ROMA, sabato, 12 novembre 2011 (ZENIT.org).- Dedichiamo oggi uno Speciale al tema della Teologia del Corpo (TDC), riprendendo quattro conferenze pronunciate durante il Convegno Internazionale sulla TDC di Giovanni Paolo II, svoltosi dal 9 all'11 novembre scorsi a Roma presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA). Apriamo lo Speciale con il discorso del rettore dell'Ateneo, padre Pedro Barrajón, L.C., intitolato "Introduzione generale alla teologia del corpo di Giovanni Paolo II".
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1. Introduzione
Fino a pochi anni fa, l’espressione “teologia del corpo” no era usata negli ambienti teologici cattolici. Non che il corpo fosse completamente dimenticato dalla riflessione teologica, ma l’interesse si spostava ad altre tematiche. L’espressione “teologia del corpo” diventa familiare ai cattolici grazie alle note Catechesi sull’amore umano di Giovanni Paolo II che comprendono un arco temporale piuttosto lungo (dal 5 novembre del 1979 al 28 novembre del 1984, ma con numerose pause soprattutto nell’anno santo della redenzione e nell’anno dell’attentato contro il Papa). Sin dalla prime catechesi appare l’espressione “teologia del corpo”, che è presentata come “un momento particolare dell’antropologia teologica”1. Il beato Giovanni Paolo II inquadra il tema del corpo in un contesto teologico, analizzandolo a partire dalla rivelazione, più in particolare nei primi capitoli della Genesi dove Dio crea l’uomo “a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1, 26). L’avvicinamento del tema del corpo all’antropologia risulta evidente in una espressione che appare nelle prime catechesi dove il Papa chiama questa teologia “la teologia dell’uomo-corpo”2.
È ben saputo che queste catechesi avevano come scopo finale preparare il sinodo dei Vescovi sul matrimonio e la famiglia che doveva celebrarsi nell’ottobre del 1980. Giovanni Paolo II volle mettere in evidenza ciò che egli chiama le “profonde radici” del matrimonio e della famiglia. Queste radici si trovano nell’antropologia teologia e più in particolare nella teologia dell’uomo-corpo. Il Papa voleva presentare una visione cristiana dell’uomo in un mondo pieno di convulsioni culturali e in un momento ecclesiale post-conciliare nel quale la Chiesa cercava di aprirsi una sua strada in un mondo che, secolarizzandosi sempre di più, sembrava ignorarla.
Nei primi anni di queste Catechesi, a non poche persone, risultava poco chiaro l’intento finale del Pontefice. Ad altri semplicemente non piaceva una così grande insistenza in temi come il corpo, la sessualità, la mascolinità e la femminilità. In una delle catechesi del primo ciclo, il Papa tracciò il filo conduttore delle sue riflessioni quando spiegò che noi siamo “figli di un’epoca in cui per lo sviluppo di varie discipline, questa visione integrale dell'uomo può essere facilmente rigettata e sostituita da molteplici concezioni parziali, le quali, soffermandosi sull'uno o sull'altro aspetto del compositum humanum, non raggiungono l'integrum dell'uomo, o lo lasciano al di fuori del proprio campo visivo”3. La teologia del corpo deve per tanto inserirsi dentro all’intento di offrire alla Chiesa e al mondo una visione integrale dell’essere umano tale come appare nella rivelazione biblica ed è stata compressa dalla Chiesa lungo la sua lunga tradizione e nei pronunciamenti del Magistero. Ed è proprio il riferimento alla rivelazione e più in concreto al punto centrale di essa, Cristo che ci salva e redime con la sua incarnazione e opera redentrice, che giustifica pienamente la teologia del corpo. Giovanni Paolo II, per motivi di chiarezza inquadra la teologia del corpo dentro della grande tradizione teologica ecclesiale: “Il fatto che la teologia comprenda anche il corpo non deve meravigliare né sorprendere nessuno che sia cosciente del mistero e della realtà dell'incarnazione. Per il fatto che il Verbo di Dio si è fatto carne, il corpo è entrato, direi, attraverso la porta principale nella teologia, cioè nella scienza che ha per oggetto la divinità”4.
Ma perché, per lo studio teologico dell’uomo il Papa scelse il corpo e non un’altra realtà ugualmente costitutiva di lui come l’anima? Oltre alla precedente ragione teologica che centra lo studio del corpo dentro alla teologia dell’incarnazione, credo che sarebbe possibile vedere in questo peculiare approccio alla teologia dal corpo una preoccupazione di tipo pastorale che deriva dal grande interesse che la filosofia, la sociologia, la cultura, l’arte, il cinema, i media hanno dato sempre di più al corpo umano negli ultimi decenni, in un’ottica però che dista molto da quella cristiana in quanto che spesso il corpo veniva ridotto alla sua mera funzione estetica, biologica, fisica o addirittura sessuale e si perdeva il collegamento essenziale che ha con la persona. In altre parole il Papa cerca di offrire una visione personalistica del corpo per approdare ad un’integrale antropologica cristiana che si presenti come valida alternativa ad una cultura che lo banalizza e lo riduce di valore.
