In CR
Pubblichiamo alcune riflessioni critiche del prof.
Josef Seifert, noto filosofo cattolico tedesco, sul recente caso della
Conferma, da parte del , arcivescovo di Vienna, di un omosessuale praticante
come membro di un consiglio pastorale parrocchiale.
Le riflessioni che seguono sono quelle di un cattolico austriaco che
si duole per la decisione di un Cardinale della sua patria lontana, per
il quale egli prova un grande rispetto e l’affetto di una amicizia di
lunga data – anche se “inattiva” a causa della distanza geografica – che
risale all’epoca in cui entrambi insegnavano all’Istituto Giovanni
Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia di Roma.
I fatto sono ben noti: il cardinale Cristoph von
Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza
Episcopale Austriaca, ha di recente annullato la decisione di un
sacerdote polacco, parroco in un piccolo villaggio dell’Austria
meridionale. Don Gerhard Swierzek si era opposto all’elezione nel
consiglio parrocchiale di un uomo che pratica apertamente uno stile di
vita omosessuale e ha perfino registrato pubblicamente la propria unione
omosessuale e para-matrimoniale. Il cardinale, che inizialmente aveva
dichiarato di appoggiare la decisione di Swierzek, ha invitato a pranzo,
nel palazzo arcivescovile, il giovane (26 anni) Florian Stangl e il suo
compagno.
Poi ha annunciato la sua decisione di confermare l’elezione di Stangl,
in contrasto con la decisione del parroco. Il cardinale ha poi
commentato di essere stato colpito dalla fede e dall’atteggiamento
cristiano dei due uomini, e di aver compreso perché Stangl è stato
eletto a grandissima maggioranza. Ciò ha indotto il parroco a dare le
sue dimissioni, perché la sua coscienza non gli permetteva di svolgere
il suo ministero in tali circostanze. La decisione di Schönborn è stata
lodata e difesa da molti, e criticata da molti altri, compresi alcuni
vescovi e cardinali, che l’hanno trovata incomprensibile.
Tra i difensori ci sono non solo le lobbies
omossessuali o il vasto gruppo di laici e sacerdoti che hanno formato
una associazione che dissente pubblicamente dagli insegnamenti e dalla
disciplina della Chiesa, ma anche eminenti filosofi e politici cattolici
impegnati, come l’Onorevole Rocco Buttiglione, già Ministro delle
Politiche Europee, e poi della Cultura e del Turismo, membro del senato
italiano e dal 2008 Vice Presidente della Camera dei Deputati italiana.
Egli è un mio caro amico, Professore ed ex Pro-Rettore dell’Accademia
Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein e ora
Presidente degli Amici della IAP.
A differenza dalle voci che hanno argomentato in favore della decisione del Cardinale
a partire da una posizione apertamente o tacitamente anti-cattolica,
oppure per ragioni del tutto irrazionali, Buttiglione difende la
decisione del Cardinale senza chiamare in questione gli insegnamenti
morali della Chiesa. Buttiglione riconosce pienamente che
l’omosessualità praticata è un peccato, e che il peccato grave,
specialmente quello commesso ripetutamente e senza pentirsi, anche se
non conduce automaticamente e immediatamente alla perdita della fede,
può facilmente condurre ad essa.
Inoltre, Buttiglione concorda sul fatto che un omosessuale praticante non può essere ammesso ai Sacramenti,
e che lo scopo dei peccatori deve essere quello di convertirsi a
cercare la santità, e non quello di persistere nei loro peccati o di
traformarli in una nuova legge.
Ciononostante, Buttiglione difende la decisione del
Cardinale sulla base del fatto che siamo tutti peccatori e che vivere
nel peccato non distrugge automaticamente la fede cattolica, né esclude
gli omosessuali praticanti o gli altri peccatori da una collaborazione
fruttuosa in una istituzione politica della Chiesa, quale un consiglio
parrocchiale.
Non intendo affrontare qui le difese della decisione che sono
basate su serie deviazioni dalla verità o dall’insegnamento della
Chiesa, ma mi limiterò ad una analisi critica della difesa
fatta da Buttiglione, grande pensatore cattolico e coraggioso politico –
in altre parole, mi limiterò ad una analisi critica della miglior
difesa fatta dalla persona migliore tra coloro che sostengono la
decisione di Schombrön, colui che ha lavorato per anni con me per
edificare una scuola di filosofia sotto il motto diligere veritatem
omnem et in omnibus, «amare la verità tutta intera e in tutte le cose».
Nonostante l’intelligenza e l’eccellente background della sua
difesa mi sembra chiaro che su questo argomento il mio amico è in
errore. Infatti, anche i migliori argomenti in favore della
decisione del Cardinale chiaramente non tengono conto di importanti
distinzioni, alle luce delle quali, a mio avviso, la decisione andrebbe
revocata, o ribaltata da Roma.
