Uno dei principali centri di potere è la Banca Centrale Europea (BCE), con sede a Francoforte, un organismo di carattere privato, con propria personalità giuridica, incaricato dell’attuazione della politica monetaria per i diciassette paesi dell’Unione europea che aderiscono all’ “area dell’euro”. La BCE, ideata dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 e istituita il 1º giugno 1998, ha assunto, di fatto, la guida della politica non solo monetaria, ma economica e sociale europea, espropriando progressivamente gli Stati nazionali della loro sovranità in questo campo.
In una lettera inviata al presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi il 5 agosto 2011, Mario Draghi e Jean Louis Trichet, a nome del Consiglio direttivo della BCE, hanno dettato una precisa agenda al governo italiano. Essi non si sono limitati a suggerimenti e raccomandazioni di carattere generale, ma hanno fissato, punto per punto, la politica economica e sociale del nostro Paese, indicando come “misure essenziali”: 1) privatizzazioni su larga scala; 2) la riforma del sistema di contrattazione salariale; 3) la revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti; 4) la modifica del sistema pensionistico; 5) il taglio dei costi del pubblico impiego, fino alla riduzione degli stipendi dei dipendenti statali. Hanno infine chiesto che tali regole fossero prese per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare, auspicando una riforma costituzionale che le rendesse più cogenti.
Si può pensare ciò che si vuole di queste misure economiche e sociali. E’ certo però che per la prima volta un gruppo di eurocrati, indipendenti dal potere politico, interviene in maniera così diretta e imperativa nella vita pubblica del nostro Paese. Che cosa accade se un governo nazionale resiste all’imposizione di questi dettami? Lo abbiamo visto proprio in Italia. La BCE è oggi l’unica istituzione europea che può esercitare una prerogativa tipica dello Stato sovrano, quale è l’emissione di moneta. La forza di una moneta dovrebbe corrispondere alla ricchezza di uno Stato. In realtà la Banca Centrale, non essendo uno Stato, emette moneta e stampa banconote senza produrre ricchezza. Essa però impone agli Stati nazionali, a cui è interdetto battere moneta, le regole per produrre la propria ricchezza. Se gli Stati in difficoltà si allineano, la Banca Centrale li aiuta comprando i loro titoli di Stato e diminuendone in questo modo l’indebitamento. Se essi non obbediscono alle indicazioni ricevute, la BCE cessa di sostenerli finanziariamente riducendo l’acquisto degli stessi titoli di Stato. Ciò comporta un aumento del cosiddetto “spread”, che è la differenza tra il rendimento dei titoli di Stato tedeschi (Bund), considerati i più affidabili, e quelli italiani (BTp), percepiti come “a rischio” dagli investitori. Se lo spread aumenta, lo Stato italiano è costretto a garantire ai propri titoli rendite più alte, aumentando così il suo deficit, a tutto vantaggio della speculazione dei potentati finanziari. E’ difficile che in una situazione di questo genere un governo regga. Né la Spagna, né la Grecia, né l’Italia hanno resistito a questa formidabile pressione. La BCE, in una parola, “pilota”, e qualche volta provoca, le crisi politiche degli Stati nazionali.
Naturalmente la BCE non agisce isolata, ma di concerto con altri attori: il Fondo Monetario Internazionale, le agenzie di rating, che valutano la solidità finanziaria di stati e governi nazionali, l’Eurogruppo, che riunisce i ministri dell’Economia e delle finanze degli Stati membri che hanno adottato l’Euro. Queste iniziative sono concordate in luoghi discreti, ma ormai a tutti noti, come gli incontri periodici del Council on Foreign Relations (CFR), della Commissione Trilaterale, del Gruppo Bilderberg. Sarebbe riduttivo immaginare che dietro queste manovre siano Stati nazionali come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Germania o la Francia. L’obiettivo non dichiarato della BCE è proprio la liquidazione degli Stati nazionali.
L’Unione europea, presentata come una necessità economica, è stata infatti una precisa scelta ideologica. Essa non prevede la nascita di un forte Stato europeo, ma piuttosto di un non-Stato policentrico e caotico, caratterizzato dalla moltiplicazione di centri di decisione con compiti complessi e contrastanti. Ci troviamo di fronte a trasferimenti di potere che avvengono non verso una sola istituzione ma verso una pluralità d’istituzioni internazionali, le cui competenze rimangono volontariamente oscure. Ciò che caratterizza questa situazione è la grande confusione di poteri e la loro conflittualità latente o manifesta: in una parola un’assenza di sovranità tale da esigere il costituirsi di una suprema Autorità mondiale. L’ex presidente della BCE Trichet in un discorso tenuto a New York il 26 aprile 2010, presso il CFR ha esplicitamente evocato la necessità e l’urgenza di un super governo mondiale, che fissi regole economiche e finanziarie per affrontare lugubri scenari di depressione economica.
Questa visione viene da lontano e vuole imporre all’umanità una “Repubblica universale” direttamente antitetica alla Civiltà cristiana nella quale si amalgamerebbero tutti i Paesi della terra, attuando cosi il sogno ugualitario di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati. Il romanzo profetico di Robert Hugh Benson Il Padrone del mondo (Fede e Cultura, Verona 2011, con prefazione di S.E. Mons. Luigi Negri) mostra come questa utopia tecnocratica possa sposarsi con l’utopia religiosa del sincretismo. In nome di questo superecumenismo tutto viene accettato fuorché la Chiesa cattolica di cui si programma l’eliminazione, dopo quella degli Stati nazionali.
L’eliminazione della sovranità nazionale comporta, come logica conseguenza, quella della rappresentanza politica. L’ultima parola è ai tecnocrati, che non rispondono alle istituzioni rappresentative, Parlamento e governi, ma a club, logge, gruppi di potere i cui interessi sono spesso in antitesi con quelli nazionali.
I tecnocrati aspirano a guidare governi di emergenza, con leggi di emergenza, che spianano la strada alla dittatura giacobina, come accadde nella Rivoluzione francese. Al giacobinismo si contrapposero però allora, in Francia e in Europa, con successi e insuccessi, le insorgenze contro-rivoluzionarie. Ci sarà oggi una nuova Vandea nel Vecchio continente devastato dagli eurocrati?
Roberto de Mattei