2. Il corpo nella cultura contemporanea
Per situare meglio l’apporto di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo è utile offrire una visione panoramica di come la cultura contemporanea, specialmente dopo la rivoluzione del 1968, ha considerato il corpo umano. Questa rivoluzione partiva dalla premessa condivisa da molti secondo la quale la cultura occidentale doveva sbarazzarsi da una visione del corpo troppo legata al cristianesimo che aveva schiavizzato il corpo. La contro-cultura nata da alcune correnti di finali degli anni sessanta voleva operare una liberazione da tutti i tabù che avevano reso il corpo prigioniero di convenzioni religiose, culturali, tradizioni o mere superstizioni. Per alcuni, come per il filosofo ateo francese Michel Onfray, la vera luce sul corpo comporta l’accettazione del monismo antropologico secondo il quale solo esiste la realtà materiale e corporea e non quella spirituale. Soltanto “il l monismo - in opposizione al dualismo- permette solo un’autentica filosofia del corpo che sia estetica e poetica”5. Questa visione monistica si situa nella linea di quella di Nietzsche, il grande apologeta del corpo e del dionisiaco: “Io ho una parola da dire a coloro che disprezzano il corpo. Non li chiedo di cambiare di opinione né di dottrina, ma di disfarsi del proprio corpo - e così saranno muti. “Io sono corpo e anima”- così parla il bambino. E perché non parlare come i bambini? Ma l’uomo che si è svegliato alla coscienza e alla conoscenza, dice: ‘Io sono corpo tutt’intero e niente di più: l’anima è una parola che designa una parte del corpo”6.
Questo monismo è una posizione estrema, ma oggi anche molto generalizzata, rappresentante di una visione della realtà che è chiusa ed opaca alla trascendenza. Quando le vie allo spirito sono chiuse, all’uomo solo rimane il corpo come l’ultima sponda a cui afferrarsi. In questo senso, sono pienamente d’accordo con Sandro Spisanti quando afferma che “l’occidente dell’epoca industriale avanzata perse le tradizionali fedi religiose e laiche, defluiti gli entusiasmi ideologici, sembra aver trovato l’unità ecumenica nel culto del corpo... Cosmetici e diete, jogging e club ginnici, maratone e sports non competitivi: la nostra civilizzazione offre l’immagine di un felice ripiegamento sul corpo alla ricerca della perfetta ‘forma’ fisica... Finita l’epoca della vergogna del corpo, ci sembra di essere pronti ad una seconda giovinezza, con ai piedi le ali di una nuova mitologia. I giornali e le riviste che parlano del corpo -medicina, sport, amore e sessualità- aumentano le loro tirature. Le scuole di danza e di ballo segnano il ‘tutto esaurito’. I laboratori teatrali continuano ad esplorare tutte le possibilità espressive del corpo: il gesto, la mimica, i suoni. Il legame tra pubblicità e corpo umano sembra impermeabile a qualsiasi scrupolo moralistico: Sua Maestà il Corpo, associato a prodotti di ogni genere, trionfa sul piccolo come sul grande schermo, sui rotocalchi come sui panelli stradali”7. Sembra che il corpo è l’unica realtà che ci rimane quando abbiamo abbattuto tutti i bastioni della religiosità trascendente.
Ma questo corpo, lo sappiamo anche bene, non è eterno: si disintegra, si corrompe, è anche causa di non pochi dolori. Questa componente della caducità del corpo umano, della sua fragilità, la descrive in modo letterario Margherite Yourcenar nelle Memorie di Adriano, quando l’imperatore già di età avanzata per l’epoca, poco prima di morire, scrive a suo nipote e futuro successore Marco Aurelio: “Mio caro Marco,…., è difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana. L’occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue… Il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e noto a me più dell’anima è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone”8. Nella prospettiva monista il corpo finisce facendo da padrone dell’uomo e divorandolo. Non una troppo grata prospettiva per l’uomo che viene divorato dal corpo. Sua Maestà il Corpo viene chiamato alla ghigliottina, vittima del suo eccessivo potere.
È vero che una visione monista e immanentista del corpo non trionfa nella società in modo radicale, ma si impone spesso come forma di vita estrema per chi considera l’uomo dentro a una visione meramente naturalistica carente di trascendenza. Il corpo, e soprattutto il sesso svincolata da ogni norma personalistica, si presenta come l’ultima rifugio onde poter trarre un certo senso alla vita, vuota questa di significato, perché priva di spiritualità.
Questa spiritualità, negata a parole, a volte riappare in una specie di pseudo-spiritualità che vuole dare culto del corpo, finendo per diventare l’elemento determinante dell’esistenza: j’existe mon corps o je suis mon corps, formule queste che ammettono una lettura più amplia ma che spesso si presentano come una specie di rivendicazione dell’assolutezza che assume il corpo, quando tutto l’altro è relativo. Allora il senso della propria esistenza diventa solo un ripiegamento narcisista e gli altri, una minaccia o addirittura l’inferno. In una tale filosofia relativistica soltanto il corpo sembra ottenere un carattere di assolutezza.
