Il professor Todd Johnson
è il successore del suo collega David Barrett (1927-2011), «Mr.
Statistiche» per gli studiosi di scienze religiose di tutto il mondo,
alla guida del Center for the Study of Global Christianity di South
Hamilton, nel Massachusetts, un centro che è alle origini delle
statistiche sul numero di aderenti alle varie religioni usate da un gran
numero di università – e di Chiese e comunità religiose – su scala
internazionale. Johnson sarà in Italia a dicembre per diversi impegni, e
aprirà con una relazione magistrale un seminario
sulla metodologia della statistica religiosa organizzato
dall’Università Roma Tre in collaborazione con il CESNUR e con
l’Accademia di Scienze Umane e Sociali il 16 dicembre.
Barrett e Johnson sono anche alle origini di quella che chiamano «martirologia»,
cioè la compilazione di statistiche sul numero di cristiani uccisi «in
situazione di testimonianza», cioè uccisi in quanto cristiani. Questi
morti cristiani sono stati, secondo Barrett e Johnson, settanta milioni
dalla morte di Gesù Cristo all’anno 2000, di cui quarantacinque
milioni concentrati nel ventesimo secolo. Il numero di cristiani uccisi è
sceso nel ventesimo secolo, ma nel primo decennio 2000-2010 secondo
Barrett sono ancora stati un milione, cioè 100.000 all’anno. Questa
stima di una media calcolata su dieci anni era di 105.000 nel 2011 –
anno in cui, commentando quelle statistiche a un convegno dell’Unione
Europea, le tradussi nella formula, numericamente congrua rispetto alla
cifra 105.000, di «un cristiano ucciso ogni cinque minuti» – mentre la
stima di Johnson per il 2013, pubblicata nel numero 37/1 della sua
pubblicazione «International Bulletin of Missionary Research» era di
100.000.
Periodicamente queste cifre sono attaccate, e da ultimo un servizio apparso sul sito della BBC
dà l’impressione che lo stesso Johnson le abbia in qualche modo
ridimensionate o ritrattate. Per chiarire come stanno le cose, ho
intervistato lo stesso professor Johnson.
Professore, è vero che Lei ha smentito la sua celebre statistica dei 100.000 cristiani uccisi ogni anno?
Ma niente affatto. Può darsi che la giornalista della BBC non mi abbia capito bene, ma ho semplicemente spiegato che la statistica si riferisce a una media degli ultimi dieci anni. Non a un anno specifico. Pertanto la statistica che abbiamo pubblicato nel 2013 si riferisce alla somma dei morti dagli anni dal 2003 al 2012 divisa per dieci. E la somma divisa per dieci dà appunto come risultato 100.000. Se ci chiederanno al stessa stima l’anno prossimo, sommeremo i morti dal 2004 al 2013 e divideremo per dieci. Questa cifra è significativa di una tendenza molto più che non concentrarsi su un anno singolo, dove il dato può essere influenzato da variabili effimere, e si rischia di annunciare svolte decisive causate da singoli eventi positivi o negativi che non si ripeteranno negli anni successivi.
Ma niente affatto. Può darsi che la giornalista della BBC non mi abbia capito bene, ma ho semplicemente spiegato che la statistica si riferisce a una media degli ultimi dieci anni. Non a un anno specifico. Pertanto la statistica che abbiamo pubblicato nel 2013 si riferisce alla somma dei morti dagli anni dal 2003 al 2012 divisa per dieci. E la somma divisa per dieci dà appunto come risultato 100.000. Se ci chiederanno al stessa stima l’anno prossimo, sommeremo i morti dal 2004 al 2013 e divideremo per dieci. Questa cifra è significativa di una tendenza molto più che non concentrarsi su un anno singolo, dove il dato può essere influenzato da variabili effimere, e si rischia di annunciare svolte decisive causate da singoli eventi positivi o negativi che non si ripeteranno negli anni successivi.
La BBC obietta che il 90%
dei morti degli ultimi anni è stato ucciso nella Repubblica Democratica
del Congo, dove è in corso una guerra civile. Che cosa risponde?
Per alcuni dei dieci anni presi in esame per la stima decennale è vero che il dato del Congo pesa fino al 70% – 90% è un’esagerazione, ma abbiamo sempre detto che il Congo pesa molto, non è una scoperta della BBC –, mentre se sulla scala del decennio prendiamo in esame altri anni un dato non meno importante era quello del Sud Sudan, dove in seguito le cose sono migliorate. Molti dei miei interventi recenti a congressi internazionali discutono la situazione in Congo, e il caso è interessante per spiegare il nostro metodo. Ci sono certamente casi in cui è difficile stabilire se le persone sono uccise in quanto cristiane o per ragioni etniche o politiche. In questo caso noi stimiamo il peso del fattore religioso e in base a questo fattore attribuiamo una percentuale del totale delle persone uccise a ragioni religiose. Per il Congo abbiamo stabilito – in modo molto prudenziale e conservatore – che il fattore religioso pesi per il venti per cento nelle ragioni che causano gli assassini. Dico prudenziale e conservatore perché abbiamo raccolto, sul campo, centinaia di testimonianze che parlano di persone uccise nelle chiese e uccise perché per ragioni religiose si rifiutano di arruolarsi nelle milizie o di farsi coinvolgere a forza in guerre che considerano ingiuste. Pertanto ogni anno non contiamo il cento per cento dei cristiani assassinati in Congo nelle nostre statistiche, ma solo il venti per cento. Adottiamo criteri simili per altri Paesi. I criteri si possono sempre discutere. Devo però confessare che non capisco bene le obiezioni che invitano a sottrarre i cristiani uccisi del Congo, come se fossero vittime di seconda classe rispetto a quelle di altri Paesi.
