Lo scorso gennaio, quando Cameron spingeva l’acceleratore per
l’approvazione della legge sul matrimonio gay, l’ex Arcivescovo di
Canterbury barone Lord Carey of Clifton, denunciò il rischio per la
Chiesa d’Inghilterra di vedersi costretta a celebrare le nozze di coppie
dello stesso sesso. Per avvalorare le perplessità di ordine giuridico,
lo stesso Arcivescovo inviò al governo un corposo parere legale
dell’autorevole avvocato Aidan O’Neill QC. La replica del governo fu che
il disegno di legge avrebbe previsto una disposizione di salvaguardia
per tutelare la libertà di credo religioso, esentando espressamente le
Chiese dall’obbligo di celebrare i matrimoni omosessuali. Con questa
disposizione non si sarebbero corsi rischi di azioni legali. Parola
dello stesso Cameron.
La legge, in effetti, è passata con la previsione di tale deroga, e lo scorso 17 luglio è stato apposto il royal assent, la ratifica da parte della Regina Elisabetta, nonostante la ferma opposizione della Chiesa d’Inghilterra, di cui, peraltro, la stessa sovrana è Capo con il titolo di “Supreme Governor”. In realtà, la Church of England ha un rapporto particolare con lo stato, che implica, tra l’altro, l’obbligo giuridico di celebrare matrimoni riconosciuti come validi dalla legge.
A giugno dell’anno scorso, l’allora ministro della giustizia Crispin Blunt aveva già sollevato il dubbio che la proposta di legge del governo, nonostante qualunque norma di salvaguardia, avrebbe inevitabilmente innescato un contenzioso legale. Si trattò davvero di una facile profezia, perché neppure un mese dopo la firma della Regina, e nonostante le sperticate rassicurazioni del governo Cameron, sono arrivati i primi guai.
Il ricchissimo Barrie Drewitt-Barlow e il suo partner Tony hanno già annunciato, infatti, che inizieranno un’azione legale contro la Chiesa d’Inghilterra, citandola in tribunale per costringerla a celebrare le proprie nozze. I due sono noti per essere stati, nel 1999, i primi componenti di una coppia omosessuale indicati in un certificato di nascita come genitori del figlio avuto mediante fecondazione assistita. Grazie a quel procedimento oggi Barrie e Tony, legalmente uniti in una civil partnership dal 2006, sono i papà di ben cinque figli.
Pretendono ora di sposarsi in chiesa, e per ottenere questo risultato hanno dichiarato che ricorreranno in tutti i gradi di giudizio fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo. C’è da credere che lo faranno, atteso che, peraltro, ai due non manca né l’ostinazione né i mezzi, come dimostra il fatto che abbiano donato più di 500.000 sterline (circa 715.000 euro) alla campagna per il riconoscimento del matrimonio omosessuale nel Regno Unito.
In un’intervista rilasciata il 2 agosto al settimanale Essex Chronicle, Barrie Drewitt-Barlow è stato assolutamente chiaro:
«L’unico modo che abbiamo per far riconoscere il nostro diritto a sposarci con rito religioso è quello di portare in tribunale la Chiesa d’Inghilterra, ed è veramente una vergogna che dei cristiani praticanti come noi debbano ricorrere a questo mezzo». «Il riconoscimento legale del matrimonio omosessuale», ha proseguito Drewitt-Barlow «è stato soltanto un piccolo primo passo in avanti, perché ancora non abbiamo ottenuto quello che vogliamo: è come se qualcuno ci avesse regalato un dolcetto incartato e ci avesse detto di succhiarlo». E dopo aver ribadito la propria ferma intenzione di «sposare in chiesa il proprio marito», lo stesso Drewitt-Barlow ha chiesto: «Non dovrebbero, forse, i cristiani essere i primi a perdonare, accettare ed amare?».