Ci si chiede dove è rimasta l’anima in tutta questa cultura del corpo e la risposta e che semplicemente è sparita. Spesso è anche sparita dalla riflessione filosofica e addirittura teologica come se essa fosse una spauracchio che ci allontana dal vedere comune delle cultura. L’anima non trova più posto nella scienza che con i metodi positivisti non la può analizzare. L’anima non trova posto nella filosofia di stampo empirista e fa fatica anche a trovare qualche spazio negli scritti di filosofia di ispirazione cristiana per paura di un dualismo antropologico che non renda conto della sempre più percepita unità fondamentale dell’uomo. Così che in questa cultura soltanto resta il corpo come signore e dio, il quale esige anche i suoi riti, impone anche il suo decalogo, la sua morale, i suoi sacrifici. Ma resta sempre l’ombra della totale di sparizione, della morte, della malattia e della sofferenza che non riescono a illuminare la vita che ruota soltanto intorno al corpo. A volte questa specie di divinizzazione del corpo porta invece alla volontà della sua distruzione quando il proprio corpo non corrisponde all’ideale di estetica imposto dalla società. La cura estrema del corpo comporta in alcuni il disprezzo estremo e la tentazione in agguato della sua distruzione.
Queste convulsioni culturali nelle quali anche noi viviamo ci impongono una serie riflessione sull’uomo, la sua vocazione e il suo destino. Questo compito lo assunse Giovanni Paolo II che, partendo proprio dalla categoria “corpo”, tanto idealizzata dalla cultura, riuscì a mostrare la sua valenza teologia in un contesto di amplio respiro che ricuperava la profonda spiritualità insita nel corpo umano, corpo creato, corpo redento da Cristo, corpo unito all’anima, corpo personale, corpo cristificato, corpo destinato alla risurrezione, corpo sponsale. Facendo così ha potuto ricuperare i concetti fondamentali dell’antropologia cristiana, sotto una prospettiva originale dove l’analisi dell’esperienza umana assume anche un valore forte, oggettivo, addirittura teologico. Giovanni Paolo II volle ricuperare la bellezza dell’amore umano anche corporale nel matrimonio e creò la teologia del corpo che deve essere letta come la risposta pastorale di un sacerdote che ha capito la grandezza dell’amore umano nel piano di Dio, ha intravisto le sue possibili deviazioni, ma anche il potere redentore di Cristo che è capace di redimere dal di dentro il cuore dell’uomo.
3. Le Catechesi di Giovanni Paolo II
In questo secondo momento del mio intervento, vorrei presentare una sintesi della metodologia e del contenuto delle Catechesi del beato Giovanni Paolo II. In questo modo si può contestualizzare meglio, al inizio del Convegno, tutta la sua dottrina. Per alcuni di voi sono già idee conosciute ma sempre una presentazione sintetica aiuta a focalizzare meglio le questioni e ad inquadrarle nel giusto contesto.
A. Genere letterario e metodologia
La “teologia del corpo” di Giovanni Paolo II non si presenta in forma di libro, ma sono una serie di catechesi, esposte in forma di ciclo. Ci sono alcune altre opere teologiche importanti che appartengono a un simile genere letterario. Penso per esempio ai Sermones di Sant’Agostino, alle Collationes in Hexaëmeron di San Bonaventura e a altri temi simili svolti nelle catechesi dei mercoledì dai recenti Papi da Paolo VI in poi. Questa forma letteraria non è primariamente né prettamente accademica ma mantiene un alto livello espositivo. A volte ci sono delle ripetizioni dovute al fatto che si devono introdurre tematiche già trattate a un pubblico nuovo. Queste ripetizioni stilistiche sono poi proprie dello stile di Karol Wojtyla ed erano già presenti nell’epoca del suo insegnamento universitario. Possono in parte derivare dal fatto che egli usa spesso un metodo descrittivo vicino all’analisi fenomenologica. Il concetto di esperienza è usato dal Papa è specialmente denso di contenuti. Non si tratta soltanto dell’esperienza sensibile, ma di tutta quanta l’esperienza umana, anche di quella intellettuale, psicologica e spirituale. È l’esperienza propria dell’uomo, quella che è capace di cogliere lo specificamente umano nell’atto stesso di esperire. Ma l’oggetto dell’esperienza non è la persona nella sua ipseità di tipo metafisico perché questo non può essere oggetto diretto dell’esperienza. Si cerca piuttosto di cogliere la persona attraverso i suoi atti, secondo quanto dice San Tommaso, “non per essentiam suam sed per actum suum cognoscit intellectus noster”9 Attraverso l’atto conosco la persona. L’atto mi significa la persona. Questa è la grande tesi di fondo del suo grande libro di filosofia Persona ed Atto10.
