domingo, 22 de setembro de 2013

Il programma di Francesco. Partire dalla fede - di Massimo Introvigne

In NBQ

Quando nel 2010 Benedetto XVI rilasciò una lunga intervista al giornalista Peter Seewald, un cui passaggio subito ripreso dai giornali sembrava aprire all'uso degli anticoncezionali in circostanze particolari, Papa Ratzinger fece precisare dalla Sala Stampa vaticana che le interviste non sono Magistero. Implicitamente, Papa Francesco fa lo stesso all'inizio della lunga intervista raccolta dal suo confratello gesuita padre Spadaro, quando denuncia la sua grande difficoltà rispetto a questo particolare genere letterario. E - a proposito della sua più famosa conversazione con la stampa, quella sul volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro - ora afferma che «non ho riconosciuto me stesso quando, sul volo di ritorno da Rio de Janeiro, ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande».

Ci si potrebbe fermare qui, e far notare a chi - sinceramente o maliziosamente - cerca svolte e rivoluzioni nell'intervista del Pontefice a padre Spadaro che è il Papa stesso a invitarci a prendere un'intervista per quella che è, e a fare più volte riferimento nella conversazione a testi del Magistero - non solo suo, dai documenti del Vaticano II al «Catechismo della Chiesa Cattolica» - come al luogo dove i fedeli possono trovare una trattazione sistematica e adeguata della dottrina.

L'intervista, però, non può neppure essere considerata irrilevante. Con la sua eco mediatica planetaria, è un grande evento sociologico. Se non è il luogo proprio dove cercare un insegnamento sistematico e magisteriale in tema di fede o di morale - e chi la intendesse così, sbaglierebbe - è però uno strumento utile a comprendere la «mens» e il programma pastorale e di governo del Pontefice. E, per ricavare da questo strumento quanto oggettivamente contiene, l'intervista va letta tutta. Le frasi isolate si prestano a qualunque tipo di equivoco, e talora di manipolazione.

Un esempio fra i tanti è l'affermazione: «Non sono stato certo come la beata Imelda, ma non sono mai stato di destra». Questa frase è stata sparata in prima pagina da quotidiani che ne hanno tratto pronostici su come si muoverà il Papa nella politica italiana: starà con Enrico Letta o con Renzi? Se però si legge tutto il paragrafo, si scopre che Francesco non sta parlando di politica ma del suo stile di governo come provinciale dei Gesuiti, quando era accusato di essere «ultraconservatore» per un certo autoritarismo giovanile, di cui oggi un po' si pente. Diventa allora ovvio che, nel contesto, l'espressione - sulla cui pertinenza e prudenza è più che lecito avere dubbi - «di destra» non equivale a «iscritto al PdL» ma a «superiore religioso che governa in modo autoritario e ultraconservatore». Del resto, se «destra» avesse un significato politico, ne conseguirebbe che la «beata Imelda» dovrebbe essere di sinistra. Ma si tratta della beata Imelda Lambertini (1320-1333), una fanciulla bolognese popolarissima in Argentina e che il Papa aveva già citato, beatificata non perché conterranea emiliana di Prodi ma per la sua mitezza e docilità.

Comprensibilmente - il Pontefice avrebbe potuto aspettarselo - la stampa mondiale ignora le numerose pagine dell'intervista dedicate all'arte, alla musica - dove Francesco discetta con competenza insospettata sui diversi esecutori di Richard Wagner (1813-1883), privilegiando Wilhelm Fürtwangler (1886-1954), non proprio un musicista di sinistra, tanto che fu inserito dal regime nazional-socialista nella lista dei suoi «artisti fondamentali» - alla letteratura, ai Gesuiti e - cosa più grave - anche alla teologia, per concentrarsi esclusivamente sulla singola risposta relativa ai divorziati risposati e agli omosessuali. Per la verità qualche «tradizionalista» critica anche una risposta un po' sbrigativa sulla Messa tradizionale - il Papa giudica prudente la decisione di Benedetto XVI, che riduce al concederne la celebrazione a chi ne sente il bisogno, ma chiede che non sia «strumentalizzata» per criticare il Concilio - tuttavia, la grande maggioranza dei commenti si concentra sui temi morali.

Dal punto di vista - strettamente umano e sociologico - del calcolo preventivo dell'impatto che la risposta su omosessuali e divorziati poteva avere sui media e sui loro lettori, la forma di comunicazione scelta si presta a più di una riserva quanto alla sua prudenza. Non è dunque obbligatorio apprezzarne il contesto: ma occorre almeno intenderlo. Francesco annuncia - lo aveva fatto in privato, in diversi incontri recenti - che non si tratta di ritardi o equivoci, e che effettivamente, pure consapevole che sarà criticato per questo, non intende parlare molto «delle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi». Anzi, gli sembra che altri ne parlino troppo.

