Credevate che l'UNAR, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità
ce l'avesse solo con gli insegnanti, imponendo loro d'insegnare
obbligatoriamente l'ideologia di genere? Sbagliavate. Ora se la prende
con i giornalisti, pubblicando il 13 dicembre un documento tecnicamente
incredibile, intitolato «Linee guida per un'informazione rispettosa
delle persone LGBT» (in fondo all'articolo si può scaricare il
documento). Il modesto titolo «Linee guida» non inganni. Si precisa
subito infatti che i giornalisti che non si piegheranno ai diktat
dell'UNAR violeranno le norme deontologiche, per cui la denuncia
all'Ordine dei Giornalisti è dietro l'angolo. Inoltre il testo - tutto
bastone e poca carota - spiega anche che è solo questione di tempo:
«l'Italia si sta adeguando» ai Paesi più civili, presto il Parlamento
introdurrà una «legislazione specifica» contro l'omofobia e il
giornalista che sbaglia rischierà non solo il deferimento all'Ordine ma
la galera.
E che cosa si deve fare per adeguarsi? Occorre
rispettare dieci comandamenti, redatti dagli esperti - quasi tutti di
organizzazioni LGBT - che hanno preparato le linee guida. Primo: non
confonderai il sesso con il genere. Il sesso è una caratteristica
anatomica, ma ognuno sceglie se essere uomo o donna «indipendentemente
dal sesso anatomico di nascita». È davvero il primo comandamento
dell'ideologia di genere, ma ora diventa obbligatorio.
Secondo: benedirai il «coming out». Vietato parlare
di «gay esibizionisti»: il giornalista porrà invece attenzione a
sottolineare gli aspetti positivi della «visibilità» degli omosessuali e
il coraggio di chi si rende visibile.
Terzo: riabiliterai la parola «lesbica». «Dare
della lesbica» non è un insulto: è un complimento. Ma attenzione a non
esagerare, promuovendo il «voyeurismo» dei maschietti. Quarto
comandamento: attenzione agli articoli. Se un transessuale si sente
donna il giornalista deve scrivere «la trans» e non «il trans». Per
Vladimir Luxuria, per esempio - è esplicitamente citato (o citata?)
nelle linee guida - vanno sempre usati articoli e aggettivi al
femminile. Non importa - al solito - l'anatomia: se qualcuno «sente di
essere una donna va trattata come tale». Quinto: non associare
transessuali e prostituzione. E comunque mai parlare di prostitute o
prostituti. Il giornalista userà invece l'espressione «lavoratrice del
sesso trans».
Come è giusto per materie di questo genere, molto si
gioca sul sesto comandamento: il giornalista dovrà educare i suoi
lettori a considerare cosa buona e giusta il «matrimonio» omosessuale,
«o almeno il riconoscimento dei diritti attraverso un istituto ad hoc» .
Farà notare che «il matrimonio non esiste in natura, mentre in natura
esiste l'omosessualità». Fuggirà come la peste «i tre concetti:
tradizione, natura, procreazione», sicuro indizio di omofobia. Ricorderà
ai suoi lettori che il «diritto delle persone omosessuali ad avere una
famiglia è sancito a livello europeo».
Il sesto comandamento dell'UNAR basta a mettere nei pasticci
qualunque giornalista che per avventura fosse d'accordo con il
Magistero cattolico. Se qualcuno sfuggisse al sesto, incalza però il
settimo comandamento: vietato parlare di «matrimonio tradizionale» e,
per converso, di «matrimonio gay», che il giornalista dovrà invece
qualificare come «matrimonio fra persone dello stesso sesso» per non
rischiare, anche involontariamente, di diffondere la pericolosa idea
secondo cui si tratterebbe di «un istituto a parte, diverso da quello
tradizionale».
Difficilissimo poi per il giornalista cattolico - o,
che so, per il collaboratore di questa testata - evitare di violare
l'ottavo comandamento, il quale in tema di adozioni vieta di sostenere
che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile
come condizione fondamentale per la completezza dell'equilibrio
psicologico». Il giornalista che sostenesse questa tesi si renderebbe
responsabile della propagazione di un «luogo comune», smentito dalla
«letteratura scientifica». Vietatissimo, poi, parlare di «utero in
affitto», espressione «dispregiativa» da sostituire subito con
«gestazione di sostegno».
Il nono comandamento sembra scritto apposta per il caso di Giancarlo Cerrelli,
il noto vicepresidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani
colpevole di rappresentare troppo efficacemente le ragioni di chi ė
contrario alla legge sull'omofobia in televisione e quindi dichiarato
persona non gradita nei programmi RAI. «Quando si parla di tematiche
LGBT - si legge in un passaggio delle linee guida che sarebbe esilarante
se non ci fosse la minaccia di gravi sanzioni per chi sgarra - è
frequente che giornali e televisioni istituiscano un contraddittorio: se
c'è chi difende i diritti delle persone LGBT si dovrà dare voce anche a
chi è contrario». Sembrerebbe il minimo sindacale del pluralismo e
della democrazia, specie se parliamo della RAI e di servizio pubblico.