Come già detto lo scopo primario delle catechesi è la comprensione dell’uomo ma attraverso le parole di Cristo, di quelle che hanno uno specifico contenuto antropologico, che comportano significati perenni, validi sempre per ogni uomo in qualsiasi epoca della storia e in qualsiasi luogo del mondo11. Come maestro di fede, il Papa nelle sue catechesi, parte dalla fede della Chiesa e più in concreto dalla luce del mistero di Cristo che è la chiave di comprensione del mistero dell’uomo12. E da Cristo che parte ogni autentica antropologia cristiana che per essere cristica non è mai avulsa dell’esperienza integrale di ciò che è veramente umano. Così si scopre la verità sull’uomo nella sua interezza.
a) Si parte dunque dall’atto di fede che accetta come vero ciò che Dio ci ha rivelato in Cristo e questo lo si fa in un duplice momento. In un primo momento si parte dalle parole di Cristo e poi da queste parole si risale fino alla sorgente che ci viene rivelata anche nell’Antico Testamento, trovando così un’unica lettura, propria dell’analogia della fede.
b) In una seconda fase, si cerca di capire con la ragione il significato di una rivelazione, ma attraverso la mediazione della lettura oggettiva dell’esperienza autenticamente umana, evitando una duplice tentazione, quella della riduzione empirista (positivista) e quella del razionalismo (idealista)13. L’esperienza non va letta unicamente in chiave di ciò che è meramente sensibile e verificabile ma neanche di ciò che è meramente pensabile, ma in modo tale che si cerca l’universale uomo (antropologia integrale) nell’esperienza concreta dell’uomo che sono io.
La mediazione fenomenologia, data dall’esperienza oggettiva, presuppone anche l’uso della filosofia, ma non di qualunque filosofia, ma da una filosofia che accetti un realismo gnoseologico fondamentale e che eviti la trappola di ogni chiusura immanentista della conoscenza. Il realismo gnoseologico garantisce il realismo ontologico e l’apertura ad una filosofia dell’essere.
Il metodo fa per tanto appello sia alla ragione che alla fede e all’esperienza autentica, a ciò che è veramente umano, riuscendo così ad integrare in modo circolare fede e ragione, teologia e filosofia, ma anche eventuali aperture a tutto il vasto campo del sapere umano che possa fornire qualche conoscenza ulteriore sull’uomo.
c) Bisogna finalmente aggiungere una ultima nota al metodo usato da Giovanni Paolo II nella sua costruzione della teologia del corpo ed è il riferimento all’etica. Sì, è vero, si cerca un’antropologia cristiana integrale, ma non si dimenticano gli aspetti etici perché si cerca la verità dell’uomo ma non in modo da privilegiare lo studio dell’essenza astratta, ma di metterlo in relazione verso il suo fine ultimo che è Dio; in altre parole, si cerca di confrontare la vita dell’uomo con l’ethos dell’autentico amore. Si potrebbe definire questa parola ethos, che appare spesso lungo le diverse catechesi, come la realizzazione libera della persona umana nella verità del suo essere. Nella misura nella quale gli atti dell’uomo corrispondano alla sua vocazione all’amore, egli sta realizzando la verità su di sé, sta essendo fedele all’ethos che è presente nella sua natura e nella vocazione alla quale lo chiama Dio.
La teologia del corpo non è moralistica, ma non lascia fuori gli aspetti etici come si vede chiaramente dal sesto e ultimo ciclo dove si trattano temi che riguardano amore umano e fecondità. Non è una teologia morale, ma la include, almeno nei suoi fondamenti. Questo si deve alla stretta relazione tra antropologia e ethos. L’antropologia è la base dell’ethos e questo è la realizzazione della verità antropologica.
Riassumendo il percorso metodologico della teologia del corpo di Giovanni Paolo II: punto di partenza teologico (parola di Dio rivelata in Cristo ma con riferimento a tutta l’interezza del testo sacro); appello all’esperienza oggettiva dell’humanum, integrata in una filosofia dell’essere e in sano realismo gnoseologico. Finalmente, un apertura all’ethos in quanto espressione della verità dell’umano nel suo agire.