Quali sono le mie ragioni?
In primo luogo, dobbiamo fare una distinzione importante riguardo all’affermazione che “siamo tutti peccatori”.
In primo luogo, dobbiamo fare una distinzione importante riguardo all’affermazione che “siamo tutti peccatori”.
Essere un peccatore non è lo stesso che vivere in uno stato di peccato grave.
Qualsiasi cosa la sua coscienza gli dica, e qualsiasi possa essere il
giudizio di Dio sul suo agire (cosa che non sappiamo, né possiamo
presumere di sapere), la condizione nella quale Stangl vive apertamente
è, secondo la Chiesa, uno stato oggettivo di peccato grave – uno stato
nel quale non tutti viviamo.
Secondo, nel caso di Stangl non abbiamo a che fare
con un peccato compiuto molto tempo fa, o più recente, di cui l’autore
si è pentito. Questo, dato che alcuni dei santi più grandi hanno
commesso gravi peccati prima della loro conversione, non escluderebbe
certamente nessuno dall’essere membro di un consiglio pastorale o in
alcuni casi addirittura del sacerdozio. Un peccato di questo tipo
possiamo presumere che sia in questione nel caso del parroco di Stangl,
che ora è pubblicamente accusato di aver avuto una relazione con una
donna durata alcuni mesi, prima di essere nominato pastore di
Stützenhofen.
Anche se ammettiamo che la donna che lo accusa stia dicendo il vero
e dunque il parroco abbia violato sia il celibato sacerdotale, sia la
liceità delle relazioni sessuali esclusivamente all’interno del
matrimonio, egli si è senza dubbio pentito ed è tornato ai suoi impegni.
Nel caso di Stangl, al contrario, siamo di fronte ad un peccato
presente, ammesso dall’interessato, e che continua tuttora.
Ancora più allarmante è il fatto che evidentemente la pratica
omosessuale di Stangl non è riconosciuta da lui come moralmente
negativa. Piuttosto, egli insiste sul suo ritenersi del tutto
approvabile dal punto di vista morale. Stangl afferma che ai giorni
nostri non si può chiedere a nessuno di vivere castamente o addirittura
che nessuno vive in castità – un commento con il quale si squalifica in
modo ancora più grave di quanto fa semplicemente con il proprio stile
di vita. Anche se vivesse una vita casta, la sua approvazione pubblica
dei rapporti omosessuali lo renderebbe inadatto a ricoprire il ruolo di
membro di un consiglio della Chiesa.
Appartiene alla missione di ogni Consiglio pastorale della Chiesa
annunciare i tesori dei suoi insegnamenti, e dunque anche proclamare
l’ideale evangelico e il valore della purezza, che è sempre stata
difficile da vivere, ma che è lodata nel Discorso della Montagna come
una beatitudine che porta con sé una promessa unica: «beati i puri di
cuore, perché vedranno Dio». Anche a prescindere dal «sermone della sua
vita», dunque, deridere apertamente questa virtù e definirla impossibile
è chiaramente incompatibile con il fatto di far parte di un consiglio
parrocchiale secondo le linee guida della Chiesa, sulle quali tornerò
fra poco.
Inoltre, c’è un aspetto importante dell’essere un esempio per
altri che è inseparabile dal fatto di occupare qualsiasi posizione
ufficiale nel corpo della Chiesa. Accogliere un omosessuale
dichiarato in una carica di questo tipo costituirebbe una «lezione
all’impurità» e un esempio che altri potrebbero seguire, affermando:
«faccio solo ciò che fa anche il membro del consiglio pastorale Stangl,
che il Cardinale ha difeso contro il nostro parroco e ha definito un
profondo credente». L’azione del cardinale produce così inevitabilmente
l’illusione dell’approvazione dei rapporti omosessuali da parte della
Chiesa e costituisce un cattivo esempio morale.
Inoltre, c’è una differenza importante tra un peccato commesso privatamente e nascosto al pubblico, e uno commesso apertamente.
Un sacerdote che pecca nel segreto, per quanto ciò sia molto triste,
almeno esprime un elemento di vergogna per le proprie azioni e può
indicare una volontà di evitare un cattivo esempio pubblico – senza
alcuna intenzione ipocrita di mentire e di ingannare i fedeli.
Al contrario, un membro del consiglio pastorale che apertamente professa la sua relazione omosessuale
(della cui peccaminosità egli non crede), può essere una dimostrazione
di impudenza più che di onestà. Precisamente perché un prete deve essere
consapevole del fatto che è chiamato ad essere un esempio degli altri –
e dunque dovrebbe essere virtuoso più degli altri – dovrebbe evitare di
scandalizzare altri, trasformando la propria cattiva vita privata in un
cattivo esempio pubblico.
