(di Roberto de Mattei) La Chiesa ha un nuovo Papa:
Jorge Mario Bergoglio, il primo Papa non europeo, il primo Papa latino
americano, il primo Papa di nome Francesco. I mass-media cercano di
indovinare, attraverso il suo passato di cardinale, di arcivescovo di
Buenos Aires e di semplice sacerdote, quale sarà il futuro della Chiesa
sotto il suo pontificato. Di quale “rivoluzione” sarà portatore? Hans
Küng lo definisce «la migliore scelta possibile» (“La
Repubblica”, 14 marzo 2013). Ma solo dopo la nomina dei suoi
collaboratori e dopo i suoi primi discorsi programmatici si potranno
prevedere le linee del pontificato di Papa Francesco. Per ogni Papa vale
quello che disse, nel 1458, il cardinale Enea Silvio Piccolomini al
momento della sua elezione, con il nome di Pio II: «dimenticate Enea, accogliete Pio».
La storia non si ripete mai esattamente, ma il passato aiuta a comprendere il presente.
Nel XVI secolo la Chiesa cattolica attraversava una crisi senza
precedenti. L’umanesimo, con il suo edonismo immorale, aveva contagiato
la Curia Romana e gli stessi Pontefici. Contro questa corruzione era
sorta la pseudo-riforma protestante di Martin Lutero, liquidata da Papa
Leone X, della famiglia Medici, come «una bega tra monaci».
L’eresia aveva iniziato a divampare quando, alla morte di Leone X, nel
1522, fu inaspettatamente eletto il primo Papa tedesco, Adrian Florent,
di Utrecht, con il nome di Adriano VI.
La brevità del pontificato gli impedì di portare a termine i suoi progetti, in particolare, scrive lo storico dei Papi Ludwig von Pastor, «la guerra gigantesca contro lo sciame di abusi che deformava la curia romana come quasi l’intera Chiesa». .Se pure egli avesse avuto un governo più lungo, il male, nella Chiesa, era troppo radicato, osserva Pastor, «perché un pontificato solo potesse
produrre quel grande cambiamento che era necessario. Tutto il male che
era stato commesso in parecchie generazioni poteva migliorarsi soltanto
con un lavoro lungo, ininterrotto».
Adriano VI comprese la gravità del male e le responsabilità degli uomini di Chiesa,
come emerge chiaramente da una istruzione che, a suo nome, il nunzio
Francesco Chieregati lesse alla Dieta di Norimberga, il 3 gennaio 1523.
Si tratta, come osserva Ludwig von Pastor, di un documento di
straordinaria importanza non solo per conoscere le idee riformatrici del
Papa, ma perché è un testo senza precedenti nella storia della Chiesa.
Dopo aver confutato l’eresia luterana, nell’ultima e più
notevole parte dell’istruzione, Adriano tratta della defezione della
suprema autorità ecclesiastica di fronte ai novatori. «Dirai ancora», ecco la espressa istruzione che egli dà al nunzio Chieregati, «che
noi apertamente confessiamo che Iddio permette avvenga questa
persecuzione della sua Chiesa a causa dei peccati degli uomini e in
particolare dei preti e prelati; è certo che la mano di Dio non s’è
accorciata sì che egli non possa salvarci, ma gli è il peccato a
distaccarci da lui sì che Egli non ci esaudisce. La Sacra Scrittura
insegna chiaramente che i peccati del popolo hanno la loro origine nei
peccati del clero e perciò, come rileva il Crisostomo, il nostro
Redentore, quando volle purgare l’inferma città di Gerusalemme, andò
prima al tempio per punire innanzi tutto i peccati dei preti, a guisa
d’un buon medico, che sana la malattia nella radice.