B. Il susseguirsi dei cicli
1. Primo ciclo: l’inizio.
Partendo dalle parole di Cristo con riferimento all’inizio della creazione (Mt 19 4) si analizzano i significati antropologici dei primi capitoli della Genesi. Nel racconto jahvista si parla di una solitudine originale dell’uomo che gli permette formare la coscienza di essere un soggetto. Con la creazione della donna l’uomo esce dalla sua solitudine e comprende la chiamata alla comunione. Chiamati ad “diventare una sola carne” in corpo e anima, l’uomo e la donna, escono dalla loro solitudine nell’atto di amore coniugale e si aprono all’altro come persona in una vera estasi di comunione. In questo momento, prima ancora del peccato, lo sguardo dell’uno sull’altro (la donna; e della donna sull’uomo) era indirizzato alla persona, al corpo in quanto espressione della persona. Il corpo non era per tanto dissociato dalla persona e questo sguardo favoriva la comunione perfetta. Sotto questa prospettiva l’uomo e la donna possono capire quale è il significato del corpo nel rapporto interpersonale di comunione come un significato “sponsale”, di donazione di se all’altro. La comprensione fondamentale della persona umana nel piano di Dio è quella dell’amore come dono donato e attuato. In questa prospettiva si ammira tutta la creazione come dono libero di Dio all’uomo. La creazione divina si rinnova nel mistero dell’amore, aperto alla fecondità che, come immagine della creazione divina, è dono di sé che si moltiplica in nuove vite. Dietro a questa visione dell’uomo si trova l’ethos del dono che considera l’altro nel suo valore di persona e non lo riduce a mero oggetto di piacere.
2. Secondo ciclo: la redenzione del cuore
Il peccato originale sconvolge tutta questa armonia. Il peccato fa perdere all’uomo il significato sponsale del corpo, ed lascia le sue sequele nella concupiscenza. Con questo peso alle spalle, l’uomo non può trattenere rapporti di comunione con l’altro ma di assoggettamento (relazione servo-padrone) e il suo sguardo sull’altro lo prona alla ricerca del piacere individuale. L’altro non è così considerato un essere personale, come un dono in sé, ma come un oggetto che è utilizzato e sfigurato dalle intenzioni egoistiche. Il peccato ha fatto perdere lo sguardo limpido dell’altro e non è capace di leggere dentro il linguaggio della persona ma soltanto come mero oggetto di appagamento personale. La concupiscenza dunque non lascia vedere l’altro nella sua verità, nel suo essere-dono, ma soltanto lo considera dal punto di vista meramente egoistico. La concupiscenza nutre il dubbio sull’identità dell’altro. Non lo si vede più come arricchimento, come dono di Dio. Il peccato non lascia addirittura considerare a Dio come dono ma alimenta il sospetto nei suoi confronti. Cerca in Lui intenzioni secondarie occulte e lo vede come l’antagonista del proprio benessere. Queste deformazioni antropologiche sono deformazioni anche dell’esperienza. E così per esempio la nudità originaria si tramuta in vergogna del proprio corpo: tutto il mondo dell’ethos viene anche travolto dall’impulso cieco della concupiscenza.
Ma Dio redime all’uomo in Cristo e Cristo può fare tornare all’uomo all’ethos originario del dono, smarrito dopo il peccato. L’uomo deve collaborare per vivere la libertà dei figli di Dio, la redenzione del proprio corpo (Rom 8, 19-25). Le beatitudini ci danno l’ethos del Nuovo Testamento con cui si ricupera la visione perduta dal peccato. La redenzione di Cristo rende capace l’uomo, con l’aiuto della libertà umana, di poter ricuperare il carattere sponsale, di donazione, che aveva il corpo all’origine. Si tratta però di un duro combattimento, di una lotta contro la triplice concupiscenza. Ma il peccato non ha distrutto l’immagine di Dio nell’uomo e chi vive nello Spirito può vincere le tendenze della concupiscenza attraverso la redenzione del cuore.
Questo duro combattimento si esprime attraverso la virtù della purezza che, con l’aiuto della grazia, è capace di controllare il proprio cuore (desideri) per ristabilire una relazione di dono tra le persone. La purezza opera la redenzione del cuore e libera l’interiorità dell’uomo in modo tale che lo rende più atto a diventare dono. La purezza permette di realizzare il significato sponsale del corpo umano e così l’ethos cristiano diventa la forma costitutiva dell’eros. Ma questo è reso possibile non solo dalle forze umana ma come dono e carisma dello Spirito.
3. Terzo ciclo: la risurrezione dei corpi
La teologia del corpo di Giovanni Paolo II parte dalle origini, l’initium, poi passa attraverso le vicende del “lacrimarum valle” della vita terrena per giungere all’eschaton definitivo della risurrezione dei corpi. Il punto biblico di partenza è il dialogo di Gesù con i farisei sulla risurrezione dei corpi (Mt 22, 24-30).
La risurrezione dei corpi è uno dei dogmi fondamentali della fede cattolica che viene rapportato nel Credo. L’importanza della risurrezione è tale che San Paolo arriva a dire che senza di essa, vana è la nostra fede (1 Cor 15, 13). La risurrezione opera nell’uomo la desiderata unità in quanto restituisce all’uomo un corpo redento e risorto in una perfetta integrazione del somatico, dello psichico e dello spirituale che ricostituisce la persona umana nella sua integrale verità. Nella risurrezione lo spirito non solo dominerà il corpo, ma lo spiritualizzerà in modo tale che “esso permeerà pienamente il corpo e che le forze dello spirito permeeranno le energie del corpo”14. La persona umana sarà perfettamente persona e perfetto umano. Ma non sarà una perfezione dei singoli isolatamente, ma ci sarà la perfezione della comunione dei santi. Il cielo opererà nel mondo creato una perfetta realizzazione dell’ordine trinitario, perché nella Trinità ogni persona è perfetto Dono di sé per le altre.