Se il prete non solo peccasse, ma anche annunciasse i propri
peccati a tutta l’assemblea della Chiesa, indicherebbe non onestà, bensì
una mancanza delle dovute vergogna, discrezione e prudenza.
Tali peccati appartengono al confessionale, non al pubblico o alla
stampa, anche se ci sono circostanze nelle quali una confessione
pubblica e una espressione di dolore, quando sono legati ad una intima
conversione, potrebbero di fatto essere la cosa giusta ed edificante da
fare, come nel caso dello straordinario libro di sant’Agostino, le
Confessioni.
Condannare don Sweierzek (sempre ammesso che la
donna che sta diffondendo la sua storia non stia mentendo) per aver
taciuto i propri peccati prima di diventare parroco di Stützenhofen, è
proprio farisaico. Chi, degli uomini e delle donne sposati che
definiscono il proprio pastore un ipocrita, si alzerebbe in piedi alla
Messa domenicale e confesserebbe i propri adulteri o gli altri peccati, o
li diffonderebbe in un’intervista sui giornali? Perché un prete
dovrebbe fare questo per poter essere considerato onesto? Certamente,
rimproverare altri per i loro peccati, e anche esporli pubblicamente,
quando chi parla ne ha commessi di simili (come i farisei che volevano
lapidare la donna adultera), può essere farisaico, ma non lo è
necessariamente.
Un padre non è un fariseo perché riprende suo figlio per aver picchiato sua sorella,
perché denunciare che è un atto cattivo corrisponde alla verità, anche
se egli stesso ha fatto la stessa cosa a sua moglie il giorno
precedente. Diventerebbe farisaico solo se fosse motivato, non dalla
verità, bensì da un atteggiamento pregiudiziale che fluisce dalla
crudeltà, dall’orgoglio e dalla falsità, nelle quali egli, il peggiore
peccatore tra i due, si erigesse a persona di più specchiata virtù.
Esiste una ulteriore enorme differenza tra uno stile di vita omosessuale apertamente dichiarato,
e l’entrare in una unione omosessuale ufficiale o para-matrimoniale,
riconosciuta dallo stato, ma considerata dalla Chiesa non solo come un
peccato grave (come lo è risposarsi senza aver avuto la dichiarazione
ecclesiastica di nullità del matrimonio precedente), ma un peccato alla
seconda potenza, dato dalla pseudo-sanzione della convivenza omosessuale
attraverso quella sorta di caricatura che è il «matrimonio omosessuale
benedetto dallo stato», e aggrava il male del peccato.
Un atto omosessuale (diversamente dalle tendenze
all’omofilia, che non sono sottoposte al nostro controllo), poi, non è
solo un serio peccato, secondo la Chiesa, ma un peccato «contro natura»
(contra naturam) – contro l’intero ordine della natura, del significato e
del valore della sessualità umana, e così è una violazione molto più
grande della legge morale divina rispetto a peccati (come il sesso
pre-matrimoniale o l’adulterio) che costituiscono una caduta umana, ma
non vanno contro la natura.
Inoltre, avendo costituito una relazione omosessuale
ufficiale, il signor Stangl potrebbe reclamare diritti, come quello di
adottare bambini, etc., che agli occhi della Chiesa sarebbero una
ulteriore grave violazione delle istituzioni tanto sacre quanto umane
del matrimonio e della famiglia.
L’elezione al consiglio pastorale parrocchiale da
parte di un uomo che vive in una unione omosessuale, per quanto egli sia
amabile e affascinante nella sua conversazione, e per quanto la sua
fede sia sincera (anche se, ovviamente, non accetta l’etica insegnata
nella Sacra Scrittura, la cui condanna dei peccati di omosessualità
nell’Antico Testamento e da parte di San Paolo non potrebbe essere più
severa e inflessibile) ha anche un profondo aspetto ed effetto esterno.
Consentire questa elezione (probabilmente la prima
approvazione ufficiale di questo tipo fatta da un Cardinale) sarà
percepita da molti come un acconsentire alle relazioni omosessuali in se
stesse e dunque come uno schiaffo pubblico sulla sacra faccia del
matrimonio. Ciò causa così, da una parte, uno scandalo pubblico tra
molti fedeli e pone, dall’altra parte, un esempio che potrebbe essere
seguito in molte parti del mondo. Anche solo per evitare queste
conseguenze sinistre, credo che la decisione dovrebbe essere rivista e
questa elezione dichiarata invalida, così come il parroco Swierzek ha
fatto come pastore – un atto che come tale non viola in nessun modo la
carità, ma al contrario esprime un vero amore per Stangl e le altre
anime della sua parrocchia.
