È tutto un ribollire di blog. Quella che in Francia chiamano la
«tradisfera», la galassia dei blog tradizionalisti, non fa che parlare
del caso dei Francescani dell'Immacolata, la benemerita congregazione
fondata in Italia da padre Stefano Maria Manelli, così ricca di
vocazioni - conta oltre trecento frati - e di buone opere. Con un
decreto dell'11 luglio 2013 la Congregazione per i religiosi ha nominato
per i Francescani dell'Immacolata un commissario apostolico, il
cappuccino Fidenzio Volpi, di fatto esautorando il fondatore, precisando
altresì che «il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso
della Congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a
celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente,
l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente
autorizzata dalle competenti autorità per ogni religioso e/o comunità
che ne farà richiesta».
Conosco e stimo da molti anni i Francescani
dell'Immacolata. Li considero un grande dono alla Chiesa italiana e
universale. Conosco anche i loro problemi - non sono certo che si possa
dire lo stesso per tutti coloro che hanno commentato l'ultima vicenda -,
e le ragioni che hanno indotto Benedetto XVI a ordinare una visita
apostolica, disposta il 5 luglio 2012. La visita è stata richiesta
dall'interno stesso dei Francescani dell'Immacolata, e non da uno
sparuto gruppetto ma da superiori di case importanti, non solo a Roma.
Che cosa lamentavano costoro? Con riferimento a noti insegnamenti di Benedetto XVI, affermavano che tra i giovani frati, tra le suore dell'Immacolata e sulle riviste teologiche si fosse diffusa una «ermeneutica della discontinuità e della rottura» rispetto al Concilio Ecumenico Vaticano II, che ne leggeva alcuni documenti - i testi, non solo le loro interpretazioni postconciliari - come in contrasto radicale con il Magistero precedente. La stessa interpretazione di «discontinuità» era data alla riforma liturgica: non solo si celebrava la Messa antica, ma si considerava in qualche modo «inferiore» - in qualche caso, addirittura «sospetta» - la Messa nel rito ordinario successivo alla riforma, e questo particolarmente presso le suore. Da informazioni in mio possesso, il visitatore accertava che una buona parte dei Francescani dell'Immacolata condivideva, a vario titolo e con diverse gradazioni, queste critiche. Vi si aggiungeva - purtroppo - una certa litigiosità interna per questioni anche personali, che in modo umano, troppo umano, spesso è presente negli ordini religiosi e ha accompagnato nei secoli la gloriosa storia della famiglia francescana.
Che cosa lamentavano costoro? Con riferimento a noti insegnamenti di Benedetto XVI, affermavano che tra i giovani frati, tra le suore dell'Immacolata e sulle riviste teologiche si fosse diffusa una «ermeneutica della discontinuità e della rottura» rispetto al Concilio Ecumenico Vaticano II, che ne leggeva alcuni documenti - i testi, non solo le loro interpretazioni postconciliari - come in contrasto radicale con il Magistero precedente. La stessa interpretazione di «discontinuità» era data alla riforma liturgica: non solo si celebrava la Messa antica, ma si considerava in qualche modo «inferiore» - in qualche caso, addirittura «sospetta» - la Messa nel rito ordinario successivo alla riforma, e questo particolarmente presso le suore. Da informazioni in mio possesso, il visitatore accertava che una buona parte dei Francescani dell'Immacolata condivideva, a vario titolo e con diverse gradazioni, queste critiche. Vi si aggiungeva - purtroppo - una certa litigiosità interna per questioni anche personali, che in modo umano, troppo umano, spesso è presente negli ordini religiosi e ha accompagnato nei secoli la gloriosa storia della famiglia francescana.
Di qui il provvedimento vaticano - una medicina
dura, ma sollecitata da una parte non piccola degli stessi malati -, del
quale è bene conoscere la genesi esatta ma che nello stesso tempo
solleva qualche legittimo interrogativo, per due ordini di motivi.
Il primo è che Papa Francesco ha messo in guardia, ancora domenica scorsa a Rio, contro due pericoli che corre la Chiesa: una deriva gnostica, illuminista e relativista - quella progressista - e una deriva che chiama «pelagiana», una rigidità fondata sul sogno di un ritorno a un passato che non può tornare, propria di certi ambienti ultra-conservatori. A un osservatore esterno, che pure accolga con deferenza l'insegnamento pontificio sul secondo rischio, quello ultra-conservatore, il primo - il rischio progressista - appare sociologicamente e teologicamente ben più presente nella Chiesa. Questa giustamente vigila sulle deviazioni dell'uno e dell'altro segno: ma colpisce che il primo provvedimento di un certo peso da qualche anno a questa parte sia preso nella direzione dove i rischi, pur presenti, appaiono oggettivamente meno diffusi. La riforma della Curia di Papa Francesco dovrà curare che i provvedimenti vaticani non siano, e neppure appaiano, troppo simili a quelli dei giudici italiani che, quando indagano sui politici, sembrano spesso occuparsi con zelo e urgenza solo di una parte.
Il primo è che Papa Francesco ha messo in guardia, ancora domenica scorsa a Rio, contro due pericoli che corre la Chiesa: una deriva gnostica, illuminista e relativista - quella progressista - e una deriva che chiama «pelagiana», una rigidità fondata sul sogno di un ritorno a un passato che non può tornare, propria di certi ambienti ultra-conservatori. A un osservatore esterno, che pure accolga con deferenza l'insegnamento pontificio sul secondo rischio, quello ultra-conservatore, il primo - il rischio progressista - appare sociologicamente e teologicamente ben più presente nella Chiesa. Questa giustamente vigila sulle deviazioni dell'uno e dell'altro segno: ma colpisce che il primo provvedimento di un certo peso da qualche anno a questa parte sia preso nella direzione dove i rischi, pur presenti, appaiono oggettivamente meno diffusi. La riforma della Curia di Papa Francesco dovrà curare che i provvedimenti vaticani non siano, e neppure appaiano, troppo simili a quelli dei giudici italiani che, quando indagano sui politici, sembrano spesso occuparsi con zelo e urgenza solo di una parte.