Questa vicenda rappresenta un’ottima lezione per tutti coloro che, in un tema così delicato, cercano di ridurre l’esperienza cristiana ad uno sdolcinato sentimentalismo, e per tutti quelli che ingenuamente credono di arginare i danni attraverso il velleitario tentativo di introdurre norme di salvaguardia, senza rendersi conto che così si apre la via ad un piano inclinato in cui la discesa diventa irrefrenabile. Si tratta, in realtà, di un tentativo patetico e disperato, come quello di arrestare una valanga a mani nude.
La legge, in effetti, è passata con la previsione di tale deroga, e lo scorso 17 luglio è stato apposto il royal assent, la ratifica da parte della Regina Elisabetta, nonostante la ferma opposizione della Chiesa d’Inghilterra, di cui, peraltro, la stessa sovrana è Capo con il titolo di “Supreme Governor”. In realtà, la Church of England ha un rapporto particolare con lo stato, che implica, tra l’altro, l’obbligo giuridico di celebrare matrimoni riconosciuti come validi dalla legge.
A giugno dell’anno scorso, l’allora ministro della giustizia Crispin Blunt aveva già sollevato il dubbio che la proposta di legge del governo, nonostante qualunque norma di salvaguardia, avrebbe inevitabilmente innescato un contenzioso legale. Si trattò davvero di una facile profezia, perché neppure un mese dopo la firma della Regina, e nonostante le sperticate rassicurazioni del governo Cameron, sono arrivati i primi guai.
Il ricchissimo Barrie Drewitt-Barlow e il suo partner Tony hanno già annunciato, infatti, che inizieranno un’azione legale contro la Chiesa d’Inghilterra, citandola in tribunale per costringerla a celebrare le proprie nozze. I due sono noti per essere stati, nel 1999, i primi componenti di una coppia omosessuale indicati in un certificato di nascita come genitori del figlio avuto mediante fecondazione assistita. Grazie a quel procedimento oggi Barrie e Tony, legalmente uniti in una civil partnership dal 2006, sono i papà di ben cinque figli.
Pretendono ora di sposarsi in chiesa, e per ottenere questo risultato hanno dichiarato che ricorreranno in tutti i gradi di giudizio fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo. C’è da credere che lo faranno, atteso che, peraltro, ai due non manca né l’ostinazione né i mezzi, come dimostra il fatto che abbiano donato più di 500.000 sterline (circa 715.000 euro) alla campagna per il riconoscimento del matrimonio omosessuale nel Regno Unito.
In un’intervista rilasciata il 2 agosto al settimanale Essex Chronicle, Barrie Drewitt-Barlow è stato assolutamente chiaro:
«L’unico modo che abbiamo per far riconoscere il nostro diritto a sposarci con rito religioso è quello di portare in tribunale la Chiesa d’Inghilterra, ed è veramente una vergogna che dei cristiani praticanti come noi debbano ricorrere a questo mezzo». «Il riconoscimento legale del matrimonio omosessuale», ha proseguito Drewitt-Barlow «è stato soltanto un piccolo primo passo in avanti, perché ancora non abbiamo ottenuto quello che vogliamo: è come se qualcuno ci avesse regalato un dolcetto incartato e ci avesse detto di succhiarlo». E dopo aver ribadito la propria ferma intenzione di «sposare in chiesa il proprio marito», lo stesso Drewitt-Barlow ha chiesto: «Non dovrebbero, forse, i cristiani essere i primi a perdonare, accettare ed amare?».
Questa vicenda rappresenta un’ottima lezione per tutti coloro che, in un tema così delicato, cercano di ridurre l’esperienza cristiana ad uno sdolcinato sentimentalismo, e per tutti quelli che ingenuamente credono di arginare i danni attraverso il velleitario tentativo di introdurre norme di salvaguardia, senza rendersi conto che così si apre la via ad un piano inclinato in cui la discesa diventa irrefrenabile. Si tratta, in realtà, di un tentativo patetico e disperato, come quello di arrestare una valanga a mani nude.