Grecia in ginocchio, l’Italia in difficoltà. Il debito americano vale più del nostro, perché hanno svalutato il dollaro, danno dei tassi interessanti ma soprattutto hanno accordi con lo Stato più grande del mondo. La Cina preferisce sottoscrivere il debito americano piuttosto che quello europeo perché gli Stati Uniti comprano i prodotti cinesi. E’ come sostenere la vendita dei propri prodotti agli Usa.

Se la causa vera della crisi è il crollo demografico, è evidente quale dovrebbe essere la risposta. Che però, anche se venisse – e non sembra che i governi ne siano coscienti – sarebbe una risposta dai tempi lunghissimi. Ma nel breve termine cosa si dovrebbe fare?
L’Europa anzitutto deve recuperare il gap, il divario che la separa dagli Stati Uniti, e che riguarda soprattutto il lavoro. C’è una differenza di produttività intorno al 25%, che si può recuperare solo attraverso delle riforme radicali per rendere la struttura economica meno costosa e più produttiva. Più elasticità nel mondo del lavoro e meno rigidità conseguente, meno relazioni sindacali che proteggono, meno stato assistenziale. Dobbiamo ridurre i costi di un sistema che per decenni è stato assistenziale, costosissimo. E dobbiamo farlo in brevissimo tempo.

Basterebbe?
Bisogna avere coscienza che ormai l’ordine economico mondiale è cambiato. L’Occidente sta rischiando di concludere la sua guida del mondo. Su 7 miliardi di abitanti nel mondo, Europa e Stati Uniti ne contano meno di un miliardo. Il futuro è nella crescita dell’Asia, persino dell’Africa e dell’America Latina perché sono paesi più disponibili a essere produttivi, più disponibili al sacrificio, al lavoro, alla produttività, Noi siamo paesi costosi. Negli ultimi 20 anni non facendo figli, rifiutandoci egoisticamente di crescere il numero della popolazione in Occidente, abbiamo cambiato drammaticamente la struttura delle nostre economie. Per far crescere il Pil siamo diventati sempre più consumatori e sempre meno produttori, condannando l’altra parte del mondo a produrre a basso costo, e con consumi ridotti. Ma questo è un sistema insostenibile, per farlo abbiamo distrutto il risparmio: in Italia, negli anni ’70 si risparmiava tra il 25 e il 30% del reddito, oggi siamo scesi sotto il 5%. Avendo stabilito una crescita economica falsata a debito, senza crescita reale della popolazione, noi abbiamo fatto lievitare in maniera drammatica i costi fissi, ovvero i costi sociali, i costi dello Stato. Come li abbiamo assorbiti questi costi? Aumentando le tasse. Nel 1975 il peso delle tasse sul Pil era il 25%, oggi il 50.

L’Occidente rischia di scomparire, ma è diviso al suo interno. Stati Uniti ed Europa appaiono in concorrenza fra di loro, come anche emerge dal quadro fatto a proposito del debito.
Ci si deve rendere conto che il problema non riguarda solo una parte, ma tutto il mondo occidentale: Stati Uniti ed Europa devono creare un’area unica con criteri di omogeneità. Insieme hanno un Pil che vale la metà del Pil mondiale, ci si deve sostenere per uscire insieme dalla crisi, formare un’area comune con dei criteri di coordinamento economico. Ripeto: oggi siamo di fronte a un grande cambiamento epocale, il mondo di ieri è finito, assistiamo a un trasferimento di potere e di ricchezza fuori dall’area che per 30-40 anni ha governato il mondo. L’Occidente deve reagire in modo equilibrato tenendo conto che sta rischiando di scomparire di non contare più nulla. L’Occidente è importante perché ha sviluppato un sistema di crescita, di equilibrio, di crescita nel mondo che nasce sulle radici cristiane. Quando finirà questo, quali saranno le altre radici culturali su cui si formerà un modello di controllo e di potere economico?

Lei pone quindi anche un problema culturale. Ma non è culturale anche il problema demografico? In fondo fare famiglia, mettere al mondo dei figli non dipende primariamente da questioni economiche, ci vogliono motivazioni che vengono prima.
Questo è vero, ma cultura ed economia si influenzano a vicenda, è difficile dire cosa viene prima. Prendiamo ad esempio la cultura neo-malthusiana, che continua a essere presente da 200 anni, da quando Malthus scrisse i suoi Princìpi, che hanno poi ispirato anche Darwin e la sua teoria sulla selezione della specie (dedicò il suo libro a Malthus). Quelli malthusiani sono princìpi di carattere economico secondo cui la popolazione mondiale rischia di morire di fame se nascono troppi figli. I neomalthusiani degli anni ‘70-’80 del XX secolo, quelli riuniti attorno al Club di Roma predissero che attorno al 2000 o addirittura prima centinaia di milioni di persone sarebbero morte di fame in Asia se la popolazione avesse continuato a crescere con quei ritmi. Questo è un criterio economico che ha creato immediatamente un effetto “palla di neve”, una serie di reazioni di carattere culturale. Come si fa a limitare le nascite? Sicuramente con i contraccettivi ma anche con la distribuzione di una cultura: prima di tutto con l’ostilità per i nuovi nati, potenziali inquinatori, ed ecco la saldatura con il movimento ecologista: più bambini nascono più si inquina perché aumenta la domanda, aumentano i bisogni, quindi più produzione e di conseguenza più inquinamento. Poi l’infatuazione femministica, il ruolo della donna che deve essere migliore, superiore all’uomo, diritto-dovere di lavorare e quindi se fai una cosa non ne fai un’altra. Quindi è diventata una cultura, ma all’origine c’è la teoria malthusiana che è economica. Che a sua volta però è stata probabilmente ispirata da princìpi contro la vita, da una visione che riduce l’uomo ad animale intelligente fatto di carne ma non di spirito.

Al contrario la Populorum Progressio dice che lo sviluppo economico non può essere solo materialistico, l’uomo non è solo animale intelligente che si soddisfa economicamente. Quindi bisogna equilibrare i suoi bisogni spirituali, e di conseguenza le sue esigenze di affetto, di vocazione verso le cose importanti, come sposarsi e mettere al mondo figli.

Certo che ricominciare oggi un processo che sovverta la mentalità anti-natalista in cui siamo immersi non è semplice…
Eppure, guardi, che ci sono indagini statistiche che evidenziano come la maggior parte delle coppie, anche in Europa, desidererebbe avere più figli di quelli che effettivamente hanno. La verità è che le persone hanno la vocazione verso una forma naturale di sopravvivenza: famiglia e figli, una vocazione che non si realizza per paura o per intrinseci problemi economici o per cultura, per abitudine. In fondo basterebbe che i governi concedessero sgravi e incentivi fiscali per la formazione delle famiglie e l’educazione dei figli, per avviare un circolo virtuoso. Dal momento in cui una persona si sposa pensa in termini di crescita della sua famiglia e dei suoi figli, quindi si impegna di più. Se si avvia il ciclo di formazione di una famiglia con la previsione di fare figli, le persone si impegnano di più producono di più, risparmiano di più, creano una base monetaria forte per il sistema bancario. Questo genera una crescita dell’economia, non il consumismo fine a se stesso, che tra l’altro non serve a molto anche perché il 60% dei beni che consumiamo li importiamo.