La seconda domanda riguarda la Messa tradizionale.
Premesso che chi ritiene che quello della Messa sia l'unico motivo che
ha indotto alcuni autorevoli Francescani dell'Immacolata a richiedere la
visita apostolica non conosce a fondo i fatti, molti si chiedono se il
provvedimento, nella parte relativa al Vetus Ordo, non
contraddica il motu proprio di Benedetto XVI «Summorum Pontificum» del
2007, che liberalizzava l'uso del vecchio rito per tutti i sacerdoti. Il
quadro giuridico cui fa riferimento la Congregazione dei Religiosi è
l'art. 3 dello stesso motu proprio di Benedetto XVI, relativo ai
religiosi, dove si legge: «Le comunità degli Istituti di vita consacrata
e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia
diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri
oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del
Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola
comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni
spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai
Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti
particolari».
Certamente la frase del decreto relativa ai Francescani dell'Immacolata patisce qualche problema di scrittura, perché sembra che ai sacerdoti dell'ordine sia ora vietata, senza autorizzazione, anche la celebrazione meramente privata - distinta da quella comunitaria o conventuale - del Vetus Ordo, che secondo l'art. 2 del Motu proprio del 2007 è invece libera per qualunque altro sacerdote di rito latino senza bisogno di alcun permesso dei superiori. Certamente sul punto sono auspicabili chiarimenti da parte del nuovo Commissario, così com'è auspicabile che ai fedeli che normalmente si recano a Messe «Vetus Ordo» celebrate dai Francescani dell'Immacolata sia comunque assicurata la possibilità di assistere alla Messa nel rito che hanno indicato di preferire.
Certamente la frase del decreto relativa ai Francescani dell'Immacolata patisce qualche problema di scrittura, perché sembra che ai sacerdoti dell'ordine sia ora vietata, senza autorizzazione, anche la celebrazione meramente privata - distinta da quella comunitaria o conventuale - del Vetus Ordo, che secondo l'art. 2 del Motu proprio del 2007 è invece libera per qualunque altro sacerdote di rito latino senza bisogno di alcun permesso dei superiori. Certamente sul punto sono auspicabili chiarimenti da parte del nuovo Commissario, così com'è auspicabile che ai fedeli che normalmente si recano a Messe «Vetus Ordo» celebrate dai Francescani dell'Immacolata sia comunque assicurata la possibilità di assistere alla Messa nel rito che hanno indicato di preferire.
Mi sembra tuttavia esagerato - si tratta, è chiaro,
di un'opinione personale, né dispongo di sfere di cristallo per
prevedere un futuro che potrebbe smentirmi - vedere nel decreto sui
Francescani dell'Immacolata la prima avvisaglia di un'offensiva della
Santa Sede contro chi celebra secondo il rito straordinario. Lo fanno
molte altre comunità religiose, che non hanno patito alcuna molestia.
Nel 2011 la Congregazione per la Dottina della Fede pubblicò
l'Istruzione «Universae Ecclesiae», approvata «speciali modo» da
Benedetto XVI, sull'applicazione del motu proprio «Summorum Pontificum».
Tale Istruzione, all'art. 19, precisa che per potersi avvalere del
diritto a chiedere la celebrazione con il Vetus Ordo i fedeli
«non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si
manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei
Sacramenti celebrati nella forma ordinaria». Non solo validità, ma
anche legittimità. Questo è tuttora la stato dell'arte.
Si può celebrare la Messa Vetus Ordo, per gli ordini religiosi, con le precisazioni dell'art. 3 del Motu proprio. Ma le sanzioni scattano se questa celebrazione diventa occasione per mettere in discussione la legittimità (non solo la validità) della Messa celebrata secondo la riforma liturgica, o se si accompagna all'insegnamento rispetto al Vaticano II di qualunque forma, che sia fondata su argomenti storici o teologici, della «ermeneutica della discontinuità e della rottura», nella sua versione «anticonciliarista» - l'espressione è di Benedetto XVI, che distingue l'anticonciliarismo dal «progressismo sbagliato», due versioni uguali e contrarie dello stesso errore.
Si può celebrare la Messa Vetus Ordo, per gli ordini religiosi, con le precisazioni dell'art. 3 del Motu proprio. Ma le sanzioni scattano se questa celebrazione diventa occasione per mettere in discussione la legittimità (non solo la validità) della Messa celebrata secondo la riforma liturgica, o se si accompagna all'insegnamento rispetto al Vaticano II di qualunque forma, che sia fondata su argomenti storici o teologici, della «ermeneutica della discontinuità e della rottura», nella sua versione «anticonciliarista» - l'espressione è di Benedetto XVI, che distingue l'anticonciliarismo dal «progressismo sbagliato», due versioni uguali e contrarie dello stesso errore.
Si può certamente auspicare - l'ho scritto più sopra
- che si usi, e si dia anche l'impressione di usare, uguale severità
nei confronti del «progressismo sbagliato» rispetto a quella mostrata
per l'«anticonciliarismo». Ma la condanna di entrambi gli errori è di
Benedetto XVI: non l'ha certo inventata Papa Francesco. Rimanendo fedeli
al Papa e alla Chiesa - che è poi il più bell'insegnamento di padre
Manelli, il loro fondatore - stiamo vicini in quest'ora difficile ai
Francescani dell'Immacolata, e soprattutto preghiamo per loro.