Nella risurrezione non si perderà la mascolinità né la femminilità e non ci sarà matrimonio, che è un’istituzione propria di questo mondo. Nell’eschaton il corpo non perderà il suo significato sponsale, ma non si realizzerà mediante il matrimonio, il quale appartiene soltanto a questo mondo.
4. Quarto ciclo: la verginità
Il significato sponsale del corpo umano si realizzerà pienamente nel secolo futuro, ma già fin d’ora si realizza in un modo iconico nel dono della verginità per il Regno dei cieli. Il vergine per il Regno riceve un dono speciale di Dio per accettare Cristo come Sposo della Chiesa e sposo delle anime. La verginità è dunque un atto di amore sponsale al fine di ricambiare l’amore sponsale del Redentore. È un atto di rinuncia ma soprattutto è un atto di amore. La piena libertà dell’amore è la vera chiave di lettura della continenza per il Regno dei cielo. Una mera visione naturalistica e istintuale non può capire la bellezza di questa donazione. “L’uomo (maschio o femmina) è capace di scegliere la donazione personale di se stesso, fatta ad un'altra persona nel patto coniugale, in cui essi divengono ‘una sola carne’, ed è anche capace di rinunciare liberamente a tale donazione di sé ad un'altra persona, affinché, scegliendo la continenza ‘per il regno dei cieli’, possa donare se stesso totalmente a Cristo”15.
La prospettiva del vergine per il Regno dei cieli, che fa dono del suo corpo a Dio e agli altri, si colloca in quella finale della risurrezione e, in un certo senso, egli appartiene già all’ultimo eone, benché sia anche soggetto alla limitazione alle vicende terrene.
5. Quinto ciclo: il matrimonio
Il significato sponsale del corpo si realizza in modo normale in questo mondo anche attraverso il matrimonio. Il punto di partenza biblico è la lettera di San Paolo agli efesini (Ef 5, 22-33). Attraverso il matrimonio il cristiano partecipa al misterio di Cristo, che realizza nel tempo il piano eterno di Dio della redenzione dell’umanità. L’amore nuziale è così una partecipazione alla sorgente dell’amore manifestato dal Figlio al Padre nel mistero della redenzione e dell’amore per la Chiesa. In questo modo, “il mistero nuziale è un segno che rende visibile l’eterno mistero di Dio”16. Esiste un parallelismo tra l’amore redentivo di Cristo e l’amore nuziale. Infatti l’amore redentivo di Cristo sulla croce è nuziale. Anche l’amore coniugale è amore che redime in quanto partecipa dell’amore di Cristo. Nel matrimonio, grazie all’amore redentivo di Cristo, si può fare esperienza del dono di sé, realizzando così il significato sponsale del corpo umano.
Il matrimonio cristiano può realizzare il significato sponsale del corpo umano proprio perché l’amore umano è redento da Cristo e perché già sin dall’inizio il matrimonio era un sacramento primordiale che viene restituito alla sua pienezza dalla grazia redentiva di Cristo. “A questo uomo della concupiscenza è dato nel matrimonio il sacramento della redenzione come grazia e come segno dell’Alleanza con Dio –e gli è assegnato un ethos”17. In questo modo, il matrimonio viene iscritto in quel sacramento dell’uomo che abbraccia l’universo, nel sacramento che è configurato l’amore sponsale di Cristo e della Chiesa fino al compimento finale nel Regno del Padre.
6. Sesto ciclo: la procreazione responsabile
Il ciclo delle catechesi si termina con quello dedicato alla procreazione responsabile. Infatti la donazione delle persone nel matrimonio è essenzialmente aperta alla vita. L’amore umano non può non fare riferimento all’atto di donazione degli sposi, che ha due significati inscindibili: quello unitivo e quello procreativo. La Chiesa ha anche un parola di verità su questa tematica, che affonda le sue radice sulla verità della creazione, della quale i genitori sono corresponsabili e degni cooperatori di Dio. I genitori non sono creatori di nuove vita, ma le generano con la capacità che le è stata data da Dio. La contraccezione è in questo senso un tentativo di dimenticare Dio nell’atto più grande nel quale si può manifestare l’amore interpersonale come amore nuziale di Dio con l’umanità. Con queste idee di sottofondo Giovanni Paolo II rilegge e attualizza l’enciclica Humanae Vitae con un’interpretazione autentica della dottrina del suo predecessore e chiarifica l’ethos cristiano con cui i matrimonio cristiano devono affrontare il tema della fecondità e della paternità responsabili.
4. I grandi temi aperti dalla teologia del corpo
Per concludere ci domandiamo quali sono i grandi temi teologici a cui ci apre la teologia del corpo di Giovanni Paolo II e quali contributi essa offra alla cultura odierna e al dialogo fede-ragione.