Perché questa scelta, che certo lascia molti perplessi? Il Papa spiega il suo programma: in un mondo molto lontano dalla fede preferisce ripartire dal primo annuncio. L'annuncio delle cose elementari: che Gesù Cristo è Dio ed è venuto per la nostra salvezza, che offre a tutti la sua misericordia, che convertirsi è possibile, che la conversione non è uno sforzo individuale ma passa sempre per la Chiesa. Il problema, per Francesco, è l'ordine logico, che diventa anche ordine cronologico nell'annuncio e nella missione. Prima viene «l'annuncio della salvezza». «Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale».

Benedetto XVI aveva detto a Lisbona, l'11 maggio 2010: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista». Il programma di Francesco è preoccuparsi per prima cosa «che questa fede ci sia», annunciarla attraverso il volto misericordioso del Signore che offre il suo perdono a tutti, compresi gli omosessuali «che cercano Dio», le donne che hanno abortito - ma che, ha detto il Papa, poi si sono «sinceramente pentite» - i divorziati risposati. Senza rigorismo, ha suggerito il Pontefice, ma anche senza «lassismo». Non che l'annuncio morale non faccia parte del messaggio cristiano, né - Francesco lo precisa - che egli pensi di cambiare la dottrina: «il parere della Chiesa [su vita e famiglia] lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa». Ma l'insegnamento morale per il Papa viene dopo l'annuncio della salvezza tramite la misericordia di Dio. Invertire l'ordine dei fattori, partire dalla morale per risalire alla fede, oggi secondo Francesco non è più possibile, anzi lo stesso «edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte».

Tutte le strategie pastorali e di comunicazione hanno pregi e difetti, aprono possibilità di missione e comportano rischi. Non si manca certo di rispetto al Papa se si sottolineano anche i rischi, gravi, in un momento in cui in diversi Paesi - compresa l'Italia, e la legge contro l'omofobia ce lo insegna - per mettere la Chiesa ai margini della società l'attacco parte dalla morale. Il laicismo attacca la morale per distruggere la fede. È l'avversario ad avere scelto questo terreno di battaglia: prima l'attacco alla morale, poi quello alla fede. Papa Francesco pensa di non dovere accettare questa scelta del terreno di combattimento fatta da altri. Rovescia la logica del mondo, e parla d'altro: annuncia la compassione e la misericordia, al mondo mostra Gesù Cristo misericordioso e crocifisso, invita tutti a gettarsi per prima cosa ai suoi piedi.

Lo confermano tante inchieste sociologiche: sono tanti, in tutto il mondo, a lasciarsi commuovere da questo appello di Papa Francesco. Altri - magari i più impegnati sul fronte della battaglia per la vita e per la famiglia - da questa scelta strategica del Papa sono messi in difficoltà, e si sentono a disagio. Manifestare, con rispetto, questo disagio è normale: non significa non amare e non seguire il Pontefice. Una riflessione sul disagio può perfino diventare buona cultura e buona politica. Il disagio, invece, diventa sterile quando si esaurisce nel gossip, nella continua polemica, nell'abbandono della buona abitudine di leggere i discorsi e le omelie del Papa, anziché prendere da ogni Pontefice che Dio dona alla sua Chiesa quanto è davvero essenziale nel suo Magistero. Nel caso di Francesco, il cuore del Magistero è l'invito a «uscire» e ad annunciare la fede a chi non va in chiesa. Una fede di cui il Papa ci presenterà più raramente dei suoi predecessori - ci avverte prima, in esplicito, e sarebbe sbagliato far finta di non aver sentito o mascherare una chiara affermazione del Papa sotto spiegazioni cosmetiche - le conseguenze morali in ordine alla vita e alla famiglia. Ma queste conseguenze morali non vieta certo agli episcopati nazionali e ai laici di trarle dalla fede secondo logica e dottrina. Non solo ne ha dato l'esempio a Buenos Aires, quando come arcivescovo attribuiva addirittura all'«invidia del demonio» la legge argentina sul matrimonio omosessuale, ma da Papa ha più volte invitato i vescovi dei vari Paesi e i movimenti laicali a prendersi le loro responsabilità.

Nessuno potrebbe legittimamente invocare le scelte pastorali e la strategia di annuncio del Papa per sottrarsi a queste responsabilità. Ma tutti faremmo bene a riflettere pure su come Francesco ci chieda di collaborare anche all'annuncio ai più lontani della grazia salvifica e misericordiosa del Signore. «Uscire» e cercare chi è lontano dalla Chiesa o chi, nella Chiesa, si è intorpidito e addormentato - certo, senza trascurare altri temi - è un compito che il Papa non indica solo a chi ha tempo libero, o non è troppo distratto da altre cose. Lo indica a tutti, e a questo cuore profondo del suo Magistero tutti siamo chiamati ad aderire con convinzione.