sexta-feira, 15 de março de 2013

Francesco I sulla Cattedra di Pietro - di Roberto de Mattei

In CR 

(di Roberto de Mattei) La Chiesa ha un nuovo Papa: Jorge Mario Bergoglio, il  primo Papa non europeo, il primo Papa latino americano, il primo Papa di nome Francesco. I mass-media cercano di indovinare, attraverso il suo passato di cardinale, di arcivescovo di Buenos Aires e di semplice sacerdote, quale sarà il futuro della Chiesa sotto il suo pontificato. Di quale “rivoluzione” sarà portatore? Hans Küng lo definisce «la migliore scelta possibile» (“La Repubblica”, 14 marzo 2013). Ma solo dopo la nomina dei suoi collaboratori e dopo i suoi primi discorsi programmatici si potranno prevedere le linee del pontificato di Papa Francesco. Per ogni Papa vale quello che disse, nel 1458, il cardinale Enea Silvio Piccolomini al momento della sua elezione, con il nome di Pio II: «dimenticate Enea, accogliete Pio».

La storia non si ripete mai esattamente, ma il passato aiuta a comprendere il presente. Nel XVI secolo la Chiesa cattolica attraversava una crisi senza precedenti. L’umanesimo, con il suo edonismo immorale, aveva contagiato la Curia Romana e gli stessi Pontefici. Contro questa corruzione era sorta la pseudo-riforma protestante di Martin Lutero, liquidata da Papa Leone X, della famiglia Medici, come «una bega tra monaci». L’eresia aveva iniziato a divampare quando, alla morte di Leone X, nel 1522, fu inaspettatamente eletto il primo Papa tedesco, Adrian Florent, di Utrecht, con il nome di Adriano VI.

La brevità del pontificato gli impedì di portare a termine i suoi progetti, in particolare, scrive lo storico dei Papi Ludwig von Pastor, «la guerra gigantesca contro lo sciame di abusi che deformava la curia romana come quasi l’intera Chiesa». .Se pure egli avesse avuto un governo più lungo, il male, nella Chiesa, era troppo radicato, osserva Pastor, «perché un pontificato solo potesse produrre quel grande cambiamento che era necessario. Tutto il male che era stato commesso in parecchie generazioni poteva migliorarsi soltanto con un lavoro lungo, ininterrotto».

Adriano VI comprese la gravità del male e le responsabilità degli uomini di Chiesa, come emerge chiaramente da una istruzione che, a suo nome, il nunzio Francesco Chieregati lesse alla Dieta di Norimberga, il 3 gennaio 1523. Si tratta, come osserva Ludwig von Pastor, di un documento di straordinaria importanza non solo per conoscere le idee riformatrici del Papa, ma perché è un testo senza precedenti nella storia della Chiesa.

Dopo aver confutato l’eresia luterana, nell’ultima e più notevole parte dell’istruzione, Adriano tratta della defezione della suprema autorità ecclesiastica di fronte ai novatori. «Dirai ancora», ecco la espressa istruzione che egli dà al nunzio Chieregati, «che noi apertamente confessiamo che Iddio permette avvenga questa persecuzione della sua Chiesa a causa dei peccati degli uomini e in particolare dei preti e prelati; è certo che la mano di Dio non s’è accorciata sì che egli non possa salvarci, ma gli è il peccato a distaccarci da lui sì che Egli non ci esaudisce. La Sacra Scrittura insegna chiaramente che i peccati del popolo hanno la loro origine nei peccati del clero e perciò, come rileva il Crisostomo, il nostro Redentore, quando volle purgare l’inferma città di Gerusalemme, andò prima al tempio per punire innanzi tutto i peccati dei preti, a guisa d’un buon medico, che sana la malattia nella radice.