A) Contributi nell’ambito della teologia
Per rispondere alla prima domanda, descriverò quali sono, a mio avviso, i grandi temi teologici che apre la teologia del corpo e quali potrebbero essere gli sviluppi ulteriori di questa teologia.
a. Innanzitutto la teologia del corpo apre nuovi orizzonti all’antropologia cristiana che, dalla seconda metà del secolo XX si è andata costituendo come materia teologia indipendente, formatasi dalla riunione di alcuni trattati teologici classici (Dio Creatore, peccato originale, grazia). In un mondo nel quale le grandi cosmo-visioni culturali si giocano in torno alle antropologie è quanto mai auspicabile che anche l’antropologia cristiana possa presentare con chiarezza e fondatezza le sue proposte. Gli approcci classici ad essa sempre sono validi. Penso in speciale modo a quello di San Tommaso d’Aquino. Ma non c’è dubbio che il dialogo con le altre proposte antropologiche diventi un’urgenza. La teologia del corpo con la sua proposta di un’antropologia adeguata che rispetti l’integrum di ciò che è umano e che eviti i diversi riduzionismi è una strada che può aprire molte porte, prima chiuse, all’antropologia cristiana. Si tratta però di una strada, non dell’unica strada e questo è importante anche ricordarlo per evitare assolutizzazioni che non giovano alla teologia che, come sappiamo, lascia spazio, dentro alla fedeltà al Magistero e alla Tradizione, diverse proposte percorribili.
b. Dentro al gran alveo dell’antropologia cristiana, la teologia del corpo ripropone con nuovo vigore il tema del rapporto tra natura e grazia offrendo una visione nuova di stampo personalistico dove si rispetta da un lato il potere della natura. L’inizio di cui parla Gesù (Mt 19, 4) ha ancora una validità antropologica e se è vero che questo inizio “ci dice relativamente poco sul corpo umano, nel senso naturalistico e contemporaneo della parola”, “tuttavia, al tempo stesso –e forse proprio a motivo dell’antichità del testo- la verità importante per la visione integrale dell’uomo si rivela in modo semplice e pieno”18. La concupiscenza, che segna la vita dell’uomo dopo il peccato, non intacca le fondamentali strutture della sua natura e permette un azione decisiva alla redenzione di Cristo che, parlando al cuore di ogni uomo, sanandolo ed elevandolo con la grazia, gli restituisce la sua dignità e gli dà la possibilità di agire con un nuovo ethos liberante e santificante la persona. La posizione di Giovanni Paolo II equidista dal rigido pelagianesimo che misconosce gli effetti devastanti del peccato originale e da un altretanto rigido agostinismo radicale (non è il vero agostinismo) che diluisce il valore della natura e della libertà.
c. La teologia del corpo di Giovanni Paolo II si caratterizza per un apertura al personalismo cristiano che non abbandono però le posizioni di una teologia e filosofie tradizionali né un fondamentale tomismo. Questo lo si mostra in modo speciale nella teologia dell’amore incentrata sul concetto di dono. Il significato sponsale del corpo e fatto che la creazione è un atto di amore originario, un dono primordiale, presentano la persona come colei che è capace di esprimere l’amore, “quell’amore appunto nel quale l’uomo diventa persona”19. La persona solo si può capire a partire dall’Amore. Solo nell’amore si trova la felicità20. La teologia del corpo ha aperto così nuovo spiragli alla teologia dell’amore che è stata anche sviluppata in modo magistrale nella prima enciclica del Papa Benedetto XVI Deus Caritas est.
d. L’intrinseco legame tra antropologia e etica che appare dalla teologia del corpo di Giovanni Paolo II permette mettere anche in luce più chiara alcuni aspetti di teologia morale dandoli in inquadratura di più amplio respiro. Si pensi per esempio alle magnifiche riflessioni offerte nelle catechesi che trattano del corpo umano come oggetto dell’opera d’arte. Un approccio più personalistico alla teologia morale permetterà di capire meglio le esigenze dell’ethos cristiano senza però restringerlo nelle strettezze delle sola regola morale, ma aprendolo a ciò che egli chiama in altri suoi scritti “norma personalista”, una norma cioè che è tutta impregnata dall’ethos cristiano che la anima dal di dentro.
e. L’insieme di antropologia ed etica permettono una presentazione nuova e originale della sessualità umana che rispetti i suoi caratteri originali di purezza originaria e allo stesso tempo capisca le possibili deformazioni che la concupiscenza può causare. La teologia dell’amore e del dono sponsale sono capaci di trasformare la visione della sessualità conferendole il tocco personale di cui è dotata sin dall’inizio ma allo stesso tempo si propone una purificazione del cuore. La visione cristiana sull’uomo permetterà a sua volta l’edificazione di una pedagogia dell’amore e della sessualità che cristallizzano nella virtù cristiana della purezza. Lo stesso Papa lo aveva chiaramente intuito: “la teologia del corpo, quale ricaviamo da quei testi chiave delle parole di Cristo, diventa il metodo fondamentale della pedagogia, ossia dell’educazione dell’uomo dal punto di vista del corpo … Quella pedagogia può essere intesa sotto l’aspetto di una specifica spiritualità del corpo”21. Questa pedagogia è specialmente necessaria nel contesto culturale di un’emergenza educativa in cui si trova il mondo degli adolescenti e dei giovani.