Sappiamo bene che anche presso questa Santa Sede già da anni si
sono manifestate molte cose detestabili: abusi in cose ecclesiastiche,
lesioni dei precetti; anzi, che tutto s’è cambiato in male. Non è
pertanto da far meraviglia se la malattia s’è trapiantata dal capo nelle
membra, dai Papi nei prelati. Tutti noi, prelati e ecclesiastici,
abbiamo deviato dalla strada del giusto e da lunga pezza non v’era
alcuno che facesse bene. Dobbiamo quindi noi tutti dare onore a Dio e
umiliarci innanzi a Lui: ognuno mediti perché cadde e si raddrizzi
piuttosto che venir giudicato da Dio nel giorno dell’ira sua. Perciò tu
in nome nostro prometterai che noi vogliamo porre tutta la diligenza
perché venga migliorata prima di tutto la Corte romana, dalla quale
forse hanno preso il loro cominciamento tutti questi mali; allora, come
di qui è partita la malattia, di qui anche comincerà il risanamento, a
compiere il quale noi ci consideriamo tanto più obbligati perché tutti
desiderano tale riforma.
Noi non abbiamo mai agognato la dignità papale ed avremmo più
volentieri chiuso i nostri occhi nella solitudine della vita privata:
volentieri avremmo rinunciato alla tiara e solo il timore di Dio, la
legittimità dell’elezione e il pericolo d’uno scisma ci hanno indotto ad
assumere l’ufficio di sommo pastore, che non vogliamo esercitare per
ambizione, né per arricchire i nostri congiunti, ma per ridare alla
Chiesa santa, sposa di Dio, la sua primiera bellezza, per aiutare gli
oppressi, per innalzare uomini dotti e virtuosi, in genere per fare
tutto ciò che spetta a un buon pastore e a un vero successore di san
Pietro. Però nessuno si meravigli se non eliminiamo d’un colpo solo
tutti gli abusi, giacché la malattia ha profonde radici ed è molto
ramificata. Si farà quindi un passo dopo l’altro e dapprima si ovvierà
con medicine appropriate ai mali gravi e più pericolosi affinché con
un’affrettata riforma di tutte le cose non si ingarbugli ancor più il
tutto. A ragione dice Aristotele che ogni improvviso cambiamento è
pericoloso alla repubblica (…)».
Le parole di Adriano VI ci aiutano a comprendere come la
crisi che oggi attraversa la Chiesa possa avere le sue origini nelle
mancanze dottrinali e morali degli uomini di Chiesa nel mezzo secolo
seguito al Concilio Vaticano II. La Chiesa è indefettibile, ma i
suoi membri, anche le supreme autorità ecclesiastiche, possono
sbagliare e devono essere pronti a riconoscere, anche pubblicamente, le
loro colpe. Sappiamo che Adriano VI ebbe il coraggio di intraprendere
questa revisione del passato. Come affronterà il nuovo Papa il processo
di autodemolizione dottrinale e morale della Chiesa e quale
atteggiamento avrà di fronte ad un mondo moderno impregnato di uno
spirito profondamente anticristiano? Solo il futuro risponderà a queste
domande, ma è certo che le cause dell’oscurità del tempo presente
affondano nel nostro più recente passato.
La storia ci dice anche che ad Adriano VI successe Giulio de’ Medici, con il nome di Clemente VII (1523-1534).
Sotto il suo pontificato avvenne, il 6 maggio 1527, il terribile sacco
di Roma, ad opera dei lanzichenecchi luterani dell’imperatore Carlo V. È
difficile descrivere quante e quali furono le devastazioni e i
sacrilegi compiuti durante questo evento che superò per efferatezza il
sacco di Roma del 410. Con particolare crudeltà si infierì contro le
persone ecclesiastiche: religiose stuprate, preti e monaci uccisi e
venduti come schiavi, chiese, palazzi, case distrutte. Alle stragi
seguirono, in rapida successione, la fame ed un’epidemia di peste. Gli
abitanti vennero decimati.
Il popolo cattolico interpretò l’evento come un meritato
castigo per i propri peccati. Fu solo dopo il terribile sacco che la
vita di Roma cambiò profondamente. Il clima di relativismo
morale religioso si dissolse e la miseria generale diede alla Città
sacra un’impronta austera e penitente. Questa nuova atmosfera rese
possibile la grande rinascita religiosa della Contro-Riforma cattolica
del XVI secolo. (Roberto de Mattei)