Per alcuni dei dieci anni presi in esame per la stima decennale è vero che il dato del Congo pesa fino al 70% – 90% è un’esagerazione, ma abbiamo sempre detto che il Congo pesa molto, non è una scoperta della BBC –, mentre se sulla scala del decennio prendiamo in esame altri anni un dato non meno importante era quello del Sud Sudan, dove in seguito le cose sono migliorate. Molti dei miei interventi recenti a congressi internazionali discutono la situazione in Congo, e il caso è interessante per spiegare il nostro metodo. Ci sono certamente casi in cui è difficile stabilire se le persone sono uccise in quanto cristiane o per ragioni etniche o politiche. In questo caso noi stimiamo il peso del fattore religioso e in base a questo fattore attribuiamo una percentuale del totale delle persone uccise a ragioni religiose. Per il Congo abbiamo stabilito – in modo molto prudenziale e conservatore – che il fattore religioso pesi per il venti per cento nelle ragioni che causano gli assassini. Dico prudenziale e conservatore perché abbiamo raccolto, sul campo, centinaia di testimonianze che parlano di persone uccise nelle chiese e uccise perché per ragioni religiose si rifiutano di arruolarsi nelle milizie o di farsi coinvolgere a forza in guerre che considerano ingiuste. Pertanto ogni anno non contiamo il cento per cento dei cristiani assassinati in Congo nelle nostre statistiche, ma solo il venti per cento. Adottiamo criteri simili per altri Paesi. I criteri si possono sempre discutere. Devo però confessare che non capisco bene le obiezioni che invitano a sottrarre i cristiani uccisi del Congo, come se fossero vittime di seconda classe rispetto a quelle di altri Paesi.
Ma la BBC obietta che non sono «martiri». È vero?
La nozione di «martire» non è univoca. Per esempio la tradizione ebraica – che considera «martiri» le vittime dell’Olocausto – o quella islamica hanno un concetto di «martiri» più esteso di quello cristiano. Io sono protestante, ma so bene che la Chiesa Cattolica ha un concetto, invece, più restrittivo: «martire» è solo chi offre la vita volontariamente per la sua fede. Se qualcuno è vittima di una bomba che fa saltare in aria una chiesa o un locale frequentato da cristiani, per la Chiesa Cattolica non è necessariamente un «martire» mentre nel linguaggio di molti protestanti lo è. Siamo consapevoli di queste differenze terminologiche, e per questo oggi tendiamo a parlare meno di «martiri» e più di «persone uccise in situazioni di testimonianza».
La nozione di «martire» non è univoca. Per esempio la tradizione ebraica – che considera «martiri» le vittime dell’Olocausto – o quella islamica hanno un concetto di «martiri» più esteso di quello cristiano. Io sono protestante, ma so bene che la Chiesa Cattolica ha un concetto, invece, più restrittivo: «martire» è solo chi offre la vita volontariamente per la sua fede. Se qualcuno è vittima di una bomba che fa saltare in aria una chiesa o un locale frequentato da cristiani, per la Chiesa Cattolica non è necessariamente un «martire» mentre nel linguaggio di molti protestanti lo è. Siamo consapevoli di queste differenze terminologiche, e per questo oggi tendiamo a parlare meno di «martiri» e più di «persone uccise in situazioni di testimonianza».
Se la situazione in Congo migliorerà, la vostra media calcolata sugli ultimi dieci anni è destinata a scendere?
È probabile, e speriamo proprio che sia così. Ma vorrei aggiungere una parola di cautela. Quando la situazione è migliorata nel Sud Sudan, pensavamo di poter arrivare a stime molto più ridotte, ed ecco che è esplosa la situazione drammatica del Congo. La storia del cristianesimo negli ultimi due secoli non induce all’ottimismo: quando la violenza si attenua in un Paese, spesso esplode da qualche altra parte. Il fatto che i cristiani siano vittime di campagne di odio, discriminati, uccisi in numeri comunque alti in molte parti del mondo fa temere esplosioni di violenza prossime venture in altre aree geografiche.
È probabile, e speriamo proprio che sia così. Ma vorrei aggiungere una parola di cautela. Quando la situazione è migliorata nel Sud Sudan, pensavamo di poter arrivare a stime molto più ridotte, ed ecco che è esplosa la situazione drammatica del Congo. La storia del cristianesimo negli ultimi due secoli non induce all’ottimismo: quando la violenza si attenua in un Paese, spesso esplode da qualche altra parte. Il fatto che i cristiani siano vittime di campagne di odio, discriminati, uccisi in numeri comunque alti in molte parti del mondo fa temere esplosioni di violenza prossime venture in altre aree geografiche.