Ma le linee guida ci dicono che questo «non è affatto ovvio». Il caso Cerrelli insegna. «Cosa deve accadere affinché il contraddittorio fra favorevoli e contrari ai diritti delle persone gay e lesbiche non sia più necessario?». La risposta corretta sarebbe che deve accadere l'instaurazione di una dittatura, per dirla con Papa Francesco, simile a quella del romanzo «Il padrone del mondo» di Benson. La risposta delle linee guida invece è che basta una «scelta puramente politica» - che l'UNAR si arroga l'autorità di fare - per dire basta a questi dibattiti fastidiosi e pericolosi. Il buon conduttore televisivo avrà cura che sia espressa solo un'opinione, quella corretta. «Non esiste una soglia di consenso prefissata, oggettiva, oltre la quale diventa imprescindibile il contraddittorio». Quindi su questi temi se ne deve prescindere. Tornatene a casa, avvocato Cerrelli - in attesa magari di sentire anche per televisione il ritornello scandito da certi simpatici attivisti: «e se saltelli muore anche Cerrelli».
Ma le linee guida ci dicono che questo «non è affatto ovvio». Il caso Cerrelli insegna. «Cosa deve accadere affinché il contraddittorio fra favorevoli e contrari ai diritti delle persone gay e lesbiche non sia più necessario?». La risposta corretta sarebbe che deve accadere l'instaurazione di una dittatura, per dirla con Papa Francesco, simile a quella del romanzo «Il padrone del mondo» di Benson. La risposta delle linee guida invece è che basta una «scelta puramente politica» - che l'UNAR si arroga l'autorità di fare - per dire basta a questi dibattiti fastidiosi e pericolosi. Il buon conduttore televisivo avrà cura che sia espressa solo un'opinione, quella corretta. «Non esiste una soglia di consenso prefissata, oggettiva, oltre la quale diventa imprescindibile il contraddittorio». Quindi su questi temi se ne deve prescindere. Tornatene a casa, avvocato Cerrelli - in attesa magari di sentire anche per televisione il ritornello scandito da certi simpatici attivisti: «e se saltelli muore anche Cerrelli».
Non si salvano, infine, neanche i fotografi. Il
decimo comandamento li invita a fare attenzione a che cosa fotografano
nei gay pride, evitando immagini di persone «luccicanti e svestite».
L'obiezione secondo cui se chi partecipa ai gay pride non si svestisse
non correrebbe il rischio di essere fotografato nudo non sembra essere
venuta in mente agli esimi redattori del testo.
Che però hanno pensato a una possibile difesa del malcapitato giornalista,
il quale potrebbe sostenere che lui la pensa diversamente, ma per
dovere di cronaca ha ritenuto di riportare anche le strane idee di chi
si oppone al «matrimonio» omosessuale, e che magari ha radunato in una
sala centinaia di persone. Difesa debole, sentenzia il documento. Il
giornalista che riporta dichiarazioni, anche «di politici e
rappresentanti delle istituzioni», contrarie alle linee guida può farlo
per «dovere di cronaca» ma deve «attenersi ad alcune regole»:
«virgolettare i discorsi», spiegare che sono sbagliati, contrapporre
dichiarazioni di rappresentanti delle organizzazioni LGBT, che andranno
tempestivamente intervistati, usare «particolare attenzione nella
titolazione». Non sono forniti esempi, ma il bravo giornalista capisce
al volo. Se per esempio un vescovo si dichiara contrario al «matrimonio»
omosessuale, il titolo dovrà essere «Fedeli scandalizzati dal discorso
omofobo del vescovo» e non «Il vescovo ricorda: la Chiesa non accetta il
matrimonio omosessuale».
Giornalista avvisato, mezzo salvato. Ma anche
italiani e parlamentari avvisati, mezzi salvati. Perché le linee guida
per i giornalisti rendono involontariamente un enorme servizio. Spiegano
esattamente, nero su bianco, che cosa sarà davvero vietato dalla legge
contro l'omofobia. Altro che proteggere le persone omosessuali - com'è
giusto che sia, e come già affermano le leggi in vigore - da insulti,
minacce e violenze. Qui si tratta della dittatura del relativismo, senza
sottigliezze e senza misericordia. Fermiamo questa macchina impazzita
prima di ritrovarci tutti in un GULag gestito da militanti LGBT.
Documenti
Linee Guida UNAR per giornalisti