Infine, dobbiamo considerare la violazione del Codice di Diritto Canonico,
implicata dal fatto di sanzionare l’elezione di un omosessuale
praticante come membro di un consiglio pastorale, specialmente quando
questa approvazione è compiuta esplicitamente in contrasto con la
decisione del parroco, che ha la responsabilità della sua parrocchia e
il cui giudizio non dovrebbe dunque essere sovrastato da una autorità
superiore, finché egli agisce in piena armonia con la legge della
Chiesa, cosa che don Swierzek ha fatto. Consideriamo il testo dei cann.
511 e 512, specialmente il paragrafo 3 del 512, che concerne l’elezione
dei membri del consiglio pastorale diocesano – qualcosa che
indubbiamente si applica all’elezione dei consigli parrocchiali.
Can. 511 – In ogni diocesi, se lo suggerisce la
situazione pastorale, si costituisca il consiglio pastorale, al quale
spetta, sotto l’autorità del Vescovo, studiare, valutare e proporre
conclusioni operative su quanto riguarda le attività pastorali della
diocesi.
Can. 512 – §1. Il consiglio pastorale è composto da
fedeli che siano in piena comunione con la Chiesa cattolica, sia
chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia soprattutto
laici; essi vengono designati nel modo determinato dal Vescovo
diocesano.
§2. I fedeli designati al consiglio pastorale siano scelti in modo che attraverso di loro sia veramente rappresentata tutta la porzione di popolo di Dio che costituisce la diocesi, tenendo presenti le diverse zone della diocesi stessa, le condizioni sociali, le professioni e inoltre il ruolo che essi hanno nell’apostolato, sia come singoli, sia in quanto associati.
§3. Al consiglio pastorale non vengano designati se non fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza.
§2. I fedeli designati al consiglio pastorale siano scelti in modo che attraverso di loro sia veramente rappresentata tutta la porzione di popolo di Dio che costituisce la diocesi, tenendo presenti le diverse zone della diocesi stessa, le condizioni sociali, le professioni e inoltre il ruolo che essi hanno nell’apostolato, sia come singoli, sia in quanto associati.
§3. Al consiglio pastorale non vengano designati se non fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza.
Ed Peters nel suo blog aggiunge alcune importanti spiegazioni e riferimenti al Codice. Cito:
“Essere membri di un consiglio pastorale (c. 536) sembra debba essere
definito come un occupare “una carica ecclesiastica” (C. 145). Occupare
una carica ecclesiastica (diversamente, ad esempio dal partecipare ai
sacramenti) non è un diritto fondamentale del fedele e l’autorità
ecclesiastica ha un margine con¬side¬revole nello stabilire i requisiti
per assumere un incarico nella Chiesa (cc 145, 148, 223). Per poter
essere scelti per una carica ecclesiastica, si deve essere “in comunione
con la Chiesa” (c. 149 § 1). La piena comunione con la Chiesa è
definita, a fini giuridici, come essere “uniti con Cristo nella
struttura visibile [della Chiesa] con i legami della professione di
fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico”. L’assun¬zio¬ne o la
conservazione di una carica ecclesiastica può essere dichiarata invalida
per ragioni “espressamente richieste” dalla legge perché l’assunzione o
la conservazione siano valide (c. 149 § 2)”
Per quanto le sue intenzioni soggettive possano essere
oneste, il signor Stangl non può ragionevolmente essere considerato «un
fedele cristiano che si distingua per la fede ferma, i buoni costumi e
la prudenza». Perciò, se don Swierzek, applicando queste linee
guida chiare, a fatto ciò che riteneva giusto per la propria parrocchia,
secondo la sua coscienza, ed è stato scavalcato da un’autorità
superiore, è stato obbligato a dare le sue dimissioni. Se queste
dimissioni fossero state rifiutate, avrebbe avuto il diritto di
appellarsi alle massime autorità giuridiche della Chiesa.
Se il Cardinal Schönborn riconsidererà la sua decisione,
spero sinceramente e prego che la ritratterà, in obbedienza alla verità
e alla Chiesa, e nonostante l’imbarazzo che un tale cambiamento potrà
causare. Mi auguro, infine, che né Sua Eminenza, né l’amico Buttiglione
si risentiranno per ciò che l’impegno che condividiamo per la verità mi
ha imposto di scrivere.
Josef Seifert
Fondatore dell’Accademia Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein
Membro della Pontificia Accademia per la Vita
Fondatore dell’Accademia Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein
Membro della Pontificia Accademia per la Vita