f. La teologia del corpo proietta una nuova luce sul matrimonio cristiano e sulla famiglia. Infatti il notevole sviluppo della teologia del matrimonio e della famiglia degli ultimi decenni è senza dubbio debitrice della dottrina di Giovanni Paolo II. Il matrimonio cristiano si situa nella linea del grande sacramento primordiale che è il corpo umano e si apre alla fecondità e alla vita di famiglia come communio persona rum, ambiente dove si vive la gratuità dello scambio del dono.
B) Contributi alla cultura contemporanea
La teologia del corpo di Giovanni Paolo II non ha solo contribuito ad aprire nuove prospettive nell’ambito della teologia cattolica, ma si presenta come un modello culturale importante dove si rapportano vicendevolmente in modo fruttuoso fede e ragione.
Il grande contributo che la teologia del corpo può offrire alla cultura contemporanea, mi sembra, è una specie di riscatto del corpo. Una cultura fortemente erotizzata diventa una cultura dove si perde il legame che unisce eros e ethos e dissolve la morale con il conseguente abbassamento del livello etico della società e della banalizzazione dei rapporti umani. La teologia del corpo situa in un’antropologia adeguata il corpo umano, senza disgiungerlo della vera spiritualità, dandole un carattere personalista e profondamente umano. Questo vuol dare al corpo il peso che gli è dovuto sottolineando allo stesso tempo il suo limite intrinseco che verrà però riscattato dal compimento della redenzione al momento della risurrezione.
Un importante contributo culturale (ed ecclesiale) è che la teologia del corpo permette in modo fecondo di combinare ragione e fede. Poter ascoltare e riflettere sulla parola Dio servendosi di strumenti metodologici provati, come lo fa Giovanni Paolo II, è di gran aiuto per una migliore comprensione della rivelazione e giovano ad approfondire il significato ultimo di tale parola. Questa simbiosi di ragione e fede servirà di modello per altri tentativi che si potranno mostrare ugualmente fecondi tra le due ali che ci elevano alla conoscenza della verità22.
Conclusione
Per concludere non mi resta che augurare che questo convegno dia un ulteriore contributo al approfondimento sulla teologia del corpo di Giovanni Paolo II e che possa favorire il dialogo tra gli esperti, il consolidamento delle esperienze pastorali e spirituali che sono sorte intorno ad essa e arricchire il pensiero cristiano, il quale, a sua volta potrà aiutare ad ogni uomo e donna a trovare di nuovo la consapevolezza della sua alta dignità in Cristo.
Ringrazio di cuore a tutti coloro che hanno reso possibile questo convegno, a tutti i relatori, partecipanti, organizzatori, decani, docenti, personale di appoggio dell’Ateneo e tutti coloro che in un modo o in un altro hanno contributo al successo di questo evento che poniamo fin d’adesso sotto lo sguardo di Maria e la speciale intercessione del beato Giovanni Paolo II.
1 Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice, Libreria Editrice Vaticana, 1995, 4ª ed., 1995, p. 39 (Catechesi del 19 dicembre 1979*).
2 Uomo e donna…, p. 42 (Catechesi del 26 settembre del 1979)
3 Uomo e donna…, p. 106 (Catechesi del 2 aprile del 1980).
4 Ibid.
5 M. Onfray, L’art de jouir. Pour un matérialisme hédoniste, Paris, Grasset, 1991, 190.
6 Ainsi parla Zarathoustra, Paris, Aubier, 1962, 93.
7 S. Spinsanti, Il corpo nella cultura contemporanea, Queriniana, Brescia, 1990, 5.
8 Margherite de Yourcenar, Memorie di Adriano, Torino, Einaudi, 1963, 5.
9 Summa TheologicaI, 87, 1, c.
10***
11 Uomo e donna… p. 118 (Catechesi 23 marzo 1980).
12 Gaudium et Spes 22.
13 Carlo Caffarra, Introduzione al Volume Uomo e donna lo creò …, p. 10.
14 Uomo e donna …, p. 267, Catechesi del 9 dicembre 1981.
15 Uomo e donna …, p. 317, Catechesi del 18 aprile del 1982.
16 Carlo Caffarra, Introduzione. In Uomo e donna …, p. 21.
17 Uomo e donna …, p. 388. Catechesi del ***
18 Uomo e donna… p., 106, Catechesi del 2 aprile 1980.
19 Uomo e donna …, p. 77, Catechesi del 16 gennaio 1980.
20 Uomo e donna …, p. 81, Catechesi del 30 gennaio, 1980: “La felicità è il radicarsi nell’Amore”.
21 Uomo e donna …, p. 236, Catechesi del ***.
22 Cf. Fides et Ratio, n. 1.