domingo, 25 de agosto de 2013

Caso Cerrelli, prove tecniche di totalitarismo - di Massimo Introvigne

In NBQ

I professionisti dell’anti-omofobia – uso l’espressione nello stesso senso in cui lo scrittore Leonardo Sciascia (1921-1989) denunciava severamente i «professionisti dell’antimafia» – hanno finalmente gettato la maschera. Fino a ieri sostenevano che la legge sull’omofobia non impedisce affatto la libera espressione di opinioni sull’omosessualità, anche opposte alle loro. È bastato un piccolo granellino di sabbia in quello che credevano fosse un ingranaggio perfetto per indispettirli talmente da indurre a dire la verità. Ed è partito il contrordine compagni: la legge sull’omofobia è necessaria precisamente per impedire, brandendo la minaccia dell’azione penale e del carcere, che qualcuno esprima liberamente idee in tema di omosessualità difformi dall’omosessualismo dominante, perché queste idee sono intollerabili e pericolose.

Il granello di sabbia si è manifestato nel corso della trasmissione «Unomattina Estate» dello scorso 20 agosto, quando l’avvocato Giancarlo Cerrelli, vice-presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, ha inflitto al portavoce del Gay Center, Fabrizio Marrazzo, quello che in gergo sportivo si chiamerebbe un cappotto. A Marrazzo, che sosteneva che una legge sull’omofobia è necessaria per impedire che i gay siano fatti oggetto di violenze e discriminazioni, Cerrelli ha replicato citando leggi e giurisprudenza in base alle quali le aggressioni e le vere discriminazioni degli omosessuali oggi in Italia sono già punite, lasciando l’attivista omosessuale letteralmente senza parole. Cerrelli lo ha incalzato elencandogli opinioni che, se liberamente espresse, sarebbero punite dalla legge sull’omofobia italiana come lo sono da analoghe leggi estere, fra cui quelle secondo cui la propria condizione è percepita come un disagio da molti omosessuali, che ricorrono alle cosiddette terapie riparative, o che l’atto omosessuale dal punto di vista morale è sempre oggettivamente disordinato, che è poi semplicemente quanto insegna il «Catechismo della Chiesa Cattolica». Anche qui, gli oppositori non hanno potuto rispondere a Cerrelli – perché non è vero – che, dopo l’approvazione della legge sull’omofobia, queste opinioni potrebbero essere liberamente e tranquillamente espresse, senza tema di manette.

Indispettite per il successo dialettico di Cerrelli nel dibattito televisivo, le organizzazioni omosessuali hanno reagito con la ormai abituale virulenza. Franco Grillini, presidente dell’Arcigay, ha scritto in una nota che «il vizietto di confondere scienza e fede o, peggio, di far passare come scientifici pregiudizi sociali o religiosi costituisce un atto di indiscutibile disonestà che se compiuto da professionisti persino iscritti all’albo vanno [sic] segnalati come abuso e perseguiti come tali». Quello che è interessante, qui, è l’invito a «perseguire» Cerrelli e il riferimento a «professionisti pesino iscritti all’albo»: ispirato dal precedente canadese che abbiamo documentato su queste colonne, Grillini sembra «consigliare» all’Ordine degli Avvocati di prendere provvedimenti contro il giurista cattolico.

Ma c’è di peggio. Sull’onda delle associazioni gay è intervenuta anche la politica. Il deputato e capogruppo di Sinistra e Libertà in Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati, Alessandro Zan, ha pubblicato una nota chiedendo che alla Rai sia impedito d’invitare nelle sue trasmissioni «ospiti ultra cattolici e omofobi», chiedendo subito «l’intervento della Commissione Parlamentare di Vigilanza». «È impensabile – scrive Zan – che il servizio pubblico si faccia megafono di tesi, teorie e personaggi che esprimono opinioni discriminanti». Con questa nota, il caso Cerrelli – ma anche la discussione sull’omofobia – fa un salto di qualità. Per chiunque si fermi un attimo a riflettere, si tratta di una presa di posizione gravissima e totalitaria. Un esponente politico chiede alla Rai d’imbavagliare una parte in una discussione politica e culturale. Chi esprime opinioni contrarie all’ideologia dominante in tema di omosessualità dev’essere silenziato ed escluso dal dibattito.

Il cerchio si è chiuso con un intervento, di non minore gravità, di Giuseppe Luigi Palma, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, il quale ha dichiarato  «gravissimo che i detrattori della legge antiomofobia ripropongano, tra le altre, l’idea che […] l’orientamento omosessuale sia da modificare, contraddicendo palesemente quanto, invece, da anni sostiene la comunità scientifica internazionale che, a ragione, ha da tempo rigettato le cosiddette terapie di conversione e riparative. Affermare che l’omosessualità possa essere curata o che l’orientamento sessuale di una persona si debba modificare, come recentemente dichiarato dal vicepresidente Unione giuristi cattolici italiani, è una informazione scientificamente priva di fondamento e portatrice di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale ancora così fortemente radicato nella nostra società, come dimostrano, purtroppo, i sempre più diffusi fatti di cronaca. Ribadisco, se mai ce ne fosse bisogno che gli psicologi, secondo il Codice deontologico, non possono prestarsi ad alcuna ‘terapia riparativa’ dell’orientamento sessuale di una persona».

La posizione dell’Ordine degli Psicologi italiano sulle terapie riparative è nota, così come sono note le opinioni critiche di molti sull’Ordine degli Psicologi in genere e sulle sue frequenti prese di posizione di natura ideologica in particolare, che hanno spinto alcuni – dall’interno stesso della professione psicologica – a richiedere l’abolizione di tale Ordine. Ma anche in questo caso ora assistiamo a un salto di qualità. S’impugna il randello per picchiare sull’avversario ideologico e si chiede che a chi espone dottrine che Palma considera «pericolose» non sia dato spazio in pubblico. E se le opinioni pericolose «sostengono il pregiudizio sociale» – addirittura causano i suicidi, che è poi quanto vuole dire Palma con riferimento ai «fatti di cronaca» – non appena approvata la legge sull’omofobia queste opinioni diventeranno reati. E magari un giudice chiamerà a testimoniare qualche gerarca dell’Ordine degli Psicologi, il quale assicurerà che chiunque parli di terapie riparative è un omofobo e quindi un delinquente. Del resto, si capisce facilmente di quale natura siano i pregiudizi del suo presidente Palma considerando che alle elezioni regionali pugliesi del 2010 è stato candidato nella lista di Nichi Vendola.

All’avvocato Giancarlo Cerrelli va tutta la nostra solidarietà. In televisione, Cerrelli ha davvero combattuto la buona battaglia, costringendo i promotori della legge sull’omofobia a gettare la maschera e a rivelare che cosa pensano e che cosa vogliono davvero. Da oggi non è più lecito per nessuno, magari per quieto vivere parlamentare o per ragioni di convenienza politica, fingere di non avere capito. Lo scopo della legge sull’omofobia è far tacere chiunque si permetta di esporre opinioni contrarie all’ideologia omosessualista. Anzi, prima farlo tacere e poi espellerlo dal suo ordine professionale e mandarlo in prigione. Comunque la si pensi in materia di omosessualità, è essenziale rendersi conto che stiamo assistendo alla posa della prima pietra di quel carcere per tutti gli uomini e le donne libere che Benedetto XVI chiamava «dittatura del relativismo», e che è la versione aggiornata «gaia» dei totalitarismi del XX secolo.