Sappiamo bene che anche presso questa Santa Sede già da anni si sono manifestate molte cose detestabili: abusi in cose ecclesiastiche, lesioni dei precetti; anzi, che tutto s’è cambiato in male. Non è pertanto da far meraviglia se la malattia s’è trapiantata dal capo nelle membra, dai Papi nei prelati. Tutti noi, prelati e ecclesiastici, abbiamo deviato dalla strada del giusto e da lunga pezza non v’era alcuno che facesse bene. Dobbiamo quindi noi tutti dare onore a Dio e umiliarci innanzi a Lui: ognuno mediti perché cadde e si raddrizzi piuttosto che venir giudicato da Dio nel giorno dell’ira sua. Perciò tu in nome nostro prometterai che noi vogliamo porre tutta la diligenza perché venga migliorata prima di tutto la Corte romana, dalla quale forse hanno preso il loro cominciamento tutti questi mali; allora, come di qui è partita la malattia, di qui anche comincerà il risanamento, a compiere il quale noi ci consideriamo tanto più obbligati perché tutti desiderano tale riforma.

Noi non abbiamo mai agognato la dignità papale ed avremmo più volentieri chiuso i nostri occhi nella solitudine della vita privata: volentieri avremmo rinunciato alla tiara e solo il timore di Dio, la legittimità dell’elezione e il pericolo d’uno scisma ci hanno indotto ad assumere l’ufficio di sommo pastore, che non vogliamo esercitare per ambizione, né per arricchire i nostri congiunti, ma per ridare alla Chiesa santa, sposa di Dio, la sua primiera bellezza, per aiutare gli oppressi, per innalzare uomini dotti e virtuosi, in genere per fare tutto ciò che spetta a un buon pastore e a un vero successore di san Pietro. Però nessuno si meravigli se non eliminiamo d’un colpo solo tutti gli abusi, giacché la malattia ha profonde radici ed è molto ramificata. Si farà quindi un passo dopo l’altro e dapprima si ovvierà con medicine appropriate ai mali gravi e più pericolosi affinché con un’affrettata riforma di tutte le cose non si ingarbugli ancor più il tutto. A ragione dice Aristotele che ogni improvviso cambiamento è pericoloso alla repubblica (…)».

Le parole di Adriano VI ci aiutano a comprendere come la crisi che oggi attraversa la Chiesa possa avere le sue origini nelle mancanze dottrinali e morali degli uomini di Chiesa nel mezzo secolo seguito al Concilio Vaticano II. La Chiesa è indefettibile, ma i suoi membri, anche le supreme autorità ecclesiastiche, possono sbagliare e devono essere pronti a riconoscere, anche pubblicamente, le loro colpe. Sappiamo che Adriano VI ebbe il coraggio di intraprendere questa revisione del passato. Come affronterà il nuovo Papa il processo di autodemolizione dottrinale e morale della Chiesa e quale atteggiamento avrà di fronte ad un mondo moderno impregnato di uno spirito profondamente anticristiano? Solo il futuro risponderà a queste domande, ma è certo che le cause dell’oscurità del tempo presente affondano nel nostro più recente passato.

La storia ci dice anche che ad Adriano VI successe Giulio de’ Medici, con il nome di Clemente VII (1523-1534). Sotto il suo pontificato avvenne, il 6 maggio 1527, il terribile sacco di Roma, ad opera dei lanzichenecchi luterani dell’imperatore Carlo V. È difficile descrivere quante e quali furono le devastazioni e i sacrilegi compiuti durante questo evento che superò per efferatezza il sacco di Roma del 410. Con particolare crudeltà si infierì contro le persone ecclesiastiche: religiose stuprate, preti e monaci uccisi e venduti come schiavi, chiese, palazzi, case distrutte. Alle stragi seguirono, in rapida successione, la fame ed un’epidemia di peste. Gli abitanti vennero decimati.

Il popolo cattolico interpretò l’evento come un meritato castigo per i propri peccati. Fu solo dopo il terribile sacco che la vita di Roma cambiò profondamente. Il clima  di relativismo morale  religioso si dissolse e la miseria generale diede alla Città sacra un’impronta austera e penitente. Questa nuova atmosfera rese possibile la grande rinascita religiosa della Contro-Riforma cattolica del XVI secolo. (Roberto de Mattei)